Rapito
Fabio Massimo Capogrosso
Rapito (2023)
CAM/Decca
14 brani – Durata: 26’48”
In occasione dell’annuncio delle ultime candidature dei David di Donatello, approfittiamo nel recensire, ahinoi tardivamente (e ce ne scusiamo sia con voi lettori che con il compositore di questa eminente partitura), la colonna musicale dell’ultimo film di Marco Bellocchio, Rapito, ad opera di Fabio Massimo Capogrosso, che stranamente e ingiustamente non figura tra quelle nominate nella categoria “Migliore compositore” dei suddetti riconoscimenti.
Lele Marchitelli per C’è ancora domani, Franco Piersanti per Il sol dell’avvenire, Santi Pulvirenti per L’ultima notte di Amore, Andrea Farri per Io, capitano e Subsonica per Adagio sono i candidati ai David di Donatello: purtroppo Rapito non è stata considerata ed è tra le migliori partiture dell’anno passato, ma i premi blasonati (in special modo nella categoria da noi trattata e ammirata) di queste dimenticanze ignoranti sia in passato che nel presente ne hanno commesse molte, tranne rari momenti d’illuminazione divina, giunta improvvisa e meritevole. Ad essere onesti, avevamo già parlato di questo score nella puntata di “Soundtrack City Plus” (clicca qui per vedere l’episodio), in cui il compositore Fabio Massimo Capogrosso, all’interno degli studi della Digital Records di Roma, in compagnia di Goffredo Gibellini, tecnico del suono delle sue partiture e ospite speciale della puntata, ci raccontò delle sue due colonne sonore per il regista Bellocchio, Esterno notte, questa sì candidata ai David di Donatello e vincitrice dell’Apulia Soundtrack Award, e per l’appunto Rapito. Quindi, il nostro, invero, un mea culpa in formato ridotto.
Il film di Bellocchio, aggiudicatosi sei Nastri d’Argento su nove nomination, un Globo d’Oro, un Ciak d’Oro e undici candidature ai David di Donatello, è stato tratto dallo storicamente noto caso di Edgardo Mortara – nel 1858 a Bologna un bimbo di 6 anni fu sottratto dallo Stato Pontificio alla sua famiglia ebraica da parte delle autorità ecclesiastiche e trasferito a Roma sotto la custodia di papa Pio IX, per essere allevato e battezzato a forza come cattolico. A nulla valsero le disperate e continuative richieste dei genitori di riaverlo, il Papa rifiutò sempre di riconsegnarlo, con tutte le conseguenti e giustissime polemiche politico-religioso-culturali e sociali che si scatenarono all’epoca – in origine doveva essere girato da Steven Spielberg, il quale desistette per non avere trovato il bimbo adatto al ruolo protagonistico.
Capogrosso compone una partitura corposissima e solennemente drammaturgica come gli accadimenti che si dipanano durante la narrazione filmica, dimostrando ancora una volta, dopo l’eccellente OST scritta per il televisivo Esterno notte (leggi recensione), di essere un autore dalla spiccata sensibilità fuori e dentro le immagini, come pochi attualmente nel panorama compositivo cine-musicale. “Caso Mortara” apre l’album digitale con un componimento assorto e sotteso per fiati, archi e strumenti percussivi appena accennati, simili a campanacci, tutti in un tenue crescendo dall’immateriale pensosità. “Nascondino” è un giocoso e saltellante brano alla Prokofiev e Čajkovskij, che nell’orchestrazione si avvicina a certe soluzioni timbriche alla John Williams per il tema di Spugna per Hook e al Franco Piersanti de Il Commissario Montalbano, a loro volta ispirati dai due succitati autori classici. “Edgardo viene esposto alla finestra” inizia con un tortuoso e aggrovigliante magma percussivo, di fiati e archi all’unisono, in un levare tensivamente angoscioso. “Padre Feletti” è un adagio funereo e assai tetro per archi. “Edgardo e Marianna”, per violoncello solista su tappeto d’archi sorreggenti emozionali svenimenti, tratteggia un leitmotiv dalla straziante e turbante coralità quasi trattenuta. “Rapimento di Edgardo” parte con squarci rarefatti di archi e percussioni seguenti dinamiche strutturali dirompenti alla Shostakovich, esplodenti in un susseguente clangore di ottoni, archi e fiati ‘tutti’ che non lasciano tregua, chiusi da un organo potentemente urlante e distorcente, nonché punente quella Chiesa Cattolica rea di aver rapito un bimbo, strappandolo ai suoi genitori e alla sua innocente vita da ebreo, con un fagotto che mesto ultima la vile azione. “Viaggio di Edgardo (umil Madonna)”, con l’intromissione del brano tradizionale ecclesiastico corale “Umil Madonna”, è una marcia funebre a tutti gli effetti, perché di morte interiore trattasi per il povero fanciullo protagonista, che cresce pian piano con tutta la sua dolorosa consapevolezza. “Prima visione del Cristo” risuona arabeggiante nella sua ancestrale forma armonica etnica. “Simone sta per morire” ci presenta un nuovo breve astratto tema per fiati, campane e archi sottesi, mentre “Battesimo di Edgardo” inneggia coralmente a liturgiche pagine bachiane di matrice luterana, formalmente desolante. “Pio Nono umilia gli ebrei” si poggia su archi sospesi che vengono dilaniati da tambureggianti aggressioni percussive e da brevi interventi di ottoni. “Presa di Porta Pia” è un roboante e rombante (e sublime) fioccare esplodente al calor bianco orchestrale. “Sogno di Edgardo” fa perno su effetti synth atmosferici raggelanti che cercano d’essere acquietati da un violino che enuncia un tema nostalgico e melanconico dagli echi lancinanti. “Marcia funebre” conclude degnamente questa partitura liricamente classicheggiante con una traccia dall’andamento afflitto, con picchi sinfonicamente possenti e insigni tra Mozart e Shostakovich (più il secondo), che non lasciano adito a nessuna parvenza di redenzione e umanità, che non ebbe mai e poi mai papa Pio IX, con una chiusura gracchiante orripilanti dissonanze da pura scary music.