30 Set2015
Milano odia: la polizia non può sparare
Ennio Morricone
Milano odia: la polizia non può sparare (1974)
Digitmovies CDDM094
12 brani – durata: 46’40”
Ogni colonna sonora è come l’atmosfera che circonda un pianeta fatto di immagini e storie; insieme costituiscono un sistema di scambio continuo, perfetto, finito, autosufficiente: ne nasce un mondo. A volta capita che siffatti mondi, motivati da qualche affinità, si avvicinino tra loro, entrino in contatto e si impregnino l’uno dell’altro, quasi passandosi un testimone che va avanti nel tempo, come se si trattasse di una qualche verità condivisa, superiore, convincente.
Questo fantasioso preambolo (qui in posizione di ipotesi, ma che per chi scrive ha più i caratteri della tesi) ha preso forma proprio ascoltando la colonna sonora composta da Ennio Morricone per Milano odia: la polizia non può sparare, film di Umberto Lenzi del 1974, interpretato da Thomas Milian. Nulla si aggiungerà su Morricone (che già allora aveva scritto una quantità quasi disumana di musica), né su Lenzi (che si spera che il nostro lettore conosca), né tantomeno sulla pellicola, tra le più cult di più di una generazione.
Ma per dimostrare l’ipotesi dell’esistenza di questi mondi intercomunicanti, facciamo un salto all’indietro al 1971, anno di nascita di due straordinari film (o mondi).
Esce nelle sale Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. La pellicola vince il premio Oscar come miglior film straniero. La musica è di Morricone e si racconta che la colonna sonora impressionò parecchio Stanley Kubrik. Non a caso l’altro straordinario film di quell’anno è Arancia Meccanica proprio di Kubrik, che però deve accontentarsi “solo” delle nomination all’Oscar. Trentacinque anni dopo, nel 2009, l’eccellente e pianto Heath Ledger vince l’Oscar come miglior attore non protagonista impersonando Joker in Il Cavaliere Oscuro (il Batman del 2008) del regista Christopher Nolan.
Quale asse interseca questi film (o mondi)?
Indagine…, è ormai universalmente assodato, dovette pagare un importante tributo alla colonna sonora. In essa Morricone riuscì a fondere l’ironia grottesca della sua musica alla psiche conturbata del dirigente di Polizia. In Arancia meccanica quella fusione, tra il teppista Alex e il suo contraltare musicale (in questo caso Beethoven e non Morricone), è totale, l’ira dell’uno succhia energia dall’ira dell’altro. Il cavaliere oscuro non è da meno; lì dove la musica non deve solo arredare di tenebre la seducente Gotham City, c’è un’altra luce, oscura e tremante, che esce dalle crepe delle mente contorta e apparentemente senza scopo di Joker: il dirigente di Polizia, Alex e Joker impersonano, così, l’ombra dietro l’angolo nella psiche di ognuno di noi.
Milano odia, purtroppo tardamente rivalutato e con un titolo inglese tanto più azzeccato quanto brutale (Almost Human, quasi umano), non è da meno, e si propone come asse d’equilibrio tra i film citati. Giulio Sacchi, come Alex, come il Commissario di Polizia e come Joker, non sarebbe lo stesso senza quel “suggeritore sotto pelle” che è la musica associata alle immagini in una inscindibile sinestesia. Questi protagonisti diventano eroi per il solo fatto che il loro stesso protagonismo dà necessariamente loro una tridimensionalità e una profondità umana, molteplice e mutevole, tanto da riuscire ad illuminare alcune delle loro battute, tali da risultare tutt’altro che prive di senso e/o significato, anzi e di più, dotate di una minima razionalità persino condivisibile; essi incarnano una irrazionale capacità di persuaderci dell’esistenza di forme di anti morale; e qui, ovviamente, non si parla di morale “moralistica” o buonista, ma di morale innalzata al rango di “giusto” in quanto, nietzschanamente, morale del più forte e del più coraggioso.
In questo grembo prende vita il duello tra eroe e anti-eroe, tra morale e anti-morale, tra giusto e sbagliato, tra buono e cattivo. E fin qui tutto bene. Quando però nell’anti-eroe, nell’antimorale si intravedono i tratti dell’umano, allora lo sbagliato e il cattivo ce li sentiamo molto più vicini di quanto pensassimo, e stuzzicano la doppiezza della nostra natura, la portano a galla, danno ad essa un senso. Ciò che ci tiene ancorati al suolo, e non eleva tali film a inni di pan-anarchia e di completo abbandono agli istinti, è proprio la musica che, come poggiata appena dietro la spalla destra dello spettatore, ci suggerisce, spaventandoci, che chi pronuncia quelle ammalianti battute è un detrattore (si traduca: un pazzo da legare) del (noioso) ordine costituito e, come tale, ordine da proteggere e tramandare. A tutti i costi.
Vediamo, quindi, come anche l’anarchico Morricone abbia colto la sua opportunità di sovvertire lo stato delle cose (musicali).
Il disco della colonna sonora contiene dodici tracce, alcune delle quali sono versioni di diversa durata dei temi principali. La prima traccia, “Rapimento”, oltre a durare ben quindici minuti, è la suite che contiene tutti i temi e tutte le atmosfere della soundtrack, all’interno delle quali prende vita il mondo Milano odia. Pur connotata da grande originalità, il tocco morriconiano è riconoscibilissimo, anche quando Morricone spinge la scrittura sul terreno della contemporanea, ovvero quel terreno compositivo impervio, irrazionale e innaturale della musica, luogo del perdersi dell’ascolto inteso come intrattenimento, e per questo troppo spesso incompreso e respinto (usatissimo nell’horror). Morricone sfodera tutta la sua profondissima conoscenza della materia, ed è qui che si comprende una delle sue affermazioni più sorprendenti: “l’ispirazione è 1% del mio lavoro”, tutto il resto è artigianato. Lunghi accordi d’attesa con ottave imperfette, pianoforti sovra incisi, accordi dissonanti, politonalismo, melodie di quattro/cinque note sovrapposte a distanza di quinta o di terza o di tritono… insomma una estrema inventiva, si ha a che fare, si sente, con uno che si diverte.
Nei primi tre minuti di “Rapimento”, Morricone ha già esposto tutti i temi in uno stile compositivo che potremmo accostare a quello di Indagine. A 4’18”, invece, comincia un’altra indagine, quella tra le pieghe della mente malata di Giulio Sacchi/Thomas Milian. Uno scivolosissimo e rabbrividente accordo stretto di archi, suonati in lentissimo vibrato, introduce la discesa negli inferi e le prime follie del protagonista; un accordo tanto efficace da ritrovarlo in versione 2008 in “Always a catch” (e non solo) de Il cavaliere Oscuro. È un accordo che spiazza perché mutevole, sembra immobile ma in realtà si muove lentamente, avanza minaccioso, come se avesse vita propria. A 6’04” un’altra sorpresa: un forte e grosso ronzio come quello di un calabrone che, ancora nel Batman, si ritrova nella traccia iniziale “Why so serious?” della colonna sonora firmata da Hans Zimmer e James Newton Howard; un ronzio che si spinge per ben un minuto senza altri strumenti. Per la prima volta sentiamo il sax, strumento importante in questo lavoro, spesso in coppia con la tromba in sordina, che accompagna le sequenze del protagonista insieme alla fidanzata. Ma dopo alcuni minuti di folle quiete come preludio di atrocità, a farla da padrone è il pianoforte, spesso utilizzato sovrainciso in pesanti ostinati, con accenti spostati e con melodie solo apparentemente più “accettabili” perché controllatamente dissonanti. Il suono del pianoforte colpisce l’attenzione, perché totalmente anti romantico, anzi, viene registrato e missato in modo da rendere il suo suono molto asciutto, secco, metallico, quasi percussivo. Una traccia che si potrebbe definire metafisica: Morricone afferra ogni regola armonica, gli va addosso, la ribalta, la spacca e tutto per evitare che in qualche modo la musica (soprattutto in certi momenti del film) elemosini qualche brandello di razionalità e certezza cui lo spettatore possa aggrapparsi.
“Raptus omicida” si sviluppa intorno ad un tema, già esposto in “Rapimento”; esso è cantato principalmente dal sax immerso in un ambiente apparentemente più rilassato, ma solo fino all’arrivo di uno spettrale accordo nel registro alto degli archi. Sorprendente il finale: un inaspettato e luminoso dispiego di ottoni, e un sax tirato, sporco quasi sgraziato e una chiusura di batteria.
“I conti non tornano” è la composizione più pacata, in pieno stile morriconiano, affidata ad una morbida melodia, cupa e rassegnata, dell’oboe; essa poggia su lunghi accordi d’archi e chitarra in una progressione armonica discendente.
In “Raptus omicida #2” tornano l’accordo scivoloso, che tanto piace a Joker, e i passi pesanti del pianoforte che richiamano uno dei temi; ma la particolarità di questa traccia è la scrittura del pianoforte che ricorda il Ligeti di “Musica ricercata II – Mesto, rigido e cerimoniale” (quella di Eyes Wide Shut… ancora Kubrik, ancora doppiezza). Ovviamente in questo caso, sarà stato Ligeti a ispirare Morricone, dato che il pezzo in questione è degli anni ’50.
Anche “Milano odia #2” è traccia interessante, in quanto commento e preparazione alle follie di Giulio Sacchi/Thomas Milian. Comincia con una gran cassa battente e colpi di pianoforte in primo piano, seguendo una scrittura ritmica regolare. A 1’10” torna chiarissimo l’accordo scivoloso “di Batman” e subito dopo una inaspettata improvvisazione di batteria che ricorda il rimbalzo frenetico di una pallina (…ma non ricorda la colonna sonora di Birdman, film di Inarritu del 2014? Anche qui si tratta della storia di una doppiezza psichica!).
Ecco come si attirano le soundtrack; ai mondi iniziali se ne sono aggiunti altri, Birdman, Eyes Wide Shut, e forse, ma in altra sede, potremmo includere Match Point (Woody Allen, 2005) per arricchire questa affascinante galassia. Si tratta di colonne sonore che si ascoltano sudando, quasi tremando ripensando alle scene concitate del film. La brutalità è amplificata dalla musica, che, una volta isolata dalle immagini, non esaurisce la sua densa carica di richiamo. Questi mondi sonori hanno in comune qualcosa che devono essersi scambiati, una riflessione sull’uomo rinchiuso in condizioni estreme che ha trovato uno speculare sub-limine nella musica, un carattere sublimato ancorchè mostrato. Ed è bene sperare che questo testimone non si fermi, che venga passato da mondo a mondo, da film a film.
Infine, Morricone. Cosa altro ancora si può dire di quest’uomo? Anche questa soundtrack è una goduria dell’ascolto. È musica che si muove tanto, accadono cose e niente a caso. Morricone è grande artigiano, un maestro nel plasmare tanta materia così impalpabile come la musica eppure così seducente e attivatrice. E Milano odia, già pellicola di gran spessore, ne risulta ancor più nobilitata; a qualità si aggiunge qualità e il risultato va ben oltre la somma delle parti. Si tratta di esempi isolati; altri si sono fermati prima scegliendo di dedicare più attenzione agli inseguimenti delle Giuliette che alla costruzione di mondi
Milano odia: la polizia non può sparare (1974)
Digitmovies CDDM094
12 brani – durata: 46’40”
Ogni colonna sonora è come l’atmosfera che circonda un pianeta fatto di immagini e storie; insieme costituiscono un sistema di scambio continuo, perfetto, finito, autosufficiente: ne nasce un mondo. A volta capita che siffatti mondi, motivati da qualche affinità, si avvicinino tra loro, entrino in contatto e si impregnino l’uno dell’altro, quasi passandosi un testimone che va avanti nel tempo, come se si trattasse di una qualche verità condivisa, superiore, convincente.
Questo fantasioso preambolo (qui in posizione di ipotesi, ma che per chi scrive ha più i caratteri della tesi) ha preso forma proprio ascoltando la colonna sonora composta da Ennio Morricone per Milano odia: la polizia non può sparare, film di Umberto Lenzi del 1974, interpretato da Thomas Milian. Nulla si aggiungerà su Morricone (che già allora aveva scritto una quantità quasi disumana di musica), né su Lenzi (che si spera che il nostro lettore conosca), né tantomeno sulla pellicola, tra le più cult di più di una generazione.
Ma per dimostrare l’ipotesi dell’esistenza di questi mondi intercomunicanti, facciamo un salto all’indietro al 1971, anno di nascita di due straordinari film (o mondi).
Esce nelle sale Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. La pellicola vince il premio Oscar come miglior film straniero. La musica è di Morricone e si racconta che la colonna sonora impressionò parecchio Stanley Kubrik. Non a caso l’altro straordinario film di quell’anno è Arancia Meccanica proprio di Kubrik, che però deve accontentarsi “solo” delle nomination all’Oscar. Trentacinque anni dopo, nel 2009, l’eccellente e pianto Heath Ledger vince l’Oscar come miglior attore non protagonista impersonando Joker in Il Cavaliere Oscuro (il Batman del 2008) del regista Christopher Nolan.
Quale asse interseca questi film (o mondi)?
Indagine…, è ormai universalmente assodato, dovette pagare un importante tributo alla colonna sonora. In essa Morricone riuscì a fondere l’ironia grottesca della sua musica alla psiche conturbata del dirigente di Polizia. In Arancia meccanica quella fusione, tra il teppista Alex e il suo contraltare musicale (in questo caso Beethoven e non Morricone), è totale, l’ira dell’uno succhia energia dall’ira dell’altro. Il cavaliere oscuro non è da meno; lì dove la musica non deve solo arredare di tenebre la seducente Gotham City, c’è un’altra luce, oscura e tremante, che esce dalle crepe delle mente contorta e apparentemente senza scopo di Joker: il dirigente di Polizia, Alex e Joker impersonano, così, l’ombra dietro l’angolo nella psiche di ognuno di noi.
Milano odia, purtroppo tardamente rivalutato e con un titolo inglese tanto più azzeccato quanto brutale (Almost Human, quasi umano), non è da meno, e si propone come asse d’equilibrio tra i film citati. Giulio Sacchi, come Alex, come il Commissario di Polizia e come Joker, non sarebbe lo stesso senza quel “suggeritore sotto pelle” che è la musica associata alle immagini in una inscindibile sinestesia. Questi protagonisti diventano eroi per il solo fatto che il loro stesso protagonismo dà necessariamente loro una tridimensionalità e una profondità umana, molteplice e mutevole, tanto da riuscire ad illuminare alcune delle loro battute, tali da risultare tutt’altro che prive di senso e/o significato, anzi e di più, dotate di una minima razionalità persino condivisibile; essi incarnano una irrazionale capacità di persuaderci dell’esistenza di forme di anti morale; e qui, ovviamente, non si parla di morale “moralistica” o buonista, ma di morale innalzata al rango di “giusto” in quanto, nietzschanamente, morale del più forte e del più coraggioso.
In questo grembo prende vita il duello tra eroe e anti-eroe, tra morale e anti-morale, tra giusto e sbagliato, tra buono e cattivo. E fin qui tutto bene. Quando però nell’anti-eroe, nell’antimorale si intravedono i tratti dell’umano, allora lo sbagliato e il cattivo ce li sentiamo molto più vicini di quanto pensassimo, e stuzzicano la doppiezza della nostra natura, la portano a galla, danno ad essa un senso. Ciò che ci tiene ancorati al suolo, e non eleva tali film a inni di pan-anarchia e di completo abbandono agli istinti, è proprio la musica che, come poggiata appena dietro la spalla destra dello spettatore, ci suggerisce, spaventandoci, che chi pronuncia quelle ammalianti battute è un detrattore (si traduca: un pazzo da legare) del (noioso) ordine costituito e, come tale, ordine da proteggere e tramandare. A tutti i costi.
Vediamo, quindi, come anche l’anarchico Morricone abbia colto la sua opportunità di sovvertire lo stato delle cose (musicali).
Il disco della colonna sonora contiene dodici tracce, alcune delle quali sono versioni di diversa durata dei temi principali. La prima traccia, “Rapimento”, oltre a durare ben quindici minuti, è la suite che contiene tutti i temi e tutte le atmosfere della soundtrack, all’interno delle quali prende vita il mondo Milano odia. Pur connotata da grande originalità, il tocco morriconiano è riconoscibilissimo, anche quando Morricone spinge la scrittura sul terreno della contemporanea, ovvero quel terreno compositivo impervio, irrazionale e innaturale della musica, luogo del perdersi dell’ascolto inteso come intrattenimento, e per questo troppo spesso incompreso e respinto (usatissimo nell’horror). Morricone sfodera tutta la sua profondissima conoscenza della materia, ed è qui che si comprende una delle sue affermazioni più sorprendenti: “l’ispirazione è 1% del mio lavoro”, tutto il resto è artigianato. Lunghi accordi d’attesa con ottave imperfette, pianoforti sovra incisi, accordi dissonanti, politonalismo, melodie di quattro/cinque note sovrapposte a distanza di quinta o di terza o di tritono… insomma una estrema inventiva, si ha a che fare, si sente, con uno che si diverte.
Nei primi tre minuti di “Rapimento”, Morricone ha già esposto tutti i temi in uno stile compositivo che potremmo accostare a quello di Indagine. A 4’18”, invece, comincia un’altra indagine, quella tra le pieghe della mente malata di Giulio Sacchi/Thomas Milian. Uno scivolosissimo e rabbrividente accordo stretto di archi, suonati in lentissimo vibrato, introduce la discesa negli inferi e le prime follie del protagonista; un accordo tanto efficace da ritrovarlo in versione 2008 in “Always a catch” (e non solo) de Il cavaliere Oscuro. È un accordo che spiazza perché mutevole, sembra immobile ma in realtà si muove lentamente, avanza minaccioso, come se avesse vita propria. A 6’04” un’altra sorpresa: un forte e grosso ronzio come quello di un calabrone che, ancora nel Batman, si ritrova nella traccia iniziale “Why so serious?” della colonna sonora firmata da Hans Zimmer e James Newton Howard; un ronzio che si spinge per ben un minuto senza altri strumenti. Per la prima volta sentiamo il sax, strumento importante in questo lavoro, spesso in coppia con la tromba in sordina, che accompagna le sequenze del protagonista insieme alla fidanzata. Ma dopo alcuni minuti di folle quiete come preludio di atrocità, a farla da padrone è il pianoforte, spesso utilizzato sovrainciso in pesanti ostinati, con accenti spostati e con melodie solo apparentemente più “accettabili” perché controllatamente dissonanti. Il suono del pianoforte colpisce l’attenzione, perché totalmente anti romantico, anzi, viene registrato e missato in modo da rendere il suo suono molto asciutto, secco, metallico, quasi percussivo. Una traccia che si potrebbe definire metafisica: Morricone afferra ogni regola armonica, gli va addosso, la ribalta, la spacca e tutto per evitare che in qualche modo la musica (soprattutto in certi momenti del film) elemosini qualche brandello di razionalità e certezza cui lo spettatore possa aggrapparsi.
“Raptus omicida” si sviluppa intorno ad un tema, già esposto in “Rapimento”; esso è cantato principalmente dal sax immerso in un ambiente apparentemente più rilassato, ma solo fino all’arrivo di uno spettrale accordo nel registro alto degli archi. Sorprendente il finale: un inaspettato e luminoso dispiego di ottoni, e un sax tirato, sporco quasi sgraziato e una chiusura di batteria.
“I conti non tornano” è la composizione più pacata, in pieno stile morriconiano, affidata ad una morbida melodia, cupa e rassegnata, dell’oboe; essa poggia su lunghi accordi d’archi e chitarra in una progressione armonica discendente.
In “Raptus omicida #2” tornano l’accordo scivoloso, che tanto piace a Joker, e i passi pesanti del pianoforte che richiamano uno dei temi; ma la particolarità di questa traccia è la scrittura del pianoforte che ricorda il Ligeti di “Musica ricercata II – Mesto, rigido e cerimoniale” (quella di Eyes Wide Shut… ancora Kubrik, ancora doppiezza). Ovviamente in questo caso, sarà stato Ligeti a ispirare Morricone, dato che il pezzo in questione è degli anni ’50.
Anche “Milano odia #2” è traccia interessante, in quanto commento e preparazione alle follie di Giulio Sacchi/Thomas Milian. Comincia con una gran cassa battente e colpi di pianoforte in primo piano, seguendo una scrittura ritmica regolare. A 1’10” torna chiarissimo l’accordo scivoloso “di Batman” e subito dopo una inaspettata improvvisazione di batteria che ricorda il rimbalzo frenetico di una pallina (…ma non ricorda la colonna sonora di Birdman, film di Inarritu del 2014? Anche qui si tratta della storia di una doppiezza psichica!).
Ecco come si attirano le soundtrack; ai mondi iniziali se ne sono aggiunti altri, Birdman, Eyes Wide Shut, e forse, ma in altra sede, potremmo includere Match Point (Woody Allen, 2005) per arricchire questa affascinante galassia. Si tratta di colonne sonore che si ascoltano sudando, quasi tremando ripensando alle scene concitate del film. La brutalità è amplificata dalla musica, che, una volta isolata dalle immagini, non esaurisce la sua densa carica di richiamo. Questi mondi sonori hanno in comune qualcosa che devono essersi scambiati, una riflessione sull’uomo rinchiuso in condizioni estreme che ha trovato uno speculare sub-limine nella musica, un carattere sublimato ancorchè mostrato. Ed è bene sperare che questo testimone non si fermi, che venga passato da mondo a mondo, da film a film.
Infine, Morricone. Cosa altro ancora si può dire di quest’uomo? Anche questa soundtrack è una goduria dell’ascolto. È musica che si muove tanto, accadono cose e niente a caso. Morricone è grande artigiano, un maestro nel plasmare tanta materia così impalpabile come la musica eppure così seducente e attivatrice. E Milano odia, già pellicola di gran spessore, ne risulta ancor più nobilitata; a qualità si aggiunge qualità e il risultato va ben oltre la somma delle parti. Si tratta di esempi isolati; altri si sono fermati prima scegliendo di dedicare più attenzione agli inseguimenti delle Giuliette che alla costruzione di mondi