14 Mag2015
Se permettete parliamo di donne
Armando Trovajoli
Se permettete parliamo di donne (1964)
GDM Music 4302
23 brani – Durata: 52’51”
La commedia a episodi fu un genere fortunatissimo nel cinema italiano degli anni Sessanta, quelli del boom, del miracolo economico, di un ritrovato benessere che consentiva ed anzi sembrava incoraggiare la satira di costume quasi come antidoto ad un imprudente eccesso di ottimismo.
Gli anni della contestazione e poi quelli di piombo erano ancora lontani, ma alcuni autori più sensibili e caustici trovarono proprio nella formula dei siparietti, dei bozzetti allineati l'uno all'altro e latamente connessi da un nucleo tematico il modo per affondare il bisturi di un umorismo spesso feroce, in egual misura misantropo e misogino, nella placida e spesso cinica pigrizia morale (quando non aperta mancanza di scrupoli) del cosiddetto “italiano medio”, così ben incarnato nei personaggi di Alberto Sordi o nelle maschere di Vittorio Gassman. Basti pensare a registi come Dino Risi, Mario Monicelli o al più giovane Ettore Scola, e a un film-manifesto come I mostri (1963) per avere un'idea della portata del fenomeno in termini sia culturali che sociali.
Fu appunto questa la formula scelta proprio da Scola per il suo debutto dietro la macchina da presa, con un soggetto scritto insieme al fido Ruggero Maccari e un cast che annoverava, accanto a Gassman, Walter Chiari e un giovanissimo Gigi Proietti, un comparto femminile formato da Sylva Koscina, Giovanna Ralli, Eleonora Rossi Drago e Antonella Lualdi. Contestualmente, Se permettete parliamo di donne segnò anche l'inizio di una collaborazione che sarebbe durata quarant'anni tra Scola e il musicista-principe della commedia all'italiana, Armando Trovajoli, il cui eclettismo funambolico e la cui confidenza con qualsiasi linguaggio e genere musicale andavano a nozze con le esigenze particolari del film a episodi.
Se ne ha una preziosa riprova in questa uscita filologicamente formidabile della GDM Music, prodotta da Gianni e Paolo Dell'Orso, che è andata a riprendere tutti i master tapes originali, restaurati digitalmente da Claudio Fuiano, fornendo così una panoramica completa della partitura trovajoliana che diventa anche una gallery di stili, modi, aspetti e metamorfosi all'interno di una musica “di intrattenimento” che spesso fungeva da malleabile involucro per l'estro variativo del compositore romano, il quale riusciva a trasformare in fonte di piccole gemme quella che per altri si sarebbe rivelata la trappola della frammentazione e della disomogeneità stilistica.
La lingua comune della partitura è, con tutta evidenza, il jazz, quel jazz di cui Trovajoli fu, insieme a Piero Piccioni e Piero Umiliani, maestro e pioniere italiano; ma la poliedricità delle situazioni, dei personaggi e delle locations (dalla campagna siciliana ai corridoi ministeriali della capitale) offre l'occasione al maestro per una serie di divertissement e di variazioni plurali e sapide. Se l'hit di apertura e di chiusura, “Parliamo di donne”, su testo di Sergio Bardotti, è la classica canzone da titoli qui proposta da Michele (voce pop dell'epoca, celebre per “Se mi vuoi lasciare” e “Dite a Laura che l'amo”), già “Lo stracciarolo”, saltellante e malizioso, ammicca quasi alle movenze del cinema muto; dopodichè sono le didascalie poste fra parentesi nelle varie tracce intitolate al film a illustrare come meglio non si potrebbe una guida all'ascolto. Il “nostalgico” del n.3 declina nel fraseggio pieno degli archi quella malinconia che era il basso continuo, spesso sottotraccia, dell'ispirazione di Trovajoli, mentre il seguente “surf” è uno scatenato ballo yè.yè. Archi, chitarra basso col plettro e armonica (quella di Franco De Gemini) declinano le generalità western del n.4, attraverso un tema poi ripreso nelle tracce n.8, n.16 e, con caratteristiche quasi tiomkiniane, nella traccia n. 20. Una piacevole sorpresa è l'auto-omaggio, in una lettura rapida e “sambata”, di “Roma nun fa' la stupida stasera”, il brano da Rugantino che conferì a Trovajoli, Garinei e Giovannini gloria planetaria; il pianismo languido e divagante di Trovajoli è poi cosparso nell'”easy jazz” della traccia n.13, con un gusto sopraffino della variazione e qualche non trascurabile eco dalla celebre “Blue Moon” di Rodgers e Hart. Il morbido impasto dei sax avvolge seduttivamente “Un amore difficile”, proposto due volte, mentre un delizioso, elegantissimo swing per piano e archi attraversa la traccia n.11 e l'organo Hammond (un “must” dei soundtrack di questo periodo, insieme alla più vetusta spinetta) caratterizza comicamente e freneticamente “Il carcerato”. Un blues insinuante e dalla complessa architettura si dipana nella traccia n.18 attraverso le evoluzioni ad intarsio del sax contralto, Un ruolo analogo spetta alla chitarra in trio con basso e batteria a spazzola della traccia “easy jazz” n. 19, che nella n. 21 lascia il posto addirittura a chitarre hawaiiane stile Santo & Johnny in chiave latina.
Come si vede, uno stile diversificato praticamente per ognuno dei nove episodi, a rappresentare fedelmente e con sintesi fulminea la realtà di sottofondo di ciascuno di essi; una “pièce di bravura” del compositore, che avviava un tandem – quello con Scola – foriero nei decenni a venire di autentici gioielli musicali.
Se permettete parliamo di donne (1964)
GDM Music 4302
23 brani – Durata: 52’51”
La commedia a episodi fu un genere fortunatissimo nel cinema italiano degli anni Sessanta, quelli del boom, del miracolo economico, di un ritrovato benessere che consentiva ed anzi sembrava incoraggiare la satira di costume quasi come antidoto ad un imprudente eccesso di ottimismo.
Gli anni della contestazione e poi quelli di piombo erano ancora lontani, ma alcuni autori più sensibili e caustici trovarono proprio nella formula dei siparietti, dei bozzetti allineati l'uno all'altro e latamente connessi da un nucleo tematico il modo per affondare il bisturi di un umorismo spesso feroce, in egual misura misantropo e misogino, nella placida e spesso cinica pigrizia morale (quando non aperta mancanza di scrupoli) del cosiddetto “italiano medio”, così ben incarnato nei personaggi di Alberto Sordi o nelle maschere di Vittorio Gassman. Basti pensare a registi come Dino Risi, Mario Monicelli o al più giovane Ettore Scola, e a un film-manifesto come I mostri (1963) per avere un'idea della portata del fenomeno in termini sia culturali che sociali.
Fu appunto questa la formula scelta proprio da Scola per il suo debutto dietro la macchina da presa, con un soggetto scritto insieme al fido Ruggero Maccari e un cast che annoverava, accanto a Gassman, Walter Chiari e un giovanissimo Gigi Proietti, un comparto femminile formato da Sylva Koscina, Giovanna Ralli, Eleonora Rossi Drago e Antonella Lualdi. Contestualmente, Se permettete parliamo di donne segnò anche l'inizio di una collaborazione che sarebbe durata quarant'anni tra Scola e il musicista-principe della commedia all'italiana, Armando Trovajoli, il cui eclettismo funambolico e la cui confidenza con qualsiasi linguaggio e genere musicale andavano a nozze con le esigenze particolari del film a episodi.
Se ne ha una preziosa riprova in questa uscita filologicamente formidabile della GDM Music, prodotta da Gianni e Paolo Dell'Orso, che è andata a riprendere tutti i master tapes originali, restaurati digitalmente da Claudio Fuiano, fornendo così una panoramica completa della partitura trovajoliana che diventa anche una gallery di stili, modi, aspetti e metamorfosi all'interno di una musica “di intrattenimento” che spesso fungeva da malleabile involucro per l'estro variativo del compositore romano, il quale riusciva a trasformare in fonte di piccole gemme quella che per altri si sarebbe rivelata la trappola della frammentazione e della disomogeneità stilistica.
La lingua comune della partitura è, con tutta evidenza, il jazz, quel jazz di cui Trovajoli fu, insieme a Piero Piccioni e Piero Umiliani, maestro e pioniere italiano; ma la poliedricità delle situazioni, dei personaggi e delle locations (dalla campagna siciliana ai corridoi ministeriali della capitale) offre l'occasione al maestro per una serie di divertissement e di variazioni plurali e sapide. Se l'hit di apertura e di chiusura, “Parliamo di donne”, su testo di Sergio Bardotti, è la classica canzone da titoli qui proposta da Michele (voce pop dell'epoca, celebre per “Se mi vuoi lasciare” e “Dite a Laura che l'amo”), già “Lo stracciarolo”, saltellante e malizioso, ammicca quasi alle movenze del cinema muto; dopodichè sono le didascalie poste fra parentesi nelle varie tracce intitolate al film a illustrare come meglio non si potrebbe una guida all'ascolto. Il “nostalgico” del n.3 declina nel fraseggio pieno degli archi quella malinconia che era il basso continuo, spesso sottotraccia, dell'ispirazione di Trovajoli, mentre il seguente “surf” è uno scatenato ballo yè.yè. Archi, chitarra basso col plettro e armonica (quella di Franco De Gemini) declinano le generalità western del n.4, attraverso un tema poi ripreso nelle tracce n.8, n.16 e, con caratteristiche quasi tiomkiniane, nella traccia n. 20. Una piacevole sorpresa è l'auto-omaggio, in una lettura rapida e “sambata”, di “Roma nun fa' la stupida stasera”, il brano da Rugantino che conferì a Trovajoli, Garinei e Giovannini gloria planetaria; il pianismo languido e divagante di Trovajoli è poi cosparso nell'”easy jazz” della traccia n.13, con un gusto sopraffino della variazione e qualche non trascurabile eco dalla celebre “Blue Moon” di Rodgers e Hart. Il morbido impasto dei sax avvolge seduttivamente “Un amore difficile”, proposto due volte, mentre un delizioso, elegantissimo swing per piano e archi attraversa la traccia n.11 e l'organo Hammond (un “must” dei soundtrack di questo periodo, insieme alla più vetusta spinetta) caratterizza comicamente e freneticamente “Il carcerato”. Un blues insinuante e dalla complessa architettura si dipana nella traccia n.18 attraverso le evoluzioni ad intarsio del sax contralto, Un ruolo analogo spetta alla chitarra in trio con basso e batteria a spazzola della traccia “easy jazz” n. 19, che nella n. 21 lascia il posto addirittura a chitarre hawaiiane stile Santo & Johnny in chiave latina.
Come si vede, uno stile diversificato praticamente per ognuno dei nove episodi, a rappresentare fedelmente e con sintesi fulminea la realtà di sottofondo di ciascuno di essi; una “pièce di bravura” del compositore, che avviava un tandem – quello con Scola – foriero nei decenni a venire di autentici gioielli musicali.