Queen of the South
Giorgio Moroder, Raney Shockne
Regina del sud (Queen of the South, 2016)
Lakeshore Records
26 brani + 2 canzoni – Durata:70'51”
Giorgio Moroder, uomo di alte vette e lunghe visioni come si conviene ad un figlio delle Dolomiti, è stato fra gli anni Settanta e Ottanta un protagonista ed un innovatore assoluto della musica (non solo) per film, forse insieme – ma in misura certo superiore – a John Carpenter e Vangelis Papathanassiou. Ad accomunarli, com'è noto, il ricorso radicale ed esclusivo, totalizzante, all'elettronica in una concezione da “uomo-orchestra” (o meglio, “uomo-synth”) che li ha resi autori/interpreti di un universo tecnologico completamente autoreferenziale e privo di mediazioni esecutive, fatte salve alcune indispensabili figure tecniche.
Il regista-compositore di Fuga da New York, geniale autodidatta musicale, ha però fatto coincidere strettamente la propria attività in questo campo con quella di regista, creando di fatto un universo parallelo da incubo permanente; l'ex-Aphrodite's Child da parte sua si è mosso sul versante opposto, quello di un naturalismo ottimista e lirico, con punte di esoterismo New Age e impressionista che hanno trovato in Blade Runner il capolavoro tuttora insuperato.
Il 78enne maestro di Ortisei ha invece scelto una strada più difficile e meno univoca. Il suo mondo musicale non possiede alcunché di esornativo o consolatorio ma si fonda essenzialmente sul concetto di “struttura”. Le sue architetture sonore conciliano avanguardia e romanticismo, dimensione fantastica e dimensione tragica in un'unica visione globale, dove il ricorso alle tecnologie (in cui Moroder, sulla scia della band tedesca Kraftwerk, fu un pioniere assoluto) figura non come superamento o rifiuto bensì come lucida e coerente alternativa espressiva rispetto all'utilizzo dell'orchestra tradizionale. Le sue OST pertanto, da Fuga di mezzanotte a Il bacio della pantera, da American Gigolo al rifacimento di Metropolis, dal sottovalutato Mamba sino al capolavoro di Scarface, oltre a possedere tratti stilistici inconfondibili (soprattutto sotto il profilo ritmico e nella separazione netta dei registri timbrici), hanno la solennità e la compiutezza di altrettanti bassorilievi musicali, in cui le idee e i temi si generano e proliferano a partire da una base di imponente, quasi sacrale fissità, spesso scandita secondo i canoni di una marcia funebre.
Attivissimo sulla scena musicale, oltre che come compositore, anche come produttore discografico e talent scout, Moroder era però assente dal cinema da quasi un quarto di secolo, eccezion fatta per alcuni documentari e lavori televisivi. Vi torna ora, con il supporto del navigato compositore americano, soprattutto televisivo, Raney Shockne, per questa fortunatissima serie USA (da noi passata su Netflix), ideata da M.A. Fortin e Joshua John Miller, mutuata dalla telenovela “La reina del Sur” che era a sua volta tratta dal romanzo del celebrato scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte. Al centro vi si staglia la figura di Teresa Mendoza, interpretata dalla brasiliana Alice Braga (nipote della mitica Sônia di Dona Flor e i suoi due mariti), giovane donna in cerca di vendetta che si trova a diventare suo malgrado potentissima boss della droga nella sanguinosa lotta fra i “cartelli” messicani.
Inevitabile che il pensiero vada al delirante Scarface di De Palma, per cui Moroder compose una score elettronica monumentale, ispirata ad una sorta di liturgia del massacro e della violenza tradotti in pagine musicali di sconvolgente suggestione. Qui non siamo ovviamente a quei livelli, ma sin dall'incipit di “The queen of the South” l'imprinting del compositore altoatesino è immediatamente riconoscibile: la tonalità minore, l'andatura processionale, il colore cupo, l'utilizzo estensivo della LinnDrum (una consolle elettronica di percussioni che ha fatto furori tra gli anni '70 e '80) qualificano immediatamente l'àmbito stilistico della score. Che è sicuramente un àmbito retrodatato appunto agli anni '80 ma che qui acquisisce una valenza eroicizzante e sontuosamente affascinante. La si ravvisa in tracce come “Escapar” e soprattutto “Cemetery stroll”, dove Moroder tiene sempre alta la guardia melodica (pochi come lui hanno saputo cavare materiale sempre fortemente tematico dall'electro music) ma forzando le idee dentro una “struttura”, appunto, una forma di implacabile, geometrico rigore. Le caratteristiche fasce “ambient”, sostenute dalla percussione, ad esempio in “Saga de sangre”, dicono in realtà quanto il compositore sia ancora in grado di suscitare brividi ed emozioni dal proprio smisurato parco di competenze tecniche: un intero universo di respiri, rintocchi, riverberi, richiami, fruscii, effetti vocali fa da cornice ad un'intensissima tensione espressiva (“The gospel of Teresa”) di ascendenza squisitamente postromantica. Non mancano anche spunti più “ladinos” in cui si affaccia, circondata dal suono misterioso dei synth, una malinconica chitarra, come in “Sinaloa”, mentre in pagine di più fredda, aggressiva modernità come “The book of falling kings” e ”Moyocoyotzin”, dal suono ruvido e “industrial”, si avverte probabilmente il ruolo preponderante di Shockne; anche se nel caso del secondo brano citato l'intervento vocalizzante rimanda direttamente ai titoli di coda di Scarface.
Certo si è che il tandem fra due generazioni e concezioni musicali così distanti ha avuto come risultato un ibrido stilistico fra passato e presente dai momenti esaltanti: oscillando continuamente tra un atteggiamento quasi estatico, esoterico, intessuto di suoni celestiali e ritualità trascendentale (“Confession”) e un gusto per il divertissement anche autoironico, con effetti sonori scopertamente comici (“Sacrament for the Mule”). Quel che emerge intatta seppur modificata negli anni dal punto di vista dei progressi tecnologici è la filosofia compositiva di Moroder, il suo dono speciale nel creare un universo musicale parallelo e visionario, le cui suggestioni vanno ben oltre l'abilità tecnica. C'è infatti, nella lenta melopea di “Levanton” o nell'impianto da requiem di “A queen is born to made”, anche un sentimento del dolore che a ben riflettere è una costante della poetica del compositore e che trova in pagine accorate, strazianti come “Tamished crown” una superba esplicazione artistica: meglio se associata a figure di antieroi a tutto tondo, determinati fino all'estremo e vocati all'autodistruzione, come Tony Montana o Teresa Mendoza.
In conclusione Queen of the South appare, com'è stato osservato, un viaggio compiuto dallo stesso Moroder intorno all'evoluzione lungo un trentennio della musica elettronica applicata al cinema: di cui egli è stato un fondamentale pioniere ma di cui si dimostra ancor oggi un altrettanto insostituibile profeta.