19 Lug2015
L’attenzione
Pino Donaggio
L’attenzione (1985)
Quartet Records QR 169 – Edizione limitata 500 copie
18 brani + 3 canzoni – Durata: 54’05”
Il cinema non ha sempre reso giustizia all’opera di alcuni tra i maggiori narratori del nostro Novecento, da Alberto Moravia a Giuseppe Berto, da Vitaliano Brancati a Goffredo Parise, spesso semplificandone le tematiche (in più casi confluenti in un’aspra descrizione critica della società borghese) in direzione di un’estetica pruriginosa, di fatto derubricando le relative pellicole a B-movies erotici softcore dalla portata culturale molto ridotta.
Fa parziale eccezione, in questo panorama, il film che Giovanni Soldati (figlio di Mario, il regista di Malombra e Piccolo mondo antico) ricavò trent’anni fa dall’omonimo romanzo di Moravia, costruendolo su misura per la fama sexy della sua compagna Stefania Sandrelli, e coinvolgendo nel cast anche la di lei figlia, debuttante e allora 21enne, Amanda in una torbida storia familiare di tradimenti e insoddisfazioni sessuali, dove spicca l’analisi disincantata dell’istituzione matrimoniale in un’abile sceneggiatura firmata dallo stesso Soldati con Leone Colonna e Rodolfo Sonego, inquadrando l’intera vicenda in una spiazzante quanto ambigua architettura onirica.
Ora, è nota la consuetudine di Pino Donaggio con atmosfere peccaminose o comunque dense di sensualità, soprattutto grazie allo stile lieve e sobrio del compositore, e alla sua capacità di sdrammatizzare e disinnescare da qualunque volgarità anche le situazioni più osé, all’insegna dell’ironia, della tenerezza e soprattutto di una felicità melodica che illumina tutto di una luce soffice e morbidamente innocente. Una pratica esperita da Vestito per uccidere e Omicidio a luci rosse sino a Passion di De Palma, o in alcune collaborazioni con Tinto Brass (come non ricordare le geniali rielaborazioni neoclassiche di Così fan tutte?), e valida tanto per esercitazioni di evanescente inconsistenza come Senza buccia quanto per un cupo melodramma lesbo-storico e autoriale come Interno berlinese della Cavani.
Su questo fronte ora l’infaticabile Quartet ripropone un soundtrack sin qui confinato ad un vecchio vinile con etichetta Palladium, e lo fa recuperando nell’album prodotto dallo stesso compositore e rimasterizzato in digitale da Claudio Fuiano ben venti minuti di materiale inedito attraverso sette tracce e tre canzoni interpretate dalla popstar olandese-indonesiana Patty Brard, già leader della band “Luv” e successivamente avviata ad una promettente carriera da solista, passata anche – proprio nell’85 - attraverso una partecipazione al festival di Sanremo. Tutto questo ci viene ricordato nelle note di copertina da Gergely Hubai, che legge l’intera partitura come un insieme di idee e di temi ruotanti intorno ad un perno principale: il molle, insinuante “Tema di Livia” (la protagonista Stefania Sandrelli). Tema che viene introdotto da singolari sonorità giapponesi (a rappresentare la fascinazione del marito di Livia per l’Estremo Oriente) e che si fa strada nella soave enunciazione degli archi, contrappuntati da discreti legni e da un utilizzo molto contenuto delle tastiere; è un tema lungo, che si snoda accattivante e fluido nella propria cantabilità, puntando ad evocare l’immagine della donna anche, e forse soprattutto, in sua assenza. La malinconica, sommessa eleganza del comporre di Donaggio avvolge l’intera partitura in un clima emotivamente molto vibratile, che tocca forse uno dei suoi apici in “I ricordi”, su base pianistica ma sviluppato sul suono etereo e nitido degli archi diretti dal sensibile ed espertissimo Natale Massara: una pagina quasi simbolica della poetica di Donaggio, ripresa – se possibile in una versione ancora più trattenuta e pacata – in “I ricordi (#2)” e infine, con un ruolo maggiore degli archi, in “I ricordi (#3)”. Questa specie di dolente, sofferto cedimento dei sensi è ben evocato dal maestro veneziano anche in “Notti di attesa”, con lunghe e avvolgenti evoluzioni degli archi, e nel tenero, semplice melodizzare del flauto in “L’appartamento”. Né può sorprendere, in questo contesto, ritrovare a tratti il ben noto suscitatore di atmosfere di tensione e paura, come nel brontolìo minaccioso di ingredienti elettronici in “Immaginazione o realtà” ma soprattutto nell’attacco brusco dei violini in un ostinato minacciosissimo, memore di tante pagine depalmiane, in “L’attenzione (Night fear)”. Ancora suspense e inquietudine serpeggiano in “Notte di attesa (#2)” ma solo per sciogliersi nel canto dei celli, di una disarmante dolcezza, in “L’attenzione (Nostalgic mood)”, seguito da una nuova nebbia elettronica su cui spiccano gocciolii intermittenti e un piccolo, breve ma incisivo tema dei legni. Questa alternanza di attese allarmate e abbandoni della carne è forse... “la chiave” (ma Tinto Brass, statene certi, non c’entra nulla) per comprendere e apprezzare al meglio questa partitura apparentemente “minore” nella produzione del maestro veneziano: il quale, a differenza ad esempio di molti lavori simili per film simili di altri musicisti, non si limita ad allestire una cornice estetizzante, spesso ripetitiva e in qualche caso ammiccante, in cui inserire scene erotiche, ma punta sempre a dettagliare la fisionomia dei personaggi e il peso psicologico delle situazioni drammaturgiche, raggiungendo quel mix di “sense and sensibility”, di eros e pathos, che è fra i tratti distintivi del suo stile.
L’attenzione (1985)
Quartet Records QR 169 – Edizione limitata 500 copie
18 brani + 3 canzoni – Durata: 54’05”
Il cinema non ha sempre reso giustizia all’opera di alcuni tra i maggiori narratori del nostro Novecento, da Alberto Moravia a Giuseppe Berto, da Vitaliano Brancati a Goffredo Parise, spesso semplificandone le tematiche (in più casi confluenti in un’aspra descrizione critica della società borghese) in direzione di un’estetica pruriginosa, di fatto derubricando le relative pellicole a B-movies erotici softcore dalla portata culturale molto ridotta.
Fa parziale eccezione, in questo panorama, il film che Giovanni Soldati (figlio di Mario, il regista di Malombra e Piccolo mondo antico) ricavò trent’anni fa dall’omonimo romanzo di Moravia, costruendolo su misura per la fama sexy della sua compagna Stefania Sandrelli, e coinvolgendo nel cast anche la di lei figlia, debuttante e allora 21enne, Amanda in una torbida storia familiare di tradimenti e insoddisfazioni sessuali, dove spicca l’analisi disincantata dell’istituzione matrimoniale in un’abile sceneggiatura firmata dallo stesso Soldati con Leone Colonna e Rodolfo Sonego, inquadrando l’intera vicenda in una spiazzante quanto ambigua architettura onirica.
Ora, è nota la consuetudine di Pino Donaggio con atmosfere peccaminose o comunque dense di sensualità, soprattutto grazie allo stile lieve e sobrio del compositore, e alla sua capacità di sdrammatizzare e disinnescare da qualunque volgarità anche le situazioni più osé, all’insegna dell’ironia, della tenerezza e soprattutto di una felicità melodica che illumina tutto di una luce soffice e morbidamente innocente. Una pratica esperita da Vestito per uccidere e Omicidio a luci rosse sino a Passion di De Palma, o in alcune collaborazioni con Tinto Brass (come non ricordare le geniali rielaborazioni neoclassiche di Così fan tutte?), e valida tanto per esercitazioni di evanescente inconsistenza come Senza buccia quanto per un cupo melodramma lesbo-storico e autoriale come Interno berlinese della Cavani.
Su questo fronte ora l’infaticabile Quartet ripropone un soundtrack sin qui confinato ad un vecchio vinile con etichetta Palladium, e lo fa recuperando nell’album prodotto dallo stesso compositore e rimasterizzato in digitale da Claudio Fuiano ben venti minuti di materiale inedito attraverso sette tracce e tre canzoni interpretate dalla popstar olandese-indonesiana Patty Brard, già leader della band “Luv” e successivamente avviata ad una promettente carriera da solista, passata anche – proprio nell’85 - attraverso una partecipazione al festival di Sanremo. Tutto questo ci viene ricordato nelle note di copertina da Gergely Hubai, che legge l’intera partitura come un insieme di idee e di temi ruotanti intorno ad un perno principale: il molle, insinuante “Tema di Livia” (la protagonista Stefania Sandrelli). Tema che viene introdotto da singolari sonorità giapponesi (a rappresentare la fascinazione del marito di Livia per l’Estremo Oriente) e che si fa strada nella soave enunciazione degli archi, contrappuntati da discreti legni e da un utilizzo molto contenuto delle tastiere; è un tema lungo, che si snoda accattivante e fluido nella propria cantabilità, puntando ad evocare l’immagine della donna anche, e forse soprattutto, in sua assenza. La malinconica, sommessa eleganza del comporre di Donaggio avvolge l’intera partitura in un clima emotivamente molto vibratile, che tocca forse uno dei suoi apici in “I ricordi”, su base pianistica ma sviluppato sul suono etereo e nitido degli archi diretti dal sensibile ed espertissimo Natale Massara: una pagina quasi simbolica della poetica di Donaggio, ripresa – se possibile in una versione ancora più trattenuta e pacata – in “I ricordi (#2)” e infine, con un ruolo maggiore degli archi, in “I ricordi (#3)”. Questa specie di dolente, sofferto cedimento dei sensi è ben evocato dal maestro veneziano anche in “Notti di attesa”, con lunghe e avvolgenti evoluzioni degli archi, e nel tenero, semplice melodizzare del flauto in “L’appartamento”. Né può sorprendere, in questo contesto, ritrovare a tratti il ben noto suscitatore di atmosfere di tensione e paura, come nel brontolìo minaccioso di ingredienti elettronici in “Immaginazione o realtà” ma soprattutto nell’attacco brusco dei violini in un ostinato minacciosissimo, memore di tante pagine depalmiane, in “L’attenzione (Night fear)”. Ancora suspense e inquietudine serpeggiano in “Notte di attesa (#2)” ma solo per sciogliersi nel canto dei celli, di una disarmante dolcezza, in “L’attenzione (Nostalgic mood)”, seguito da una nuova nebbia elettronica su cui spiccano gocciolii intermittenti e un piccolo, breve ma incisivo tema dei legni. Questa alternanza di attese allarmate e abbandoni della carne è forse... “la chiave” (ma Tinto Brass, statene certi, non c’entra nulla) per comprendere e apprezzare al meglio questa partitura apparentemente “minore” nella produzione del maestro veneziano: il quale, a differenza ad esempio di molti lavori simili per film simili di altri musicisti, non si limita ad allestire una cornice estetizzante, spesso ripetitiva e in qualche caso ammiccante, in cui inserire scene erotiche, ma punta sempre a dettagliare la fisionomia dei personaggi e il peso psicologico delle situazioni drammaturgiche, raggiungendo quel mix di “sense and sensibility”, di eros e pathos, che è fra i tratti distintivi del suo stile.