The Transparent Woman
Susan Jeanne DiBona, Salvatore Sangiovanni
The Transparent Woman (2015)
Kronos Records KRONCD066 – Edizione limitata 300 copie
18 brani – Durata: 46'30”
Il cinema orgogliosamente “marginale”, ma altrettanto orgogliosamente indipendente e di genere firmato da Domiziano Cristopharo continua a fungere da trampolino per giovani compositori italiani e cosmopoliti ansiosi di sperimentare vie nuove attraverso la rielaborazione moderna e intelligente di una tradizione coniugata con stile e linguaggio contemporanei.
Così dopo Kristian Sensini e Alexander Cimini, è ora la volta del duo DiBona-Sangiovanni: americana del Comnecticut, poco più che 40enne lei, calabrese classe 1980, educato musicalmente a Londra lui, entrambi con un curriculum già ampio e polivalente, che spazia dalla musica contemporanea alle colonne sonore alla sperimentazione più vasta. L'eterogenea formazione strumentale di entrambi (DiBona è polistrumentista, Sangiovanni soprattutto pianista) si rivela qui molto utile per ripercorrere con intelligente raffinatezza le orme di quel sound anni '70 che, per quanto riguarda il genere horror-thriller, è stato così compiutamente classificato e messo a fuoco da Alessandro Tordini nel suo fondamentale volume "Così nuda così violenta - Enciclopedia della musica nei mondi neri del cinema italiano" (Arcana, 2012): quanto a dire che siamo, anche per quanto riguarda il registro narrativo e stilistico di Cristopharo, completamente all'interno di quel genere, italiano e in parte europeo, sviluppatosi negli anni '70 sulla scia della lezione argentiana e che ha trovato nelle partiture di compositori come Morricone, Nicolai, Ortolani, Piccioni ed altri un elemento essenziale di innovazione e di sperimentazione musicale, forse impossibile da realizzarsi in altri generi più “alti”, e non a caso ripreso e prolungato poi anche da Pino Donaggio.
Naturalmente bisogna chiarirsi: non siamo in presenza di un semplice, inerte e accademico citazionismo di moduli preesistenti. DiBona e Sangiovanni rielaborano criticamente e consapevolmente materiali sonori subito riconoscibili, ma lo fanno con distacco intellettuale e lucida premeditazione stilistica, accresciuti da una buona dose di autoironia. Così, se l'”Erotic theme” di apertura, per violino pianoforte e voce femminile, ha l'andamento morbido di un cullante valzerino che ricorda analoghe pagine di Morricone, e lo stesso mellifluo vocalizzare degli Opening Credits si muove lungo una linea analoga – ma con una strumentazione poliedrica, intessuta di pizzicati – il pianistico “Preludio”, nella forma di una lentissima mazurka, vibra ad esempio di un'intensità pacata e trattenuta, giocando sapientemente su un “rubato” chopiniano; mentre “Clavicembalo 70”, facendo interagire cupe note del contrabbasso, voce femminile e un disegno staccato del clavicembalo, aggiorna uno degli stereotipi più diffusi nei soundtrack italiani anni '70 in direzione di un modernismo inquieto e perturbante, ribadito nel fluttuare impressionistico delle tastiere di “Wind voice”, cui la voce si aggiunge come semplice strumento supplementare, il tutto in una scrittura che si arricchisce progressivamente di complessità e potenza evocativa. Altro elemento facilmente identificabile con quell'epoca è l'organo elettrico o Hammond, che accompagna la soffice riproposizione del tema iniziale in “Gil (Erotic remix)”, forse il brano più apertamente vintage di tutta la partitura. La musica però cambia, tutt'altro che metaforicamente, con “Noir”, dove le evidenti conoscenze degli autori in fatto di musica contemporanea si fanno strada nella densa, morbosa scrittura dissonante degli archi, quasi ad evocare le ragnatele contrappuntistiche degli ultimi quartetti bartokiani; ecco dunque che la “forma”, intesa come rivisitazione di moduli classici del Novecento, prende lentamente il sopravvento pur mantenendosi l'atmosfera fedelmente devota al contesto narrativo. Ne è un perfetto esempio la ripresa del Preludio in “Scoperta noir”, dove emerge un altro aspetto dello score, ossia una sorta di contemplazione estatica del suono cameristico: va infatti annotato, ad ulteriore merito di DiBona e Sangiovanni, il rifiuto drastico di ogni benché minima enfasi o alzata di toni, memori anche in ciò della principale lezione dei maestri del passato: ossia che non serve fare baccano per fare paura.
Più che paura è infatti sotterranea, quasi subliminale inquietudine quella che traspare dalle evoluzioni per archi di “Giallo”, con un'accensione drammatica basata soprattutto sull'ambiguità tonale e sulla fittissima trama contrappuntistica (anche qui, i modelli sembrano il primo Schoenberg e più in generale la Scuola di Vienna); i timbri si affinano ulteriormente in “Sensuale presagio”, costruito su un ostinato di tre note, e “Preludio noir”, dove torna il quartettismo moderno degli archi lungo percorsi mestamente oscuri che tuttavia non rinunciano a toccanti slanci cantabili, soprattutto nella parte del violino. Brano squisitamente “lounge” è poi “Trasparente (instrumental)”, che però rovescia le prospettive strumentali affidando a eterei pizzicati la linea melodica mentre a sostenerli provvedono pedali di tastiere e una sommessa batteria, sempre con l'intervento conturbante e insieme giocoso della voce femminile. Ancora “kammermusik” del '900 storico in “Chorale”, dove ogni intenzione citazionistica è abbandonata a favore di una scrittura severa e concentrata, che si trasforma in effetto psicologico. Una progressiva rarefazione s'impossessa nelle fasi finali della partitura, con il disegno elementare ripetuto del piano in “Carillon noir” e il lamentoso assolo di violino di “Rivelazione noir” che sfocia in un nuovo, agitato disegno quartettistico cui si aggiunge l'intervento pungente del flauto. Quasi beffardo, il “lallallà” della voce s'intarsia nelle dissonanze sinistre di “Spirito finale” prima degli End Titles dedicati a “Domiziano”, ancora una volta sospesi in un mondo sonoro davvero “trasparente” ma non per questo meno inquietante, lasciando però il congedo di “Erotic theme hummed” ad un breve, finale e solitario vocalizzo.
Una prova di stile e di sintesi culturale, quella di DiBona e Sangiovanni, che si vorrebbe con gioia vedere estesa alla pratica della musica cinematografica italiana corrente: e che dimostra plasticamente (anzi, acusticamente) come in questo campo il ricambio generazionale ci sia, eccome. Basta saperlo cercare.