03 Gen2011
Duplicity
James Newton Howard
Duplicity (id., 2009)
Varèse Sarabande LC06083
24 brani – Durata: 50’51”
Chiamata a reggere il gioco della spy story diretta da Tony Gilroy, la colonna sonora di Duplicity è esempio di come la musica possa plasmarsi sulle necessità di un racconto cinematografico votato alle esigenze del nuovo pubblico filmico. Impensabile, oggi, proporre i giochi temporali – dilatati talora allo spasmo – del giallo d’antan, o i complessi intrecci narrativi d’autore, se si vuole proporre al grande pubblico una commedia romantica ammantata delle tinte dello spionaggio. Due agenti segreti (Julia Roberts e Clive Owen) s’innamorano nel portare a termine una missione che li vuole in possesso di una rivoluzionaria formula; ovviamente prima dei concorrenti della multinazionale che li ingaggia.
Alle prese con un plot simile, James Newton Howard mette da parte il citazionismo di La guerra di Charlie Wilson e la raffinata ambiguità di The Village per giocare con la verve patinata (à-la-James Bond in più riprese) dell’azione che preferisce lo humour alla violenza. E via, allora, con l’inseguirsi della chitarra elettrica, delle percussioni, dei fiati irrequieti in “War” e con la tensione che stormisce in “Security Meeting”, pendant di un narrare che si compiace del suo procedere.
Il tempo che incalza e l’incerta ricerca di soluzioni che sfuggono trovano rappresentazione nel ritmico procedere delle percussioni, simile a quello di un orologio, in “Bench Mark”, mentre torna a più riprese la sensazione di un intreccio da sbrogliare: si ascolti in proposito “Split to Rome”, in cui si susseguono poche note laconiche, sovrapposte alle percussioni; un tema ripreso in “Split to London” e poi in “Split to Miami” con il pianoforte.
Malinconico invece il pizzicato di “Rome Hotel”, che torna in “Airport Love”, e la melodia affidata alla chitarra in “San Diego Airport”, dai vaghi accenti esotici.
Non mancano passaggi interessanti, come l’intrigante lavoro di cesello degli archi in “Tully’s Letter” e il ricercato gioco d’ansia guidato dal pianoforte con “A Cream Or A Lotion?”.
Ma l’OST, che si chiude con i ritmi irrequieti di “”Being Bad” del duo Bitter:Sweet, rischia spesso di risultare ripetitiva nelle sue forme così ostinatamente chic: bello lo stile, poca l’emozione.