Buio in sala
Massimiliano Cignitti/AA.VV.
Buio in sala (2022)
Dodicilune/Controvento CTV161
12 brani – Durata: 60’24”
Tanta e tale è la passione per la musica per film in Massimiliano Cignitti che lo scorso anno ha prodotto, composto, suonato e distribuito questo CD che consta di sue composizioni originali e di artisti vari di cui al momento non vi svelo i nomi. Un album ispirato e ispirativo che suona “Cinema” ad ogni nota ed anche un esperimento sonoro che lascia a bocca aperta per idee di arrangiamento e performative profuse ad ogni traccia e per la ripresa audio di una qualità superba da far tremare i vetri di casa e non solo. Ho fatto la conoscenza del bassista e compositore Cignitti durante l’ultima edizione del Music Day a Roma ed è stato subito come se ci conoscessimo da tempo, nel solo parlare della nostra comune passione per le colonne sonore, arrivando a donarmi questo suo album. L’ascolto è stato tardivo per impegni pregressi ma la scoperta di cosa vi era musicalmente all’interno è stato un colpo di fulmine: dodici tracce che atmosfericamente, freneticamente, travolgentemente, magnificamente e cinefilamente suonano prog, rock, techno, jazz, funky, punk, ambient e sottogeneri annessi e connessi, con una virtuosa bravura da stupire ascolto dopo ascolto, citando sequenze, partiture, pagine narrative e recitative cine-musical-letterarie di Fellini, Antonioni, Wenders, Petri, Borges, Solanas, Morricone, Rota, Volontè, Bartok, Piazzolla, Kubrick, Rocha e Godard. Il massimo del massimo pompato compositivamente, interpretativamente e spiritualmente al massimo…anzi al Massimiliano (passatemi la battuta).
Il bassista romano in queste 12 composizioni originali, vagheggiate ed eseguite come colonne sonore concettualmente consacrate ai suddetti personaggi della Settima & Ottava Arte, nonché quella letteraria, è affiancato dalla band composta da Mauro Scardini (piano e tastiere, autore dell’ultimo brano “Sentimento del tempo”), Giancarlo Ciminelli (tromba e flicorno), Marco Guidolotti (sax, flauto) e Marco Rovinelli (batteria), altri nove musicisti (violini, trombone, parti vocali, viola e violoncello) in alcuni pezzi e come special guest il chitarrista franco-vietnamita Nguyên Lê, nome di spicco della musica rock, funk e jazz che ha collaborato con Michel Portal, Dave Liebamn, Ray Charles, Trilok Gurtu, Renaud Garcia-Fons, Paolo Fresu e altri nomi del jazz internazionale. Altri ospiti speciali rendono questo album un portento sonoro performante a livelli altissimi: l’armonicista svizzero Grégoire Maret, ritenuto l’erede di Toots Thielemans, un Grammy in carriera e collaboratore di Pat Metheny, Herbie Hancock, Cassandra Wilson, Prince, Sting, Elton John e Tito Puente, l’arpista colombiano Edmar Castaneda, che ha suonato con Sting, Paco de Lucía e John Patitucci e il batterista statunitense Mark Colenburg, un altro vincitore del Grammy Award, al fianco in alcuni lavori di Kenny Garrett, Mos Def, Lauryn Hill, Macy Gray e tantissimi altri.
Il cinquantunenne Cignitti fa “Buio in sala” con il primo brano dal titolo “O Venezia venusia venaga” che altro non è che un tributo dichiarato a Nino Rota de Il Casanova di Federico Fellini del 1976, trasfigurato tematicamente in un viaggio sonoro psichedelico che diviene evocativo paesaggio oriental-indiano sotto l’ala atmosferica dei Pink Floyd della prima ora, con un riverbero alla Gabriel Yared di Betty Blue (1986). “Nostalgia del presente”, che prende il nome da un poema di J.L. Borges, è puro poliziesco Blaxploitation funky/jazz alla Stelvio Cipriani che incontra Isaac Hayes in un vorticoso abbraccio di note, con intromissione centrale di un leitmotiv alla Bixio-Frizzi-Tempera e Goblin: la chitarra elettrica, il basso, batteria, piano e tastiere fanno scintille in questo tributo a Gian Maria Volontè per il cinema visionario di Elio Petri, come da commento del booklet. “Un’eclisse” fin dal titolo enuncia apertamente il suo omaggio a Michelangelo Antonioni e al suo fedele compositore Giovanni Fusco ed anche a Wim Wenders e ai suoi vari compositori, con una traccia solennemente prog-rock-jazzy tutta in levare, con il piano folletto improvvisativo e il basso elettrico che contrappunta cantando il tema danzante, supportato da una batteria dinamicamente impazzita. Fernando Solanas e il suo fidato Astor Piazzolla si ritrovano coinvolti nel brano “Tanguedia 2020”, conferiti di una prodigiosa onorificenza musical-esecutiva per armonica appassionata e basso in contraltare che ballano sensualmente e vertiginosamente l’un l’altro, travolti da cocente passione sonora. “Shaft is Back”, nomen omen, è un bagno di sangue Blaxploitation al cardiopalma che raggruppa Quincy Jones, Herbie Hancock, Isaac Hayes, Marvin Gaye, Bobby Womack, Gordon Parks e Johnny Pate sotto anfetamine (ma di quelle buone, ‘musicali’): un pezzo da paura, che sarebbe adattissimo per commentare scene di fuga e inseguimento altamente adrenaliniche. Qui il virtuosismo si spreca e scavalca vette inscavalcabili, con il sax a farla da padrone ma non solo, perché il turbinio godurioso della performance di tutta la band è da fuori di testa. “Buio in sala”, con la voce velatamente brillante e acutamente dolce di Valentina Petrossi a cantarne il testo che ricorda i bei tempi della Dolce Vita felliniana e della Hollywood sul Tevere, è un brano pop-rock soft alla Spyro Gyra che strega nelle parti solistiche, da invogliare a sentirlo a loop. “Ennio’s Dream” non abbisogna di presentazione anche perché l’omaggio è palese: il mito di Morricone è narrato da un solo apparente parafrasar Metti, una sera a cena che invero divien un adagio elegiaco per archi (Diego Mathhey, Aurianne Philippe, Claire Hélène Rignol e Thémis Bandini) e piano, con vocalismo sensoriale di Federica Zavaletta e l’arpa astrattamente gocciolante di Edmar Castaneda. Un motivo che riesce ad essere morriconiano (assoluto e cinematico) pur non essendolo affatto, quindi plauso spropositato. “Choro For Glauber”, omaggiante il poeta, regista, sceneggiatore e rivoluzionario del Nuovo Cinema Brasiliano Glauber Rocha, è un pezzo totalmente isterico, ridondante e circolare che inneggia alla samba con vocalizzi grotteschi e repentini di Susanna Stivali e tromba, flicorno, batteria, basso, sax e piano che folleggiano allegramente all’unisono. “JLG”, contrazione di Jean Luc Godard, suona ‘lontano’, riverberato, spaziale, per basso elettrico solo iniziale che lascia il posto all’armonica dalle movenze piazzollane in un tango suadente e addolorato che dona poca speranza all’amore anche se ne cerca spiragli ogni dove. “Snaporaz”, dedicato all’indimenticabile nostra icona Marcello Mastroianni, così soprannominato dal suo Fellini, è un feuilleton simil trovajoliano, un po' bossa nova, rumba e samba in giullaresco assemblaggio, ammattito e svagato per fiati e compagnia suonante, è un altro di quei pezzi al cardiopalma. “Theme From 2 Movement of Music For Strings, Celesta and Percussion”, di kubrickiana e bartokiana memoria per Shining, è solo la metamorfosi funky-jazz-prog del famoso tema, perché decomponendolo improvvisativamente ne mostra un lato sconosciuto pure a Bela Bartok quando lo compose, quello della pura reinterpretazione scardinante ogni regola compositiva originaria, con arguta e virtuosa performance oltre ogni limite consentito dal genere sonoro di appartenenza e di quello utilizzato nel mutarlo. “Sentimento del tempo” di Mauro Scardini è l’epilogo arpistico jazz/new age, in cui si innestano gli altri strumenti a poco a poco con giocosa partecipazione improvvisativa, di questo sorprendente concept album cinematico sin nel midollo pentagrammato: un epilogo che fa esclusivamente dire di scovare questo CD e andarvelo immediatamente ad acquistare.
Applausi a tutti i musicisti e a Cignitti che non vediamo l’ora di scoprire compositivamente in un nuovo album e magari in una colonna sonora, perché la veste di autore di note tra le immagini gli si addice, eccome.