Night at the Museum: Battle of the Smithsonian
Alan Silvestri
Una notte al museo 2 – La fuga (Night at the Museum: Battle of the Smithsonian, 2009)
Varèse Sarabande 302 066 969 2
23 brani – durata: 50’04’
Nell’incontro con il regista Shawn Levy, Alan Silvestri potrebbe aver trovato quello che esimi e compianti colleghi della Silver Age come Elmer Bernstein e Jerry Goldsmith trovarono, rispettivamente, in Ivan Reitman e Joe Dante ad un preciso volgere delle loro carriere. La leggerezza ironica del primo Una notte al museo e la virata decisamente parodico-citazionista di questo secondo capitolo, rendono infatti il nuovo connubio un’esperienza forse necessaria per il cinquantanovenne compositore di Forrest Gump, adeguato ponte equilibratore tra l’autorialità di Robert Zemeckis e l’action enterteinment di Stephen Sommers - le uniche due collaborazioni continuative attualmente gestite dal musicista dopo l’estinguersi delle partnership con Stephen Hopkins e Mick Jackson.
Levy, come da programma, riunisce gli ingredienti vincenti del primo film con Ben Stiller (campione d’incassi oltreoceano, successo ripagante ma meno clamoroso in Italia), aumenta la portata comica, moltiplica i personaggi e ingaggia uno sfacciato gioco di rimandi con lo spettatore – non di rado chiamato direttamente in causa in questa dialettica referenziale – farcendo praticamente ogni situazione di omaggi e menzioni dissacranti al cinema, alla storia americana e alla cultura generale. E riuscendo, anche se mai del tutto compiutamente e passando per numerosi cali di tono (il doppiaggio italiano collabora calcando la mano tra dialetti nostrani e licenze di adattamento), a consegnare un decente esempio di family fantasy incredibilmente estraneo all’imperante logica della volgarità e del doppio senso come motori di traino del pubblico giovanile ma bensì attraversato da un apprezzabile volontà di ludica educazione. Impianto cui Silvestri si rapporta dimostrando complessivamente spontanea felicità d’approccio, pur confermando una fisiologica tendenza alla riduzione di portata estetica e alla prassi da “confezionamento” nel frangente dei sequel derivanti da film già detentori del suo contributo musicale (a dispetto dell’organico orchestrale maggiorato rispetto al capostipite del 2006). Un deficit formale compensato però dalla scaltrezza contenutistica che l’autore sbriglia per corrispondere il serrato succedersi di richiami filmici dello script, costruendo un vero e proprio pastiche dove le dominanti sono la letteratura cinematografica e il patriottismo americano.
Se l’ispirato parco tematico del primo episodio non viene mai del tutto abbandonato – ad iniziare dal fiabesco e misterioso main theme, rimasto pressoché immutato nei titoli di testa – sono i numeri parodici a guidare motivicamente un Silvestri mai prima d’ora così propenso alla citazione scoperta e frontale. Ad iniziare proprio dai citati Bernstein e Goldsmith, forse in un effettivo disvelamento dei referenti ‘di metodo’. Il primo risuona sin dall’inizio, in quanto a portamento scaltro e insieme comico, all’arrivo del protagonista nella capitale americana (“To Washington”): un gustoso incedere marziale che riporta alla scrittura rétro de La grande fuga (ma è una pagina che potrebbe tranquillamente essere uscita anche dalla partitura di Jerry Fielding per Advise & Consent di Preminger). L’amato Goldsmith guadagna invece tributi più raffinati e strutturali, inseriti perlopiù in interventi articolati su una rassegna di differenti cliché. Si veda ad esempio “The Tablet”, avviato da un solo di percussioni a là Gerald Fried e presto interrotto dalla scanzonata prima apparizione del tradizionale Garryowen, apposto a tema del Genrale Custer. A 01’43’’ Silvestri lancia un ostinato per archi che attraversato dalle scorte delle trombe e dal rubato dei tromboni reclama indiscutibilmente la sua natura goldsmithiana ricadendo poi nella marcia irlandese e infine in una chiusura elettro-sinfonica. Altre reminiscenze cinemusicali abbondano nel composito “Escape in Wright Flyer”: un’imprevista, filologica rilettura delle tipiche fasce muscolari zimmeriane (senza dubbio frutto di un temp-tracking strettissimo, anche vista la poca affinità del passaggio con le immagini) lascia posto, con la partenza dell’aereo sul fotografico, ad un raffinato allegro orchestrale che trasuda ricchezza williamsiana; di nuovo una sequenza ostinata e poi l’aprirsi fulminante di rapide battute che appartengono a buona parte del classicismo western (così come l’irruenza ritmica potrebbe appartenere ad un’infinità d’interpunzioni goldsmithiane). Ma la carrellata di corrispondenze cinematografiche è praticamente inesauribile: John Barry e Lalo Schifrin risuonano nell’avvio di “Daley Devices” e il loro tocco si mischia all’elettronica di Mike Oldfield nella suspense di “Getting Past Security”; gli ottoni in sordina di “Finding Jed and the Others” riaffermano il debito del franchise con Ai confini della realtà; il magistero del “cappa e spada” sinfonico di stampo korngoldiano si erge nel comico “Octavius Attacks”, dove Silvestri sembra concedere un assaggio di quella che sarebbe potuta essere la sua controparte musicale alla saga de I pirati dei Caraibi; infine – in una lista solo indicativa e non esaustiva - un accesso impasto di rock e orchestra fa il verso al Don Davis di Matrix in “On Your Toes”. Il gioco è anche autoreferenziale e infatti l’autore non manca di infondere nella partitura più di un cenno ai suoi radicati stilemi magniloquenti (soprattutto da La Mummia - Il ritorno) ed elettronici (Tomb Raider: La culla della vita), in un sistema di soluzioni personali invero anch’esso molto articolato.
Con una durata totale di 50 minuti, il disco offre un ascolto godibile che deve allo spotting frammentario e alla brevità di buona parte dei brani la condivisione di pregi e difetti con il suo predecessore. A farne le spese maggiori sono le intuizioni musicali più interessanti, spesso risolte in velocità e senza sviluppi capaci di elevarle al di sopra del mickey-mousing stretto e professionale. Una costante che trova comunque maggiore idoneità in questo secondo lavoro, votato a rinforzi delle gag su schermo spesso fini a se stessi e quindi in grado di risolvere autonomamente le proprie identità. Silvestri da prova di un eclettismo ancora felicissimo ed esce nuovamente dal progetto rimarcando la sua estrema sensibilità nell’afferrare lo spirito delle immagini con cui è chiamato ad interagire, senza protagonismi e ostentazioni formali e con la dignità nel non prendersi sul serio che i colleghi citati in apertura avevano ugualmente dimostrato in simili occorrenze.
Non resta che chiedersi, mentre si fa posto al CD di questa seconda Notte al museo tra quelli di Ghostbusters e Looney Tunes: Back in Action, cosa riserverà in futuro la sua collaborazione con Levy. Sempre che sia destinata a durare.