Into the Storm & The Expendables 1 - 2 - 3
Brian Tyler
Into the Storm (Id., 2014)
Varese Sarabande 302 067 292 8
18 brani – Durata: 47’32”
Brian Tyler
I mercenari – The Expendables (The Expendables, 2010)
Silva Screen Records SILCD1339
20 brani – Durata: 71’49”
Brian Tyler
I mercenari 2 – The Expendables (The Expendables 2, 2012)
Silva Screen Records SILCD1393
14 brani – Durata: 56’45”
Brian Tyler
I mercenari 3 – The Expendables (The Expendables 3, 2014)
La-La Land Records LLLCD 1313 (in USA)/Silva Screen Records SILCD 1462 (in Europa)
19 brani – Durata: 60’17”
Furia degli elementi e furia degli uomini costituiscono per Brian Tyler un input egualmente efficace, un fattore scatenante di fiammeggianti architetture sonore la cui unità di misura sembra, al contrario, la dismisura, l’imponenza, la schiacciante inesorabilità. Per Into the Storm, ultimo arrivato del filone catastrofico-climatico, è sufficiente l’individuazione di un solo, potente e solenne leit-motiv (in apertura lo udiamo alzarsi come un’onda altissima e incombente da celli e ottoni su un ostinato nervosissimo di archi e percussioni) per fargli ruotare intorno la concezione quasi sacrale della partitura, che si configura come una sorta di inno laico all’ineluttabile e selvaggia maestà della natura distruttrice.
La trilogia de I mercenari si può leggere come un unico, immenso poema sinfonico dedicato al “dream team” di eroi d’azione arricchito via via di nomi da un capitolo al seguente; anche se in realtà è più uno stile comune, energicamente martellato e adrenalinico, a caratterizzarne le partiture che non l’utilizzo di temi o idee condivise. Naturalmente non mancano le differenze fra le tre partiture (soprattutto rispetto al terzo capitolo), ma un unico denominatore comune è ad esempio l’imprinting chiaramente militaresco, eroico, sancito nel primo episodio dall’utilizzo del coro maschile (“The expendables”) e da un’andatura poderosa, marciante, che dilaga in un tema principale elementare e aggressivo, esteso alla quasi totalità dello score. L’impianto di “battle music” è particolarmente evidente in brani come “Aerial”, “The gulf of Aden” e soprattutto “Warriors”, ed è interessante annotare come esso racchiuda in sé, nell’iperbole dell’enfasi strumentale e nella maestosa solennità dell’eloquio, anche quella componente autoironica ben presente negli attempati protagonisti. Tuttavia per Tyler il terreno su cui muoversi è pur sempre quello dell’action music allo stato puro; squarci più tranquilli e meditativi, punteggiati dall’intervento della chitarra come in “Lee and Lacy” o “Take your money” o attraversati da un soffice camerismo strumentale come lo struggente “Confession”, testimoniano peraltro l’altra faccia del compositore, mai del tutto messa da parte.
In The Expendables 2 Tyler lavora sostanzialmente sulle stesse griglie tematiche e stilistiche del primo capitolo, accentuando se possibile ancor più l’aspetto marziale e ritmico (“The expendables return”); alcune idee sembrano guardare al tema goldsmithiano di Rambo, ma più complessivamente la partitura svela un sound tagliente, metallico, una dinamica rinforzata nei contrasti e una serie di irrequiete sfaccettature leitmotiviche, a volte raggrumate in esposizioni brevi, fulminanti (“Track’em, find’em, kill’em”). Più che una partitura da sequel, con riferimenti diretti a materiali preesistenti, sembra una libera rielaborazione di idee in cui vengono a tratti aggiunti temi multipli, come in “Making an entrance”; l’orchestrazione è al solito massiccia, pesante, ma agli ottoni vengono spesso richiesti suggestivi pianissimi così come gli archi sono costantemente impegnati in virtuosistici ostinati, sui quali non di rado si alzano guizzi chitarristici, in un impasto sonoro che – di nuovo – rimanda ad echi palesemente zimmeriani.
Nel terzo capitolo delle avventure di Stallone & Co. il linguaggio di Tyler si divarica bruscamente; l’incipit di “The drop” ha movenze di dichiarato hard-rock, e si nota immediatamente l’accresciuto ruolo dei synth, anche nelle pagine più raccolte, come il bellissimo “Lament” per chitarra , o nel sussultorio “Right on time”. Non sembra evidente una preoccupazione di recuperare i temi dei due film precedenti, fatta eccezione per il leit-motiv del primo, appena sfiorato qua e là e apertamente citato solo in “Look alive”. Chi si aspetta dal compositore le consuete esplosioni d’azione a base di ottoni e percussioni a briglia sciolta troverà soddisfazione in “Stonebanks lives” o in “Too much faith”, ma il dato principale sembra un piglio modernista e metallaro, a netto contrasto con l’impianto vintage di Expendables 2. E non mancano le sorprese, come il breve ma indimenticabile frammento pianistico di “The art of war”, dal fraseggio chopiniano.
Quel che in sintesi sembra emergere dall’ascolto di queste ampie partiture è la coerenza di uno stile compositivo, violentemente assertivo e scultoreo, al cui interno tuttavia Tyler trova modo di inserire elementi di distinguo e di accentuazione di alcuni aspetti non omologati: ciò da un lato ne fa un punto di riferimento per il genere cinematografico di riferimento della sua ormai vasta filmografia, ma lo rende anche un musicista plurale e incuriosito da altre strade: sulle quali si è, a nostra volta, curiosi di vederlo incamminarsi.