Reportage del concerto “Boléro!”
Ravel, compositore per il Cinema?
Reportage del concerto “Boléro!” in date 8-9-11 giugno 2023 con la performance dell’Orchestra Sinfonica di Milano
Ho (abbiamo) speso tanti di quegli aggettivi per descrivere le performance dell’Orchestra Sinfonica di Milano, da quando la frequentiamo per i suoi concerti (non soltanto) e cine-concerti di e sulle colonne sonore, che ne dovremmo trovare (o inventare) di nuovi, per non ripeterci e per esprimere l’enorme gratitudine nei suoi confronti, per tutte quelle spropositate emozioni che ci ha regalato negli anni. E’ un’orchestra che se la gode mentre esegue i suoi programmi concertistici e questo godimento viene trasmesso al pubblico che a sua volta ne amplifica il sentimento all’ennesima potenza. Tale coinvolgente godimento si è palesato nel bellissimo concerto di 70’ tributante il compositore francese Maurice Ravel (Biarritz, 7 marzo 1875 – Parigi, 28 dicembre 1937) con un programma riportante “Alborada del gracioso”, “Concerto per pianoforte e orchestra in Sol maggiore”, “Concerto per pianoforte e orchestra per la mano sinistra in Re maggiore” e “Boléro”, con la compagine milanese diretta dall’inglese Wayne Marshall – una conduzione direttoriale, senza bacchetta, assai precisa nel dare l’attacco ad ogni solista o sezione orchestrale – e l’esecuzione solista del pianista russo Kirill Gerstein, cittadino americano residente a Berlino, dei due “Concerti” di cui sopra, con una tale immersione, eleganza e vigoria da rubare la scena a tutta l’orchestra: un camaleonte fantasista della tastiera del pianoforte che nelle sue mani (o mano sinistra nel caso del “Re maggiore”) fa decantare tutte le possibili coloriture, tirandone fuori addirittura delle nuove fantasmagorie.
Il Ravel di queste quattro composizioni, parecchio celebri e celebrate, ammalia, magnifica, strugge, rapisce e poeticamente intenerisce tutto il corpo e lo spirito – difatti il numerosissimo pubblico dell’Auditorium di Largo Mahler ha corrisposto il trasporto emozionale performativo con applausi simili a fuochi d’artificio interminabili e con una pressante richiesta di Bis da perdere la voce per le urla a ripetizione, direi più che giustificate e riconoscenti per l’aver assistito a qualcosa di realmente ineguagliabile e commovente (non vi nego che nel sottoscritto, e in chi gli stava accanto, lacrime e brividi da accapponare la pelle sono sopraggiunti in più momenti) – e porta ragionevolmente alla conclusione (ancora una volta e di più) che sia stato veramente un gran peccato e uno spreco che uno dei maggiori esponenti del Novecento musicale (non esclusivamente) francese non abbia avuto il modo di cimentarsi nella composizione filmica – in realtà, prendendo spunto da un estratto di Roberto Pugliese tra le nostre pagine web, una proposta vi fu: <<…così come oltralpe spicca il caso di Maurice Ravel (1875-1937), cui nel 1933 furono commissionate le musiche del Don Chisciotte di Georg W.Pabst, ma al quale venne poi preferito il lavoro di Jacques Ibert (1890-1962)… (clicca qui per l’articolo integrale)>> – dove avrebbe dimostrato, a mio modesto parere, mature doti nell’applicare le sue solenni poetiche raffinate e variopinte pentagrammate al mondo della celluloide, come o meglio di altri suoi colleghi classici prima e dopo di Lui.
Gli stessi “Alborada del gracioso” (un giocoso valzer ispanico appropriato per un film d’animazione o una dinamica avventura sentimentale della Golden Age tra cappa e spada e film storico-guerresco), “Concerto per pianoforte e orchestra in Sol maggiore (Allegramente – Adagio assai – Presto)” (gershwinianamente jazz-noir per commedie d’azione o thriller), “Concerto per pianoforte e orchestra per la mano sinistra in Re maggiore (Unico lento – Allegro)” (idem come la precedente, idonea anche per drammi mistery) e “Boléro” (qui la sua adattabilità e riproducibilità sul girato non ha confini e generi) sono quadri di note tra le immagini di una bellezza mutevolmente assoluta (mutevole perché adattabile a diversi luoghi e tempi) –. Il “Boléro”, nella versione ascoltata nel concerto ivi recensito, ha presentato delle piccole ma significative ed esaltanti variazioni solistiche iniziali, divertite e divertenti (e torniamo al godimento citato in testa all’articolo) di matrice jazzistica, che hanno stupito affabilmente e meravigliosamente gli astanti. Questo movimento in crescendo, dalla circolarità ipnotica trasversale e tracimante nel suo energico e valzeristico puzzle ricercato in divenire, molti compositori per il cinema e la serialità lo hanno usato, citato, parafrasato in plurimi casi: una su tutte, quella che mi sovviene a memoria, il “Bolerisch” del compianto Ryuichi Sakamoto per il film di Brian De Palma del 2002, Femme Fatale, per la scena d’apertura del furto di gioielli. Quindi la domanda che risalta come titolone di questo reportage, Ravel, compositore per il Cinema?, sì, senza se e senza ma.