A Christmas Carol
Alan Silvestri
A Christmas Carol (id., 2009)
Disney Records Digital Download
18 brani (17 di commento + una canzone) - durata: 45' 41"
Con il suo terzo lungometraggio votato alla produzione di immagini in performance capture, Robert Zemeckis mette a punto un dosaggio delle istanze enunciative che hanno regolato la nuova tecnica audiovisiva sin da Polar Express. Appaiono definite con maggior cura e precisione tanto le imbastiture narrative quanto i codici formali, facilmente inebrianti in sede di regia considerate le potenzialità praticamente infinite offerte dal mezzo.
Con una concezione maggiormente calibrata della relatività cinematografica (risultante in una messa in scena meno debordante seppur sempre generosa nei riguardi delle possibilità spaziali della tecnica) e un’integrazione ancor più accentuata tra storia e rappresentazione sul fronte discorsivo, A Christmas Carol si presenta come il miglior risultato finora concepito del regista di Forrest Gump dopo l’accesso nel radicalismo digitale. Stanti le imprecisioni e i difetti estetici ancora imputabili alla perfettibilità della prassi di scansione attoriale, il nuovo cinema zemeckisiano sembra orientato al dissipamento della sua primitiva ambizione attrazionale e pronto alla somatizzazione di questo lessico maggiorato all’interno del sistema autoriale impostato dal cineasta sin dagli anni ’80.
Ciò che permane invece nel fedele adattamento della celebre novella dickensiana – e anzi sembra certificarsi come autentico segno caratterizzante della neonata prassi – è la rottura dei limiti profilmici in favore di una totale immersione spettatoriale in un testo iperdiegetico, dove quadro e set diventano unica realtà fruibile e, grazie ad un uso funzionale ed intelligente del 3D, una seria ipotesi di immedesimazione primaria cinematografica pone le fondamenta per un’esperienza audiovisiva mai prima d’ora così partecipante.
A sua volta la controparte musicale di Alan Silvestri verifica un progressivo abbandono della ricorrente dicotomia alla base degli score per il regista americano integrati alle immagini durante il periodo tradizionale (live-action), solitamente articolata in un doppio registro stilistico continuamente intento a regolare l’oscillazione tra statuto classico della narrazione - la contemporaneità lineare da cui origina il plot - e digressione nei mondi possibili (la drammatizzazione coplandiana e l’idioma fantascientifico anni’50 in Ritorno al futuro, il jazz anni’40 e la rapsodia sinfonica in Chi ha incastrato Roger Rabbit?, l’americana scoring e il lessico herrmanniano ne Le verità nascoste). Sin da Polar Express Silvestri sembra infatti essersi immerso nel citato procedimento di immedesimazione spettacolare, elidendo il binomio strutturale alla musicazione in favore del solo secondo termine immaginifico, quello tributato alla mimesi del genere di riferimento richiamato in sceneggiatura. Un’aderenza interna al colorato e fiammeggiante scenario offerto dalla tecnica di capture che riflette l’accesso di Eddie Valiant nell’abbagliante cartoonia di Roger Rabbit. Dietro il sipario la musica cresce, acquista magniloquenza, si arricchisce di tutti gli attributi spettacolari che l’orchestra può offrire.
E così lo spartito redatto per A Christmas Carol. Silvestri, prendendo alla lettera il titolo dell’opera, dipana un lavoro di grande sinfonismo tracciato sulle coordinate delle note carole natalizie, facendo collimare integralmente l’ambientazione e la tematica diegetica con il carattere della partitura. Persino il ricorrente main theme, per quanto forte di una progressione tipicamente silvestriana, appare come contrazione di due evergreen festivi: ‘Good King Wenceslas’
e ‘Deck the Halls’. Intelaiatura portante dell’intero score, lo si ascolta con prominenza sin dall’incipit del “Main Title” (un edit di un cue ben più lungo nella versione schermica), dove, prima di abbandonarsi palpitante al viluppo fortemente virtuoso di orchestra e coro, è introdotto ritmicamente da un rutilante solo di timpani. Contribuisce alla forza del tema la vena connotativa dell’intero commento: un carisma giubilante in grande sintonia con Polar Express debitamente articolato dai trattamenti celebrativi sviluppati in passato dal compositore in lavori come Il padre della sposa e Stuart Little. A quest’ultimo titolo in particolare la musica accenna in alcune delle pagine più raccolte e dispensatrici di sentimentalismo (“Let Us See Another Christmas”). Raro momento di scrittura per organico ridotto, il motivo trova un corrispondente di basso profilo in “Scrooge Counts Money”, dove l’avaro protagonista è ritratto con piglio caricaturale attraverso un noto procedimento silvestriano di lettura melodica sezionata per interventi interrogativi delle parti: strumentini e archi si intervallano nell’esposizione di una frase ciaikoskiana rappresentativa di un altro riferimento sostanziale alla partitura, lo score di Un topolino sotto sfratto, cui aspira in parte anche l’incedere sornione di “Old Joe and Mrs. Dilber” – emblema dei più cadenzati movimenti a canone silvestriani, da Ho sposato un’aliena ad Amori e incantesimi. La coda del brano s’impenna in un eccentrico promenade degnamente rappresentativo delle esagitate scritture distintive dell’autore, particolarmente brillanti in chiusura del tetro e dissonante “Marley’s Ghost Visits Scrooge” (con evidenti rimandi al “Reunited” de Le verità nascoste) dove funamboliche accensioni stravinskiane e atmosfere gotiche degne de La morte ti fa bella mettono in risalto il violino del solista Rene Mandel.
A ruggire però nell’economia complessiva dell’opera sono le stesure di grande respiro, con punte operistiche, da cui la pellicola trae l’essenziale linfa drammatica. In questa sede Silvestri si adopera in una verticalità compositiva capace, in più battute, di superare le vette sinfoniche di Polar Express, con orchestrazioni a pieno regime e architetture armoniche ricche di abbellimenti e dei trilli inveterati alla forma del compositore. Il non plus ultra di questo trattamento è la regale “Touch My Robe”, svolta per l’avvio del viaggio di Scrooge con il fantasma del Natale presente: ad un progressivo accrescimento enfatico dettato dalla reiterazione di una fanfara ricalcata dall’autore sul suo misconosciuto commento per Sogno americano, si avvicendano due letture a tutta voce del tradizionale ‘Hark! The Herald Angels Sings’, con parti assai impegnative per ottoni e principalmente per la combinazione basso tuba/tromboni nella seconda presentazione. Altrettanto impressionante sotto il profilo compositivo ed esecutivo, “Carriage Chase” garantisce poi all’unica sequenza action del film (e rara divergenza dal testo originale della sceneggiatura di Zemeckis) un exploit silvestriano da annoverare tra i migliori ostinato del compositore negli ultimi anni, in grado di annichilire nei soli due minuti iniziali, con la sua variegata gestione ritmica e la verve da ouverture russa, buona parte delle escursioni adrenaliniche del precedente G.I. Joe – La nascita dei Cobra.
La latitanza di materiali melodici originali in A Christmas Carol - definita già la Fantasia su temi natalizi di Alan Silvestri - è efficacemente riscattata dall’inventiva orchestrale e la cura stilistica profusa in ogni intervento. Inoltre la promozione delle carole di stagione (tra l’altro evocate da Dickens stesso nel testo originale) a parco tematico, connota in maniera essenziale un’atmosfera d’epoca e uno spirito positivista a sua volta vibrante nel tratto grafico del cimento zemeckisiano. Spirito, non ultimo, ampiamente esacerbato nel finale di “God Bless Us Everyone”, interpretazione di Andrea Bocelli del tema principale su liriche di Glen Ballard, in cui Silvestri palesa ulteriormente l’importanza della compagine corale nella partitura, finanche offrendo al tenore toscano una possibilità di bravura grazie all’ultimo intervallo da romanza con cui la canzone modula alla sua conclusione.
Di fronte ad un lavoro così imponente e ricercato, il vincolo del download digitale imposto dalla Disney Records nell’applicazione di una politica discografica limitata ai soundtrack dominati da materiale strumentale, alimenta reazioni contrastanti: sacrificare un simile profluvio sinfonico alla compressione lossy (seppur ad alti livelli di resa e paradossalmente con risultati audio migliori di quelli sperimentati recentemente con il pressed-Cd di G.I. Joe) può far indignare, ma la possibilità di fruire ampiamente del commento nonostante il formato è assolutamente preferibile all’emissione di un Cd fisico con insufficienti estratti dallo score – sorte tristemente toccata all’altrettanto poderoso Polar Express - soprattutto quando in presenza di una compilazione così generosa.