17 Nov2014
Un italiano alla scoperta di John Williams
Un italiano alla scoperta di John Williams: Conversazione con Emilio Audissino
L’autore di John Williams’s Film Music parla del suo libro dedicato al compositore americano.
Colonne Sonore: Parlaci di come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Emilio Audissino: Tutto è iniziato con una passione da fan. Il mio incontro con la musica di Williams è avvenuto quando andai a vedere Jurassic Park al cinema, ormai più di vent’anni fa. Rimasi folgorato dalle musiche e dal film. Mi fermai a vedere i titoli di coda perché volevo scoprire chi aveva scritto le musiche. Da lì in poi è partito il collezionismo delle colonne sonore. Poi in università ho studiato cinema e decisi di specializzarmi in musica per film, poiché a me piace sia il cinema che la musica. Decisi di fare la tesi specialistica su John Williams e mentre la preparavo e raccoglievo i materiali per fare il mio studio accademico mi accorsi con stupore che non esistevano libri sull’argomento, nemmeno in inglese. Col passare degli anni è continuato a non uscire nulla. C’erano solo tesi di laurea qua e là, qualche articolo… ma non usciva un libro vero e proprio su John Williams. Al momento di preparare il mio dottorato mi sono detto, “Beh, proviamo a colmare questa lacuna!”. Dunque il libro è frutto di dieci anni di lavoro accademico e dei dieci anni precedenti di passione come collezionista e fan.
CS: Dunque sei partito riadattando il tuo lavoro accademico?
EA: Sì, la sfida era proprio questa. Io ho studiato musica, so leggere e analizzare una partitura, ma non ho nessuna qualifica “ufficiale” da musicologo. Dunque ho cominciato subito dando alla mia ricerca un taglio di tipo storiografico. A me interessava collegare la figura di Williams al cinema hollywoodiano. Questa secondo me è stata la chiave giusta per far uscire il libro. Purtroppo non ci sono biografie su Williams perché il personaggio è molto schivo, a lui non interessa una biografia su sé stesso. E dunque scrivere una biografia ufficiale senza l’aiuto del diretto interessato è un’operazione piuttosto difficile. Questa credo sia la ragione per cui non sono mai uscite biografie né tantomeno un’autobiografia. Molti musicisti di Hollywood, magari in età avanzata, hanno scritto autobiografie, ad esempio Miklòs Ròzsa o Henry Mancini, ma Williams non sembra molto interessato a farlo. Dunque ho scartato subito l’opzione di scrivere una biografia. Non essendo poi io un musicologo, ho scartato anche l’opzione di un lavoro prettamente musicologico. Inoltre da questo punto di vista c’è un altro problema: non sono disponibili per lo studio i manoscritti originali delle sue partiture, cosa necessaria se si vuole fare un lavoro approfondito. Ad esempio, esiste una collana chiamata Film Score Guide pubblicata dall’editore americano Scarecrow Press, sono libri di 100-150 pagine dedicati all’analisi approfondita e dettagliata di una partitura di un film. Ne sono stati pubblicati finora una dozzina (tra cui uno su Batman di Danny Elfman e uno su Il buono, il brutto, il cattivo di Ennio Morricone), ma nemmeno uno dedicato ad una colonna sonora di Williams. Ai tempi pensavo che fosse a causa di un pregiudizio nei riguardi della sua musica, ma quando parlai con l’editore mi disse che avrebbero ben volentieri fatto una pubblicazione su una partitura di Williams, ma che la cosa non era possibile poiché non viene dato accesso ai suoi manoscritti. Questo mi è stato confermato anche dai suoi assistenti. Da quel che ho capito, Williams non ha ancora avuto il tempo di organizzare il suo archivio in modo ordinato e, prima di aprire le porte agli studiosi su questo materiale, è necessario sistemarlo un po’ meglio e catalogarlo. E dunque al momento non è possibile fare uno studio musicologico approfondito senza consultare il materiale cartaceo originale. E così, paradossalmente, non essendo io un musicologo ma uno studioso di cinema, sono stato favorito proprio perché ho scelto un taglio storiografico.
CS: L’idea di indagare attorno al concetto su cui ruota il libro (Williams e il ritorno dello stile musicale classico) è stata un restringimento dell’obiettivo iniziale? Oppure avevi pensato in origine ad un lavoro più ampio?
EA: La mia idea era che, non essendo stato ancora scritto nessuno studio approfondito su Williams, da qualche parte bisognasse cominciare. Williams è una figura unica perché, al di là della sua musica, ha avuto un ruolo centrale nel riportare in auge un periodo musicale della storia di Hollywood, ovvero quello della cosiddetta “Golden Age”, uno stile musicale che era considerato morto e sepolto. A mio parere il primo mattone dell’edificio dello studio accademico doveva focalizzarsi su Williams in quanto figura storica del ritorno della grande musica hollywoodiana.
CS: Il libro infatti fa subito una distinzione tra il termine “classico” e “neoclassico” in relazione alla musica e al cinema hollywoodiani e anche alla figura di Williams. Ci puoi spiegare in quale senso intendi questi termini?
EA: Sì, qui è necessario spiegarsi meglio. Dal punto di vista musicologico, neoclassicismo significa tutt’altro. Se io dicessi a un musicologo che Williams è un compositore neoclassico, lui ovviamente non sarebbe d’accordo. In musica, neoclassico ha un altro significato: è una rilettura novecentesca della musica del ‘700, come ad esempio il “Pulcinella” di Stravinsky o la Sinfonia N°1 di Prokofiev. Dunque nel libro chiarisco subito che i termini classico e neoclassico non sono riferiti alla storia della musica, dunque a uno stile e un idioma specifici, ma piuttosto alla storia di Hollywood. Secondo gli storici del cinema, il periodo classico del cinema americano è collocato tra il 1917 e il 1960. Escludendo gli anni del cinema muto, io ho scelto come inizio il 1933 - l’anno in cui uscì King Kong, una partitura fondamentale - e come fine il 1958, ovvero l’anno in cui a Hollywood ci fu un cambiamento contrattuale per cui gli studios non furono più costretti, per ragioni sindacali, a mantenere un’orchestra fissa alle proprie dipendenze. Da lì in poi cadde l’obbligo, per così dire, di usare sempre un’orchestra sinfonica in tutte le produzioni, ma si aprirono le porte anche ad altri approcci, che fosse un pianoforte solo, un complesso jazz, un’orchestra da camera e così via. E dunque per “classico” intendo la musica di quel periodo specifico del cinema hollywoodiano, il cui modello non guarda certo al periodo classico della storia della musica, ma piuttosto a Wagner, Puccini, Richard Strauss e via dicendo. Di conseguenza, definisco Williams un compositore neoclassico proprio perché riprende e aggiorna quello stile musicale. E’ da questa prospettiva che va inteso il termine. So che questa cosa può confondere un po’ le idee ai musicologi, ma spero che nel libro il concetto sia abbastanza chiaro. Dando un taglio storiografico ho cercato di inquadrare dei periodi specifici all’interno della musica per film hollywoodiana: il periodo classico va dal 1933 al 1958; il periodo “moderno”, ovvero quello di Henry Mancini e della esplosione delle title-song, dal ’58 fino all’inizio degli anni ’70; il periodo “neoclassico”, che vede in Williams il suo maggiore esponente, l’ho inquadrato tra il 1975 e il 1983. E da lì in poi nasce quello che io chiamo il periodo “eclettico”, ovvero quello che c’è tutt’ora, dove abbiamo una commistione e una convivenza tra generi e stili diversi: sinfonico, elettronico, pop e via dicendo.
CS: Un intero capitolo è dedicato a una dettagliatissima analisi de I predatori dell’arca perduta. Come mai hai scelto proprio questa opera e perché secondo te è particolarmente importante nel contesto del tuo lavoro?
EA: Per quanto riguarda I predatori dell’arca perduta mi interessava soprattutto un aspetto in particolare. I musicologi si dedicano ad analisi approfondite della partitura più che del film poiché la musica è il loro lavoro. Quando invece gli studiosi di cinema decidono di affrontare lo studio della musica nel film spesso si soffermano sui “grandi momenti”. Ad esempio, nel caso di Morricone è molto facile poiché la sua è una musica che ti “arriva in faccia”, come accade nei western di Sergio Leone: quando entra la musica spesso non ci sono altri elementi sonori in campo. Invece che background music è foreground music, potremmo dire. E’ una musica di gesti eclatanti, che fa sentire la sua presenza. Gli studiosi dunque affrontano la musica in questi “grandi momenti” e cercano di dare interpretazioni su ciò che la musica vuole suggerire. E’ la famosa questione di “accompagnamento” vs. “commento”, una vecchia idea che afferma che la musica nel film è nobile quando offre un commento, o quando ti dice qualcosa in più di quello che vedi, o quando sceglie la strada dell’asincronismo (quando c’è una scena allegra sentiamo una musica triste, ad esempio), insomma quando la musica fa qualcosa di inaspettato. Sono questi i momenti che vengono solitamente scelti per l’analisi, mentre viene un po’ snobbata o addirittura derisa la musica che va parallelamente al film. Nel caso de I predatori si tratta di musica prevalentemente di accompagnamento, ma di grande raffinatezza. E dunque ho voluto concentrarmi sulla tanto “bistrattata” musica di accompagnamento, che viene anche chiamata Mickey-Mousing (spesso in modo spregiativo), dimostrando che per fare della buona musica di questo genere ci vuole inventiva e arte, oltre che mestiere.
CS: Questo è senza dubbio uno dei pilastri di quella che oggi possiamo tranquillamente definire la “poetica” del Williams compositore per lo schermo. In più di una intervista infatti Williams ha ribadito l’importanza ad esempio del tempo e del ritmo all’interno della costruzione musicale, per trovare la sintesi ideale in grado di dare una sensazione di “inevitabilità” della presenza musicale. In questo senso Williams appare davvero come l’erede di una scuola specifica, ossia quella che ha inventato questo stile di scrittura per il cinema: Korngold, Steiner, Newman e tutti i compositori della Prima Generazione hollywoodiana.
EA: Assolutamente. Quando si parla ad esempio di Star Wars si cita giustamente l’omaggio a Korngold e alle musiche dei film di cappa e spada con Errol Flynn, così come si parla dell’influenza di Bernard Herrmann nel caso de Lo squalo. Secondo me I predatori dell’arca perduta è invece un grandissimo tributo a Max Steiner.
CS: I predatori in effetti sembra un vero e proprio “contenitore” di memoria cinematografica collettiva, un po’ come Star Wars. Ma come esso, oggi è diventato qualcosa di diverso, capace di trascendere la sua natura “neoclassica”… E’ così anche per la sua musica, secondo te?
EA: Sì. I predatori è un film pressoché perfetto, una macchina costruita benissimo, trovo che non abbia nemmeno un difetto. E la musica “è” Indiana Jones. Così come il tema dello squalo “è” Lo squalo, il tema di Indiana Jones è la traduzione perfetta del personaggio. Nel libro faccio un breve paragone tra il tema di Luke e il tema di Indy, cercando di dimostrare come Williams abbia messo in musica due differenti tipi di eroi. Se nel tema di Luke (o anche in quello di Superman) abbiamo l’apertura con il salto di quinta ascendente (Do-Sol), che è la “firma” williamsiana tipica di un certo tipo di eroismo, nel tema di Indiana Jones questa cosa non c’è, ma troviamo invece una serie di intervalli quasi comici. La melodia sale ma poi ha delle ritirate e quando arriva al traguardo sentiamo addirittura intervalli di sesta e di settima, quasi una caricatura dell’eroe. Dunque se il tema di Luke è una tipica rappresentazione musicale del “Viaggio dell’Eroe”, quello di Indiana Jones è il viaggio di un eroe specifico. Questo è un aspetto di raffinatezza che non si può certo liquidare con sufficienza, come a volte viene fatto nei riguardi della musica di questo compositore. Nelle interviste Williams dice spesso che lui passa molto tempo a trovare il giusto tema per il personaggio, paragonando il lavoro del compositore a quello dello scultore: la statua è dentro la roccia che hai davanti. E’ un lavoro di scavo e limatura per arrivare al risultato finale così come lo conosciamo.
CS: Nel libro parli diffusamente anche del pregiudizio critico che John Williams e la sua musica hanno subìto nel corso degli anni. Oggi per fortuna sembra che la tendenza stia cambiando. Possiamo dire di essere entrati pienamente nella fase della rivalutazione critica?
EA: Secondo me sì, soprattutto all’estero. In Italia l’ambiente accademico è un po’ più parruccone. Certamente oggi la musica per film è accettata e studiata, ma ci è comunque voluto del tempo per superare lo scoglio e darle la giusta dignità. Lo stesso Ennio Morricone non ha diretto concerti di sua musica per film con regolarità prima del 1998, mi pare. Ricordo una sua intervista dei primi anni ’80 in cui affermava di rifiutare categoricamente di dirigere la sua musica per film in sala da concerto. “La musica del film deve stare nel film”, diceva. Poi evidentemente ha cambiato idea, per fortuna! Alla fine degli anni ’70 Goffredo Petrassi, il maestro di Morricone, sosteneva che non ci potesse essere arte nella musica per film. E dunque in Italia ci siamo portati appresso un po’ di questi pregiudizi per molti anni. Williams è stato sinonimo per parecchio tempo della stessa industria di Hollywood e in molti ambienti critici e culturali questo è sempre stato visto con un certo pregiudizio ideologico, come se la musica di Star Wars fosse la marcia dell’imperialismo americano alla conquista del mondo. Pian piano comunque anche in Italia la musica di Williams sta entrando nel repertorio delle orchestre sinfoniche, ma la cosa però solleva un altro problema: come viene suonata? A mio parere quando si accetta di far entrare la musica per film in sala da concerto bisogna trattarla con dignità. Ad esempio, mi è capitato di assistere in Italia a un concerto sinfonico con musiche di Williams senza la presenza dell’arpa. Questo strumento è presente in tutte le sue partiture. Al suo posto era stato utilizzato un sintetizzatore, che suonava anche le parti del pianoforte e della celesta. Oserebbero suonare un brano di Ravel con la tastiera al posto dell’arpa, mi chiedo? E’ un repertorio con una sua dignità e va eseguito con rispetto, altrimenti è meglio non farlo del tutto. I capolavori della musica per film richiedono dei bravi musicisti per essere suonati come si deve.
CS: E’ stato sorprendente leggere l’articolo del critico musicale del Los Angeles Times - solitamente sempre molto critico e severo nei riguardi di Williams e della sua musica - in occasione del concerto celebrativo diretto da Gustavo Dudamel lo scorso Ottobre e notare come ormai la sua figura sia stata sdoganata del tutto anche dalla critica ufficiale. In quella recensione si afferma che “nessun compositore nella storia della musica ha infuso così tanta gioia sinfonica alle giovani generazioni”. Proprio per questo ci chiediamo se siamo effettivamente entrati in una fase di rivalutazione generale.
EA: Questo è molto vero. Un altro problema dell’Italia forse è che mancano i concerti cosiddetti “Pops”, come quelli che ci sono negli Stati Uniti o in Inghilterra come i BBC Proms. C’è ancora questa idea dei concerti sinfonici frequentati da una platea di persone anziane, mentre i giovani vanno allo stadio a sentire i mega concerti di musica rock, dunque la musica classica è considerata vecchia e noiosa. In America e in Inghilterra i concerti di musica sinfonica leggera (“pops”, appunto) sono stati fondamentali per far comunicare questi due ambienti. La Boston Pops - che Williams ha diretto per 15 anni - è formata dagli stessi musicisti della Boston Symphony Orchestra, ovvero una delle orchestre più importanti del mondo. Nei BBC Proms sfilano orchestre come la London Symphony, la BBC Concert Orchestra, la Royal Philharmonic che eseguono programmi di musica sinfonica leggera, tra cui anche molta musica per film. Ai concerti della Boston Pops si vedono nel pubblico anche moltissimi bambini, dunque sono fondamentali per iniziare le giovani generazioni alla musica sinfonica. In Italia è sempre mancata questa via di mezzo, forse a causa di certi atteggiamenti un po’ parrucconi che ancora persistono.
CS: Qui a Milano le cose per fortuna si stanno muovendo nella giusta direzione: l’orchestra Verdi ad esempio è molto sensibile a questo repertorio e capita non di rado di ascoltare musiche per film all’interno dei suoi programmi. Ai musicisti stessi piace molto suonare questo genere di musica, forse perché anche loro sono cresciuti ascoltando da bambini le musiche di Star Wars, E.T., Indiana Jones. E questo genere di musica sembra avere una presa emotiva molto forte nei riguardi del pubblico più giovane anche oggi.
EA: Sì. Il successo della musica di Star Wars è stata inoltre una delle ragioni per cui Williams fu nominato direttore della Boston Pops, con la quale ha diretto 15 stagioni. In questa carica ha avuto anche un ruolo divulgativo, nel senso nobile del termine, nei riguardi del repertorio cinematografico
CS: Hai scoperto qualcosa di nuovo su John Williams e la sua musica scrivendo il tuo libro? Qualche risvolto o aspetto particolare?
EA: Ammetto che forse il libro può essere un po’ deludente per coloro che si aspettano di leggere ghiotte notizie biografiche o aneddoti sulla sua vita. Io non ho mai condotto una vera e propria intervista con Williams, l’ho incontrato in un paio di occasioni e abbiamo parlato a grandi linee del mio progetto. Io comunque preferisco che scriva nuova musica piuttosto che perda tempo a parlare con me! Dunque da questo punto di vista non ho scoperto grandi cose. Forse l’unica curiosità che, parlando con lui, è venuta fuori riguarda un film intitolato Storia di una donna, l’unico progetto che collega Williams all’Italia (si tratta di una co-produzione italo-americana del 1970, ndr). Risale al suo periodo “europeo”, quando scrisse Heidi in Germania e Jane Eyre in Inghilterra. Per questo film Williams scrisse una canzone cantata da Ornella Vanoni, il titolo è “Uno di qua, l’altra di là”. Ero curioso di chiedergli a proposito di questo film e lui mi ha detto che le musiche furono registrate a Milano. Questa è forse l’unica cosa che ho scoperto di cui non mi pare di aver mai letto altrove.
CS: Una chicca da veri intenditori! In effetti si tratta di uno degli oggetti più oscuri della filmografia di Williams.
EA: Assolutamente! Probabilmente non se lo ricorda nemmeno lui…
CS: Quali sono stati gli aspetti più interessanti e curiosi per te mentre scrivevi il libro?
EA: Prima di tutto, il lavoro di ricerca che ho fatto sulle interviste. Credo di aver letto quasi tutte quelle che Williams ha dato nel corso degli anni. Ho fatto delle interessanti ricerche d’archivio a Boston, una città che amo molto e che visito tutti gli anni. Sono stato per più di un mese negli archivi della Boston Symphony Orchestra, ho consultato tutti i programmi della Boston Pops dal 1972 a oggi. Ho avuto modo di confrontare i programmi di sala dei concerti del periodo in cui Arthur Fiedler era direttore principale con quelli dell’era di Williams (che è stato direttore stabile dal 1980 al 1993) per vedere come veniva trattata la musica per film e qual è stata l’evoluzione. Mi sono reso conto di quanto Williams davvero abbia fatto per la divulgazione del repertorio cinematografico. Questo capitolo è stato sicuramente uno di quelli che mi hanno dato più soddisfazioni. L’altro capitolo interessante come risultati è quello dedicato al confronto sistematico che ho fatto tra le commedie e i drammi anni ’60 composti da Henry Mancini con un campione di commedie e drammi musicati da Williams nello stesso periodo. Mi interessava notare le differenze stilistiche tra i due e mi sono accorto di come Williams - che all’epoca era poco più che un debuttante - avesse già uno stile personale e molto differente da quello “moderno” che andava di moda a quell’epoca. E’ possibile vedere le prime tracce di neoclassicismo già all’interno di quei lavori.
CS: A volte si tende a confondere l’aspetto puramente biografico di un artista con l’analisi e lo studio della sua opera. Quanto è importante continuare a studiare John Williams e la sua musica da un punto di vista accademico?
EA: Secondo me il prossimo passo da fare, non appena sarà possibile consultare i materiali, è uno studio musicologico approfondito. C’è un mio collega che sta facendo un dottorato di musicologia ad Atene e sta preparando una tesi su Williams, così come ho saputo che ci sono alcune persone al lavoro su delle biografie. Un altro filone da studiare a mio avviso è quello jazzistico, ovvero il Williams pianista e arrangiatore, per vedere come questo abbia influenzato poi anche la sua carriera cinematografica. Un’altra idea potrebbe essere quella di approfondire il Williams “minore” e meno conosciuto, quello di partiture come Lettere d’amore o Turista per caso, che sono molto diverse dai suoi lavori più celebri. Insomma, c’è ancora molto lavoro da fare.
CS: Ci auguriamo davvero che il tuo libro possa essere il primo passo di una letteratura dedicata a questo argomento, non solo per quanto riguarda Williams e la sua figura, ma per la musica da film in generale.
EA: La musica per film è un genere molto importante all’interno della musica del ventesimo (e ormai ventunesimo!) secolo e ritengo che debba essere studiata in questi termini. Bisognerebbe cominciare a creare una sorta di canone della musica cinematografica, così come lo abbiamo per le musiche di tutti gli altri periodi storici. Williams stesso, in una intervista che è riportata nel libro, dice una cosa molto interessante: “al giorno d’oggi si suona soltanto il 2% di tutta la musica che è stata prodotta a partire dal '700 a oggi, dunque ritengo che ci possa essere una percentuale paragonabile di buona musica anche all’interno del repertorio della musica per film”. A mio parere quello che andrebbe fatto è creare appunto una sorta di canone, una serie di pezzi di musica per film che siano interessanti e importanti anche musicalmente e che andrebbero poi consolidati nel repertorio concertistico, eseguendoli in modo filologico, ovvero cercando di ricostruire le orchestrazioni originali.
CS: C’è qualche editore italiano che ha mostrato interesse a pubblicare il libro?
EA: Purtroppo no. Nel 2006 scrissi a diversi editori per sondare il terreno, ma nessuno di loro mi ha mai risposto. Il mercato italiano non è molto florido, dunque la situazione è un po’ difficile. Il libro in inglese sta circolando, dunque vedremo se ci sarà qualcuno interessato eventualmente a una pubblicazione anche in Italia.
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