Zio Tibia - Il documentario
Zio Tibia - Il documentario (2015)
Regia di Ale e Max Copertino
Rustblade RBL089DVD2
Durata 63’ + extra
Limited Edition 666 copies
+
Colonna Sonora tratta dall’album “Wasteland”
Musiche originali di Tibia (Stefano Rossello & David Christian)
Rustblade Records RBL085LP
Lato A: 4 brani
Lato B: 4 brani
Me lo ricordo benissimo come se fosse adesso – e con me, certamente, tutti quelli della mia generazione nati agli inizi anni Settanta che negli Ottanta erano ragazzini – il riunirsi con gli amici (nel mio caso quelli di una vita, Attilio, Giuseppe e Marco, coi quali ancora oggi ci sentiamo telefonicamente visto che viviamo distanti l’un dall’altro, che non appena ci vediamo in presenza sembriamo erompere dal film Amici miei nel raccontare ai nostri figli le bricconate che combinavano da adolescenti, simil gli amici buontemponi del film di Mario Monicelli del 1975) davanti la tv, a turno a casa di ognuno di noi, il venerdì sera per cenare (solitamente a base di pizza o panini coi wurstel) e vedere insieme il nostro programma preferito di prima e seconda serata Venerdì con Zio Tibia, dapprima in seconda serata al sabato col titolo Zio Tibia Picture Show. Un format televisivo estivo di casa Mediaset, che andava in onda su Italia 1 tra luglio e settembre, per la regia di Pino Pellino, scritto dall’autore Matteo Molinari, con le scenografie artigianalmente creepy di Cristina Lai (che tempo dopo ritrovai come collega ai promo in Mediaset quando fui dipendete), che realizzò anche la maschera di Zio Tibia, che raffigurava un signore anziano dal volto marcito, ed interpretato, nelle movenze sotto la sua maschera di lattice, da Stefano Cananzi – a cui il documentario in esame è dedicato alla memoria – e la spettacolare voce cavernosa di Fabrizio Casadio (1935 – 2015), conduttore radiofonico, conduttore televisivo, doppiatore e ingegnere, all’epoca voce ufficiale del canale Italia 1. Quest’ultimo appariva come uno speaker grottescamente schernente, fuoriuscito direttamente dai commentatori degli storici filmati dell’Istituto Luce, dal timbro vocale alla Carmelo Bene, che declamava nefandezze bonarie ai telespettatori nel presentare varie clip da film horror o similari (frase cult di Casadio/Zio Tibia: “Pessima visione piccoli zombetti e buona paura a tutti…”) – perché Zio Tibia Picture Show al sabato sera alle 23.30, che nel 1989 in piena Estate approdò su una delle reti commerciali di Silvio Berlusconi, anticipando la versione del venerdì in prima e seconda serata, che terminò il suo cammino orrorifico comicamente cinico nel 1991, fu l’anticamera televisiva della messa in onda di pellicole di paura di qualsivoglia genere e sottogenere – per poi dare il via al film del prime time, dove si susseguirono con una logica nerd da sballo, le saghe di Venerdì 13 (anche la serie tv), qualche episodio horror di Ai confini della realtà, il serial Freddy’s Nightmares: A Nightmare on Elm Street, Ammazzavampiri, La Casa 2, Vamp, Unico indizio la luna piena, Brivido, etc. etc. etc.
Una fucina di scary movies che i ragazzini, come noi imberbi, adoravano guardare, magari di nascosto dai genitori, logicamente con i migliori amici (le ragazze erano bandite perché urlavano troppo e distraevano) a suon di spacconate verbali, perché non dovevi aver paura, se no eri un pisciasotto (pensate che mangiavo wurstel mentre vedevo squartamenti vari all’interno dei miei film preferiti sugli zombie, senza batter ciglio) e vociare disuguale non appena compariva qualche bella nudità (anche solo una tetta seppur poi dilaniata dal maniaco di turno; sempre una femminea visione impura fugace era!). Chissà perché, il papà di Attilio, il mio succitato amico d’infanzia, appariva sempre, come per magia, quando si palesava l’unica sequenza con qualche ragazza o donna in déshabillé, cazziandoci tutti quanti, perché convinto che stessimo vedendo dei film porno.
Il programma venne poi interrotto nel 1991, lasciando il posto alla rassegna Notte Horror, che non ebbe mai lo stesso appeal, visto che venne a mancare proprio il putrefatto Zio Tibia. Il quale abitava in una cripta in compagnia del fedele mostriciattolo Golem e, in una seconda edizione del programma, dell’assistente Astragalo, una specie di vampiro alla Dracula; il pupazzo dalle orribili sembianze, che a poco poco suscitava una putrida simpatia, fu tratto (a dir poco plagiato) da Uncle Creepy, il narratore del fumetto statunitense Creepy, tradotto in Italia appunto con il nome di Zio Tibia e la versione televisiva italica, come quella Made in USA, fu debitrice di quella dello Zio Creepy del film, tratto da Stephen King, Creepshow, pellicola a episodi diretta nel 1982 da George A. Romero.
Il documentario dei gemelli Ale e Max Copertino è un delizioso quanto gradito tributo a tutti coloro misero in piedi questo programma cult di fine Ottanta primi Novanta, con interviste a cura di Alessandro Baldini ad alcuni dei membri storici dello Zio Tibia Picture Show (nome derivato dal Rocky Horror Picture Show come ci viene narrato nel documentario), quali Stefano Cananzi, Rosalba Copelli, Natalino De Filippis, Cristina Lai e Matteo Molinari, arricchendo gli stessi la visione con aneddoti succulenti e nostalgicamente simpaticissimi. Il documentario è pieno di interessanti extra come trailer, interviste dell’epoca, il backstage del medesimo, clip, servizi giornalistici, vari ed eventuali assai impreziosenti il contenuto già di per sé ottimo del prodotto realizzato con incredibile passione dai due fratelli Copertino.
Le musiche che accompagnano Zia Tibia il documentario sono tratte dal bel vinile giallo trasparente serigrafato “Wasteland” del duo, nemmeno a farlo apposta, Tibia, alias Stefano Rossello & David Christian, completamente composte da sonorità elettroniche di elevata qualità esecutiva e ideativa. Le citazioni si sprecano – dichiaratamente dichiarate nel 33 giri – e vanno dal John Carpenter e l’Ennio Morricone de La cosa (difatti l’ultima traccia del Lato B si chiama “The Thing”, sorta di cover del leitmotiv portante del film di fantascienza del 1982), dal Claudio Simonetti in solitaria per i film di Dario Argento degli anni ’80 – ’90 (vedi “The Open Gate”) a molti sintetismi alienanti, turbanti e martellanti tipici degli anni d’oro della musica elettronica pioneristica dei Settanta/Ottanta; per questo un ascolto dopo ascolto assai corroborante e piacevole che denota una bravura peculiare nello scrivere ed eseguire dei due musicisti: Rossello è anche editore del documentario e dell’LP con la sua Rustblade Records.