E poi, non ne rimase nessuno
Bruno Nicolai
E poi, non ne rimase nessuno (1974)
Digitmovies CDDM320
18 brani – durata: 53’36”
“Senza dubbio i nomi sono disegnatori di fantasia” (1). Iniziammo a familiarizzare con il nome di Bruno Nicolai (1926-1991) leggendolo in veste di direttore nei titoli di testa di film musicati da altri – Morricone con frequenza ma anche Rustichelli, Piccioni, Carpi, Bacalov…-, e ritrovandolo nei crediti dei singoli e vinili allora pubblicati. Non ci volle molto ad appurare che era anche compositore in proprio, e di livello massimo. Pareva, talvolta, la sua musica un riflesso cangiante di quella di Morricone: e sarebbe già un complimento, poiché “rifare” le note del nostro maggiore musicista del cinema non è impresa agevole, le (foto)copie sbiadite rivelano subito l’inconsistenza dei lavori epigonali. Lui era diverso, certi suoi calchi erano a tal punto giusti e verosimili che ti domandavi se i due non fossero la stessa persona, o se lavorassero a quattro mani, o quale altro arcano. Barbablù e El conde Dracula, Maddalena e Défense de savoir, La resa dei conti e Corri uomo corri (quest’ultimo erroneamente accreditato a Morricone in alcune filmografie: attribuzione scorretta ma plausibile), Indio Black e Il buono, il brutto, il cattivo. Oppure, vedi Django spara per primo e altri western, o alcuni thriller, la parentela era più diradata pur permanendo una riconoscibile aria di famiglia, come anche nel poco noto Lettere dal fronte o nel televisivo Don Giovanni in Sicilia. Altrove, era altra cosa: Centomila dollari per Ringo, suo primo western, Allora, il treno, Il maestro di violino, Cammina cammina rivelano una personalità autonoma. Eppure, anche nelle composizioni più prossime al modello (ricordiamo che i due si diplomarono insieme con Petrassi e qualche volta cofirmarono, e teniamo in conto la frequentazione e gli studi comuni, la direzione pressoché costante delle partiture morriconiane nel decennio 1965-1975 (2): fattori che avranno esercitato un influsso, un condizionamento, anche inconsapevoli) si percepiscono differenze sottili, subliminali: il timbro, il movimento, gli intervalli, i rapporti fra le note: e allora, il “Thème de Juliette” e relative versioni (3) non è “Chi mai”, El conde Dracula non è Barbablù. Non si tratta di esprimere giudizi di valore, in alta quota le distinzioni sono sul piano orizzontale e non verticale; qui, tra personalità affini, generate da matrici comuni ma poi ben distinte.
Bruno Nicolai fu un protagonista della stagione aurea del cinema italiano (ma lo richiesero anche Trintignant e consorte, e il poliedrico Jesus Franco Manera che di lui ebbe un concetto alto (4), e qualche altro come Leòn Klimovsky, José Luis Merino, Ignacio F. Iquino). La sua musica ha connotato tanto cinema bis, western, thriller, spy. Un cinema che senza le sue note non sarebbe stato lo stesso. Né v’è da rimpiangere la collaborazione con gli “autori” con la maiuscola. L’unico suo film autoriale è Cammina cammina di Ermanno Olmi; si potrebbe aggiungere Caligola di Tinto Brass, firmato con lo pseudonimo di Paul Clemente (qui si entra in uno di quei labirinti di cui la musica del cinema è prodiga: a parte le intricate vicende di “un film che non esiste” (5) del quale circolano varie versioni montate e rimontate senza il consenso del regista e con colonna musica cambiata, sul versante discografico abbiamo due vinili doppi del 1980, Penthouse PR 101-CS e RCA Limited Australia and New Zealand VPL1 6580 denominati “Caligula: The Music”, con brani di Aram Khatchaturian, Sergei Prokofiev e Paul Clemente; e un doppio CD bootleg Cimmerian Records CRCD023 uscito in Argentina nel 2017, dove la musica è esplicitamente attribuita a Nicolai) (6). Ma è proprio la cinematografia di genere e meglio ancora se low budget a darsi come fucina di idee per i compositori, stimolati dalla varietà e bizzarria delle situazioni e delle immagini, dall’eccesso, dalla libertà fantastica di una settima arte che se ne infischia(va) delle buone maniere e non arretra(va) dinanzi a nulla. E non si pensi ad una musica “facile”, di pronta assimilazione, che si esaurisce nell’effetto forte ed epidermico. Quando tonale, sta sempre un paio di gradini sopra la routine; altrove, si tentano strade impervie che risentono della “nuova musica” novecentesca. Il lato B del vinile El conde Dracula è un condensato di atonalità e puntillismo. Se prendiamo Les Cauchemars Naissent La Nuit o Una vergine tra i morti viventi incontriamo un ascolto impegnativo che bypassa i cliché della scary music e cerca soluzioni meno scontate, di conseguenza ostiche: vedi caso, per due pellicole del bistrattato Franco.
Fu un musicista completo, forte di un’ottima formazione (Santa Cecilia per pianoforte e composizione, il Pontificio Istituto di musica sacra per l’organo) abbinata ad una non comune sensibilità e volontà di ricerca anche nell’ambito della musica contemporanea, che si sforzò di promuovere attraverso l’associazione “La Musica” da lui fondata nel 1977 e la successiva omonima rivista a partire dal 1985 e sino al 1988. Scrisse per il cinema, la televisione, il teatro (Zeffirelli, Strehler, Visconti, Mario Ferrero, Guido Salvini e altri) e, naturalmente, per se stesso: nel suo catalogo non mancano le composizioni “assolute”, come la “Sinfonia per 8 strumenti” da lui stesso diretta alla Biennale veneziana al XXVII Festival di Musica contemporanea nel settembre 1968. Si avvicinò al cinema senza pregiudizi: “non ho mai perso di vista la musica classica, ma nella scrittura non ho preferenze di generi” (7), e lo servì assai bene. Con tutto ciò, “Rimane una delle personalità più sottovalutate e meno conosciute della musica del secondo Novecento” (8).
Nel secolo scorso, e ancora in vita, godette di un’accettabile fortuna discografica. La sua musica fu Incisa dalla C.A.M., dalla RCA; ma soprattutto da piccoli marchi iperspecializzati quali Edi-Pan e Gemelli, il primo fondato e gestito dal compositore stesso che curò la pubblicazione di parte della sua opera, con occhio di riguardo a titoli sommersi tra i quali “La forza di amare”, “Sonata per viola, pianoforte e percussioni”, “Quattro odi di Orazio” e “Divertimento per otto strumenti”, raccolti in un vinile del 1984, Untitled, nella collana “Musicisti italiani contemporanei”, introvabile (9); ma anche “Araldica”, “La muraglia asiatica”, “Contrasti”, “Tempo sospeso”, “Espressioni”…). Altri titoli furono acquisiti da label curiosi, periferici già allora e archeologia oggi, come la Fonit Serie Usignolo Luce che pubblicò nel 1975 l’oggi desaparecido Lettere dal fronte. Quei vinili si potevano reperire, talvolta con insospettata facilità, nei negozi di dischi delle grandi città o in qualche store ultrafornito (qualcuno ricorderà la Dimar di Rimini, Riccione e Pesaro, con quelle due immense sale riservate alle “colonne sonore”: un tempio).
Nel nuovo secolo, col sorgere di nuove etichette mirate, abbiamo assistito ad un recupero cospicuo della musica del maestro Nicolai. A lui ha dedicato grande cura la Digitmovies con riedizione in compact disc di vecchi vinili e pubblicazione di inediti, talvolta proponendo percorsi tematici, “Bruno Nicolai per Jess Franco”, “Bruno Nicolai in giallo”. Da ultimo l’etichetta di Pescara ha proposto un cofanetto con quattro partiture, La coda dello scorpione, Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave, Tutti i colori del buio, Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?, già pubblicate singolarmente un paio di decenni fa; e, a parte, E poi, non ne rimase nessuno. I primi quattro titoli si riferiscono al thriller di casa nostra, il quinto è una pellicola del 1974 firmata da Peter Collinson, una delle tante trasposizioni in celluloide di Ten Little Indians, ambientata questa volta nel deserto iraniano. L’approccio è peraltro il medesimo e melodie e atmosfere e timbri e ritmica mantengono una piena continuità e identificano uno stile musicale legato sì a una determinata temperie cinematografica e di gusto che appare oggi una porzione d’immaginario a parte subiecti e a parte obiecti nata in un contesto creativo artigianale che interpretò ed anche plasmò il gusto di un pubblico che nel cinema cercava – e trovava - il sogno di una vita più piena; ma in primo luogo espressione di una personalità tra le più creative dell’ottava arte e – senza tema d’esagerazione - della musica del passato secolo. Eppure, senza le periodiche ristampe della Digitmovies (da 99 donne a Gentleman Jo… Uccidi, da Fenomenal e il tesoro di Tutankamen a The Christmas That Almost Wasn’t e parecchio altro), il nome di Bruno Nicolai sarebbe un flatus vocis; al più, uno dei tanti compositori specializzati, artigiani oscuri prestati al cinema senza infamia e senza lode. Su tale linea si pone Sergio Miceli, che lo definisce “sperimentale” solo in alcune musiche di scena per il teatro antico, mentre “l’attività nel cinema non è di grande rilievo per la scarsa qualità delle produzioni (western all’italiana, horror) tranne Cammina cammina” (10). Ermanno Comuzio nel suo Dizionario ragionato dei musicisti cinematografici lo presenta attraverso una scheda referenziale limitandosi a individuare un influsso morrriconiano “evidente” in Corri uomo corri e segnalando “una certa dignità concertistica, nonostante la storiaccia” in 99 donne. Gianni Rondolino lo riduce appunto a puro nome accozzandolo alla rinfusa con Bacalov, De Masi, Ghiglia, Ortolani, Piccioni, Piovani, Savina, Trovajoli, Umiliani, Usuelli: tutti caratterizzati da un’attività “multiforme ma in sostanza di routine” (11).
Con E poi, non ne rimase nessuno il compositore conferma le sue doti di musicista in toto, consapevole delle esigenze filmiche ma proteso a creare un mondo di suoni che vada oltre quelle pur legittime necessità. La prova ne è che possiamo ascoltare prescindendo dal film, cioè senza averlo visto e senza conoscerne la trama: un’audizione vergine, non influenzata da fattori esterni; musica che parla di se stessa, senza intenti descrittivi e/o espressivi troppo evidenti: al massimo, musica per un film immaginario, mentale, ipotetico ed aperto. La partitura giustappone antitetiche esperienze del suono: quella tonale esposta in due momenti di alta densità emotiva, e quella che punta a destrutturare la compattezza del tessuto musicale a favore di note in libertà svincolate dal tematismo, risolte in frammentazioni sonore. Certo non sono i radicalismi darmstadtiani, peraltro impensabili nel cinema: la volontà comunicativa è mantenuta grazie ad elementi che abbozzano un ritmo o semiritmo (vedi l’impiego del basso elettrico declinato in una pluralità di movimenti, dal lento estenuato al frenetico), o ad un fraseggio melodico non portato a compimento ma comunque tale da generare percezioni abbastanza riconoscibili per quanto non prevedibili e nemmeno troppo agevoli. Il ricorso alla dissonanza, al puntillismo, alla serialità insomma alle innovazioni introdotte nella musica del Novecento colto (e dunque, Schönberg, Webern, Berg fra i tanti) è funzionale alla creazione di atmosfere ansiogene. Il che nel cinema è spesso avvenuto, con esiti qui eccellenti. L’inquietante tappeto sonoro origina una “sinfonia del terrore”, una “musica del disagio” che persuade ed evita la trappola delle soluzioni meramente “cinematografiche”. Undici delle diciotto sequenze sono di musica atmosferica, si susseguono momenti di pesante staticità ed altri ipercinetici, affannati. L’organico è ampio: basso e percussioni di piccola taglia, schegge del clavicembalo e del pianoforte, vibrafono, archi spennellati o strappati o pizzicati, brevi fraseggi soli del flauto basso, organo qua e là, inserti del cimbalom, riverberi lugubri del synket. Le movenze jazzate del basso formano la base ritmica sulla quale deporre il materiale scomposto in microcellule sovrapponibili e intercambiabili: è il procedimento dei multipla, “un Thesaurus di brevi frammenti modulari non tematici predisposti a incastrarsi uno nell’altro e soggetti alla libertà di combinazione e chiamata del compositore (o del direttore!) in sala d’incisione” (12). Ne consegue un cosmo disturbante, scuro ed oscuro: un buio non uniforme, pieno di colori misteriosi. Ricorrenti, oltre al basso, un flauto smorzato solista (“Seq. 14”) e un’ossessiva cantilena affidata al clavicembalo, ben distinguibile in “Seq. 15” dove si fa strada con successo in mezzo a quei frammenti dispersi. Nel giallo thriller, di preferenza italiano, le filastrocche abbondavano, connesse al vissuto dell’assassino. Intonate da voci o strumenti, sole o affogate in un marasma di sonorità funeree e caotiche, perdono l’impronta fanciullesca, si caricano di sensi macabri e minacciosi. Qui inscenano un grottesco balletto meccanico, disumano; una frenesia di morte, un’attesa del decesso ad opera di qualcuno, qualcosa acquattato nel buio, pronto a manifestarsi in sanguinosi parossismi. In tutto l’ordito vi è peraltro un sentore di pedinamento, di presenze invisibili suggerite dall’incedere lento del basso, dalle percussioni senza fretta tenaci, dai mugolii strani del synket. Bruno Nicolai fu tra gli innovatori della “musica di paura”, esponente di una scuola che tracciò nuove coordinate per il genere e che ebbe come ulteriore referente Ennio Morricone. Si pensi, oltre ai numerosi thriller musicati da quest’ultimo, alle “dimensioni sonore” create da entrambi e raccolte nell’omonimo cofanetto. Simili e – una volta ancora - non uguali. L’orecchio vigile rimane incerto sulla paternità di quegli esercizi di stile: specchi che si riflettono, repliche imperfette e deformi come avviene con le piombate superfici corrose e infedeli, moltiplicatrici di inganni ottici – qui di suoni che si rinviano in un processo illusionistico di duplicazioni fantasmatiche. Le undici sequenze presentano somiglianze, anche se poi in ciascuna vi è un elemento caratterizzante, il sibilare degli archi (“Seqq. 6, 8”), gli echi del flauto basso nel silenzio (“Seqq. 11, 14”). Una parziale sintesi è “Seq. 5”, un “pezzo lungo” (8’ 40”) di greve immobilità sfociante in un finale molto mosso. Basso lento in cadenza, minuscole percussioni ravvicinate, svolazzi degli archi, briciole di vibrafono, vitree fasce elettroniche, interventi semitonali del flauto sugli archi astratti e protratti, cimbalom solo e note pianistiche ribattute: claustrofobia in musica, seguita da un’impennata di basso, batteria e clavicembalo in ritmo ed archi strappati e densi. Pagina di concezione moderna ove l’astratto convive con il concreto, lo spunto tonale con l’atematismo, la struttura con il frammento.
Il versante lirico si esplica in due momenti riconducibili alle seqq. 1 e 4 e variazioni. “Seq. 1” è un esempio tipico dello “stile Nicolai”, una di quelle melodie arcane e sognanti e con qualche eco sinistro dissimulato con abilità, delle quali ha popolato molti gialli thriller e non solo. Apre un clavicembalo d’impronta molto classica e molto caro all’autore, seguito da una sequenza di note affidate al flauto basso (il cui timbro è sempre un poco misterioso) e tenute insieme da un flusso orchestrale pieno e compatto. Un intermezzo con piano ed archi in acuto varia il paesaggio in attesa della ripresa conclusiva, il basso elettrico conferisce il giusto ritmo e incalza. In “Seq. 10” il ritmo è tagliato e le note, private del moto, sviluppano panorami onirici. Qui è un ostinato dei contrabbassi ad aprire alla melodia, eseguita sempre dal flauto basso ma lenta questa volta e con abbellimenti del clavicembalo o forse del cimbalom, quattro note che si inseriscono nelle pause ed accentuano la percezione di un mondo remoto. “Seq. 18” fonde la modalità rarefatta e quella “concreta”: la prima introduce, la seconda prosegue e chiude.
“Seq. 4” è il secondo momento lirico. L’inizio è aperto, con note ribattute del pianoforte che potrebbero sfociare nella tensione come in un canto amabile (e infatti, in “Seq. 2” lo sviluppo è al cupo; e si tratta, per inciso, di uno stilema molto praticato al tempo, ne troviamo esempi in Morricone, De Masi e probabilmente altri: uno dei marchi di fabbrica della nostra musica per il cinema). Qui si accede alla piacevolezza di un flicorno che esegue una melodia lieve venata di malinconia, un intrattenimento gentile al quale abbandonarsi cullati dalle note: pagina leggera ma di qualità, pensata forse per qualche figura femminile, ripresa in “Seq. 7” con l’aggiunta di un interludio quasi lounge, e in qualche altro momento a pausare l’angoscia diffusa.
Dagli archivi della Edi-pan è uscita questa poco nota score del maestro Nicolai, già edita dalla Digitmovies nel 2009 e poi scomparsa (500 copie si esauriscono in fretta), ripubblicata ora sia in vinile (10 brani, 300 copie) sia in CD con le linear notes di Claudio Fuiano. Un atto dovuto verso un musicista che ci lascia ancora molto da (ri)scoprire, se un giorno saranno portati alla luce i numerosi inediti e le tante opere non più disponibili per l’ascolto.
(1) MARCEL PROUST, All’ombra delle fanciulle in fiore, trad. di F. Calamandrei e N. Neri, Torino, Einaudi, 1978, p. 131.
(2) La scelta di affidare ad altri la direzione orchestrale nacque da una richiesta di Sergio Leone che voleva il suo musicista nella saletta con il mixer: “L’idea mi parve buona, tanto che subito dopo presi l’abitudine di fare così anche con altri registi e alla direzione chiamai un grande musicista ed amico: Bruno Nicolai […]” (ENNIO MORRICONE, Inseguendo quel suono. La mia musica, la mia vita. Conversazioni con Alessandro De Rosa, Milano, Mondadori, 2016, pp.46-47: 47).
(3) Défense de savoir (1973), edizione estesa Digitmovies CDDM132 (2009).
(4) “Di tutti i collaboratori con cui ha lavorato in più di 170 film, qual è quello di cui conserva ricordi più belli?” […] “Bruno Nicolai” (dichiarazione risalente al 2005 raccolta da Alessandro Tordini, in ID., Così nuda così violenta. Enciclopedia della musica nei mondi neri del cinema italiano, Roma, Arcana, 2012, p. 75.
(5) Editoriale di Manlio Gomarasca in“Nocturno” 246, giugno 2023, p. 3.
(6) https://www.discogs.com/release/15655705-Bruno-Nicolai-Caligula-Complete-Motion-Picture-Soundtrack;
per l’ascolto: https://www.youtube.com/playlist?list=PLaKIHqXRMCD3MjhJE4FgnrEO5poEPAm3J (ultimi accessi: agosto 2023).
(7) D. SALVATORI, “Noi siamo le colonne sonore. Bruno Nicolai: ha lavorato con Olmi e Visconti”, in “Il Messaggero”, 26 agosto 1983 (cit. in https://www.treccani.it/enciclopedia/bruno-nicolai_%28Dizionario-Biografico%29/, voce curata da Claudia Caneva; ultimo accesso: agosto 2023).
(8) MAURIZIO CORBELLA, Morricone/Nicolai: le dimensioni sonore di una misteriosa sinergia. Articolo contenuto nel booklet del cofanetto ENNIO MORRICONE/BRUNO NICOLAI, Dimensioni sonore: musiche per l’immagine e l’immaginazione, Dialogo 2020.
(9) https://www.discogs.com/release/16553688-Bruno-Nicolai-Untitled (ultimo accesso: agosto 2023)
(10) SERGIO MICELI, Musica per film. Storia, Estetica - Analisi, Tipologie, Milano, RICORDI-LIM, 2009, p. 388 n. 149.
(11) GIANNI RONDOLINO, Cinema e musica. Breve storia della musica cinematografica, Torino, UTET, 1991, p. 116.
(12) CORBELLA, cit. Si veda anche SERGIO MICELI, Morricone, la musica, il cinema, nuova edizione a cura di M. Corbella, Milano, RICORDI-LIM, 2021, pp. 334-335.