Star Trek II – The Wrath of Khan
James Horner
Star Trek II: L’ira di Khan (Star Trek II – The Wrath of Khan, 1982)
Retrograde/Film Score Monthly – FSM 80128-2
23 brani – Durata: 75’28’’
La partitura redatta nel 1982 da un allora ventinovenne Horner per il secondo franchise destinato al grande schermo, derivato dagli episodi televisivi concernenti l’Enterprise, la sua flotta e le avventure nell’ultima frontiera, ricopre un ruolo fondamentale non solo nella filmografia del compositore di Titanic, ma anche nel contesto cinemusicale di genere degli anni’80. Un decennio peraltro, soprattutto nella sua prima metà, oramai storicamente archiviato come uno dei meno felici per le colonne musicali in fatto di edizioni discografiche. Considerati infatti gli score rilevanti prodotti in quel frangente statunitense ancora oggi orfani di pubblicazioni ufficiali, l’operazione di FSM reclama giustamente un’attenzione sopra la media e – data l’attesa cresciuta negli anni per il titolo in questione, nonché la solita cura riservata all’edizione – un valore senz’altro epocale. E il fatto che Horner sia stato in fondo – insieme ad Elfman – il giovane autore tra i più pubblicati di quella stagione, e che lo stesso Khan abbia goduto di un’incisione tempestiva su LP (poi recuperata digitalmente dalla GNP Crescendo in un CD oramai storico), sono elementi che non vanno ad intaccare in nessun modo il valore del progetto: anche al netto del restauro dei materiali, a fare la differenza è la possibilità di poter ascoltare nella sua interezza il lavoro horneriano finalmente svincolato dalla ristrettezza di selezione operato per i precedenti release.
L’ira di Khan rappresentò il battesimo del fuoco di Horner nel mainstrem hollywoodiano. Sebbene già forte di un collaudo orchestrale di tutto rispetto conseguito negli ambiti low-budget di Roger Corman (Monster, I magnifici sette nello spazio) è inoltre con questa pellicola che il compositore dimostrò all’industria di meritare un posto tra i migliori sinfonisti cinematografici emersi sul volgere dello scorso secolo. In questo senso, sarà bene ricordare che insieme ai già lungamente affermati Williams e Goldsmith, fu Horner più di tutti i suoi colleghi ad accattivare l’attenzione degli appassionati, riuscendo con una sequenza di spartiti perfettamente adempienti la struttura della musicazione fantasy e fantascientifica (tematismo stretto e vibrante incentivato da una notevole dote melodica, eleganza di scrittura, orchestrazioni rigogliose e brillantezza di trattamento nelle occorrenze action) ad emergere repentinamente come miglior esponente musicale del blockbuster da intrattenimento, con fanzine e circoli di aficionados germogliati già con largo anticipo sull’introduzione del Web.
I paradigmi di musicazione elencati trovano eccellente palcoscenico in Khan. Lungi dall’appellarsi ad un modus operandi meramente scolastico, Horner profuse poi nel film anche elementi di stile personale destinati a perdurare – di pari passo con una freschezza espositiva forse mai del tutto eguagliata e in parte senz’altro riconducibile alla libertà ottenuta dalla produzione, decisa a prendere le distanze dal primo capitolo cinematografico della saga e conseguentemente anche dall’epitome musicale concepito per l’occasione da Jerry Goldsmith. All’immancabile impalcatura leitmotivica Horner contribuisce autorialmente con un gusto oramai assai noto per l’elaborazione melodica estesa (è il caso del tema di Kirk e dell’Enterprise, magistralmente espressi nel “Main Title”); i suoi trascorsi come compositore classico si dimostrano preziosi nel dotare il cimento di una ricchezza armonica non indifferente (anch’essa mai del tutto ripresa in seguito, nel merito della quale non può mancare un riferimento alla collaborazione con un vecchio gigante dell’orchestrazione come Jack Hays) e un piglio per l’uso di timbriche inconsuete (si vedano i flauti di Pan nel tema di Spock e soprattutto l’uso delle cornamuse nell’adattamento di “Amazing Grace”) ugualmente destinato a connotare l’excursus futuro del compositore. Le pagine action sono però quelle a trarre maggior vantaggio dal riascolto del lavoro, anche grazie ai materiali per la prima volta disponibili al di fuori dalle immagini (“Enterprise Attacks Reliant”). Si ritrova un Horner quasi antipodico rispetto ai suoi score contemporanei: un dettaglio narrativo puntualissimo, un’aderenza dinamica all’azione gestita con grande dispendio di forze orchestrali e una fluidità nell’avvicendamento delle invenzioni tematiche degne del miglior classicismo da Golden Age. Tra i molti, si segnala l’ascolto dell’emblematico tour de force sbrigliato in “Genesis Countdown”, un brano nuovamente latore di topoi horneriani a venire come le incalzanti variazioni di tempo su salti d’intonazione.
Contestualmente agli indicatori del prorompente talento giovanile, l’ascolto odierno della partitura non può però non attivare anche una verifica retrospettiva fortemente resocontista degli embrioni stilistici destinati ad avere la meglio sull’impeto esordiente dell’autore e a sedimentarsi nell’arco di circa un ventennio come vizi formali preponderanti, risultanti – per predilezione insistita e progressivo svuotamento dell’ordito orchestrale a tutto vantaggio di una concezione armonica essenziale e trasparente – nell’archetipo di maniera dell’Horner odierno. Tutt’altro che secondaria o marginale è anche la tentazione citazionistica segnalata già in Star Trek dal ricorso al ricalco britteniano e prokofieviano, così come l’inclinazione all’autoplagio (in molti riconoscono già in questa prima vetrina hollywoodiana molte soluzioni approntate per le precedenti esperienze cormaniane) e infine i riferimenti al repertorio della serie d’origine. Oltre alla citatissima sigla di apertura – espressamente voluta da produzione e compositore – gli echi e le ascendenze dal lavoro redatto da Alexander Courage per il seriale sono in realtà maggiori di quanto sembri, ad iniziare dai trattamenti dissonanti per le psicologie straniate (prontamente rilevati nelle note di copertina di Bond, Kendall e Kaplan) fino a mutuazioni armoniche meno note, forse più discutibili, ma sicuramente interessanti (l’impalcatura araldica del tema di Kirk e i travestimenti rinascimentali di Courage ne “Al di là del tempo” dalla prima stagione della serie classica).
Così l’integrale di Star Trek II, tra pregi e difetti in nuce, non si riduce soltanto al definitivo reperimento di un tassello cruciale nella vasta discografia del compositore ad unico appannaggio dei numerosi completisti horneriani, ma oltremodo guadagna rilevanza ai fini di un approccio analitico nei riguardi della produzione schermica di uno degli autori più discussi della modernità. Soprattutto le nuove generazioni, abituate e forse già assuefatte alla più recente estetica di scoring astratta e sincronicamente “larga” del musicista di The Missing, The Forgotten e Flight Plan, troveranno in questo lavoro la soluzione all’enigma di notorietà di un artista che forse solo in interventi rari e sempre più estemporanei, come quelli per La leggenda di Zorro e Spiderwick – Le cronache, ha rispolverato recentemente le capacità compositive che proprio il primo sequel della saga trekkiana impose a pubblico e critica.