24 Giu2015
Obsession
Bernard Herrmann
Complesso di colpa (Obsession, 1976)
TADLOW019
CD 1: Blue-ray + standard CD stereo mix
CD 2: 20 brani – Durata: 66’01”
Sono ormai lontani i tempi in cui l'appassionato di Colonne Sonore – non necessariamente un cultore di Cinema tout court – coltivava il suo interesse quasi maniacale in solitudine o, se era fortunato, condividendolo con pochissimi altri eletti; “confratelli” spesso molto distanti, coi quali scambiarsi (via lettera!) un elenco di dischi, proponendo scambi o duplicazioni con fare cospiratorio.
Una passione di nicchia, insomma, il cui oggetto era ignorato, quando non schernito, dalla critica musicale ufficiale e togata, fatte salve poche onorevoli eccezioni: per rimanere al suolo italico, parlo ad esempio di studiosi quali Roberto Pugliese o Ermanno Comuzio, i cui scritti venivano fotocopiati e avidamente conservati da molti di coloro che oggi scrivono qui.
Negli anni molte cose sono cambiate; a ben guardare però - verrebbe da dire parafrasando Tomasi di Lampedusa – sono cambiate perché rimanessero sempre le stesse.
Siamo i soliti quattro gatti, oggi come ieri, ma Internet ci ha avvicinato come un tempo non era nemmeno immaginabile: e improvvisamente è come se ci conoscessimo tutti per nome. Un certo spirito elitario, da Confraternita appunto, è comunque sopravvissuto e l'appassionato di Musica da Film rimane un personaggio quantomeno singolare, che sovente si sente depositario della Sua Verità su questo piccolo Mondo a Parte; detentore di un Verbo che propugna instancabilmente su Forum dedicati o sui “nuovi” Social Network.
La fetta di mercato discografico dedicata a questa particolare forma d'arte è notevolmente cresciuta negli anni (oggi vive una nuova fase di contrazione, purtroppo, comune peraltro ad ogni ambito musicale) e sempre più etichette hanno cominciato a pubblicare nuove edizioni (spesso integrali) di capolavori del passato più o meno remoto, quando non a re-incidere ex novo le partiture dei Grandi Maestri.
Un elenco sarebbe troppo lungo in questa sede, ma non possiamo non citare l'opera impagabile di George Korngold (figlio del leggendario Erich Wolfgang Korngold), produttore per la RCA – oltre che per la Varèse – di una collana di dischi indimenticabili incisi negli anni Settanta e dedicati in massima parte ai musicisti della Golden Age hollywoodiana: una scelta di pagine memorabili, affidate alla bacchetta di Charles Gerhardt sul podio della National Philharmonic Orchestra. Si tratta di produzioni ancora oggi ineguagliate per la bellezza del suono, l'interpretazione sontuosa, l'aderenza miracolosa al segno e allo spirito di un Cinema e di una scrittura musicale che appartengono a un Tempo ormai finito...
Approssimativamente nel medesimo periodo Elmer Bernstein e la sua “Film Music Collection” hanno consegnato agli appassionati un'altra collana imprescindibile di capolavori musicali del passato, mirando a un’edizione estesa (anche se non integrale) di singole colonne sonore inedite, laddove Gerhardt, invece, operava principalmente nella direzione di una compilazione di Suite più o meno articolate.
Da queste due opere capitali sono poi discese, nel corso dei decenni, innumerevoli pubblicazioni da parte di etichette storiche, prima fra tutte la Varèse Sarabande, ma poi anche Marco Polo (in seguito Naxos), Koch, TELARC, Silva Screen, Chandos, La-La Land, FSM, Tribute Film Classics, Intrada... e molte altre che – come alcune di quelle citate – sopravvivevano il tempo di qualche fortunosa uscita e poi risorgevano sotto altra veste; ma le orchestre, i direttori, i producer, i redattori delle partiture erano sempre gli stessi: nomi che ogni vero appassionato di Film Music ha imparato a conoscere e a onorare.
Nomi come quello del produttore James Fitzpatrick che ha speso la sua esistenza a navigare nei mari burrascosi (e, da un punto di vista economico, decisamente poco pescosi) delle re-incisioni discografiche di capolavori della storia della Musica da Film. Da alcuni anni la sua etichetta Tadlow Music sforna con rimarchevole costanza edizioni integrali di colonne sonore leggendarie: da Conan il barbaro di Poledouris a Quo Vadis? di Rozsa, da Lawrence d’Arabia di Jarre a Taras Bulba di Waxman.
Pubblicazioni estremamente curate sotto ogni aspetto, dalla confezione alle note del libretto (spesso dei veri e propri saggi di musicologia), passando ovviamente per un'esecuzione estremamente professionale della City of Prague Philharmonic Orchestra che, sotto la bacchetta di Nick Raine, dimostra ad ogni uscita gli enormi progressi compiuti in questo repertorio, rispetto ai primi timidi passi negli anni Novanta, con le compilation incise per la Silva Screen.
L'intento della Tadlow è stato sin dagli inizi quello di recuperare il lavoro del compositore in una forma quanto più esaustiva e fedele possibile, con un orecchio sia all'esecuzione originale sia alle intenzioni spesso disattese dell'Autore; come, ad esempio, brani tagliati o mutilati che vengono puntualmente reintegrati o versioni alternative della medesima pagina.
Ora, re-incidere un capolavoro della musica da film del passato (specie in versione integrale) non è solo un lavoro estremamente complesso – basti pensare al fatto che spesso mancano, in parte o completamente, le partiture orchestrali originali, che vanno quindi pazientemente ricostruite – ma pone una serie di questioni estetiche che, per alcuni degli appassionati più integralisti di cui ho detto sopra, divengono addirittura “etiche”.
Innanzitutto, fino a che punto può avere senso la ri-esecuzione (o la mera ri-edizione) integrale di una colonna sonora? La musica da film, per sua stessa natura, è scritta per funzionare primariamente al servizio delle immagini; non sempre è in grado di reggersi sulle proprie gambe, vale a dire separata dal contesto filmico, e di essere goduta come musica assoluta.
Grandi Maestri come Herrmann, Goldsmith o Williams hanno spesso preferito trarre personalmente delle Suite dalle partiture cui tenevano particolarmente (era anche un modo per riappropriarsi in parte dei diritti musicali di un lavoro che appartiene in primis agli Studios), fermamente convinti che le loro fatiche cinematografiche necessitassero di un’attenta operazione di selezione ed eventuale rielaborazione per ambire alla dignità di un ascolto separato, che si trattasse del programma di un Concerto o della compilazione e scalettatura di un’incisione discografica.
Ad ogni modo, indipendentemente dal fatto che una presentazione integrale abbia (sempre) senso, la realtà delle cose è che l’esiguo mercato degli appassionati e degli studiosi di Musica da Film esige edizioni discografiche complete o prossime alla completezza: per il Fan (colui che Goldsmith chiamava “collezionista di tappi di bottiglia”), ogni singola nota della colonna sonora che ama è importante e degna di essere tramandata. E laddove l’incisione originale risulti deteriorata o incompleta, ecco che temerari producer come Fitzpatrick si lanciano nell’avventura della ri-esecuzione integrale dei grandi capolavori musicali della storia del Cinema.
E a questi uomini coraggiosi si para subito innanzi un ulteriore, pericolosissimo “scoglio” estetico: la vexata quaestio dell’Interpretazione musicale. In termini piuttosto semplici, l'amletico quesito è il seguente: devo affrontare lo spartito badando esclusivamente al “segno scritto”, alla musica pura e semplice, o devo sempre tenere presente la lettura che di quel segno è stata data nell’esecuzione originale (e in qualche modo definitiva, perché legata per sempre alle immagini per le quali quella musica è stata scritta)? In altre parole: devo approcciarmi alla partitura di Obsession di Bernard Herrmann con il medesimo spirito col quale mi avvicinerei, per esempio, a una Sinfonia di Mahler (cercando dunque l’intenzione dell’Autore solo sulla pagina, a partire dalla conoscenza che di quel musicista ho maturato negli anni) o devo considerare l’incisione originale di Obsession, diretta da Herrmann stesso nel 1975, l’ideale esecutivo cui avvicinarmi quanto più possibile?
Gli appassionati – sempre loro! – non hanno alcun dubbio: la nuova esecuzione deve riprodurre minuziosamente, ai limiti del plagio interpretativo, l’originale inciso per il film. Quello vogliono sentire, e risentire, e sentire nuovamente! La pedanteria con la quale lamentano l’espunzione di un brano di 20 secondi dal CD della colonna sonora originale di un film ha il suo perfetto corrispettivo nell'ostinazione pervicace e molesta con la quale rivendicano il diritto ad ascoltare una nuova esecuzione praticamente identica a quella di cui si sono innamorati.
Ora, da una parte, un direttore e un’orchestra che si sottomettano completamente a una simile pretesa corrono il rischio di un’interpretazione musicale fiacca, priva cioè di quel mordente, di quel piglio che solo il rifiuto di qualsiasi vincolo extra-musicale può consentire di ottenere in una sala di incisione. D’altra parte però, è anche vero che molte registrazioni originali, per soddisfare pienamente le esigenze spesso spietate del fotografico (in termini di ritmo, scansione del montaggio, sincrono, etc...) si fregiano ancora oggi di un'esattezza d'accenti, di un'incisività, che una qualsiasi intenzione esecutiva alternativa, tentata successivamente, inevitabilmente suona fuori fuoco o inerte.
Certo si dà anche il caso che alcune di queste deludenti ri-esecuzioni siano state incise dagli Autori stessi della partitura. Di nuovo, è il caso fra gli altri di Bernard Herrmann, la cui nuova direzione di Psycho per la Unicorn non suona del tutto convincente rispetto all’impatto elettrizzante della colonna sonora originale, che peraltro ancora attende una pubblicazione ufficiale. In questi casi, quale dovrebbe essere allora l'interpretazione di riferimento?
Pare ragionevole supporre che la risposta più equilibrata sia: tutte e nessuna. Se accettiamo l’idea che un Colonna Sonora non si esaurisca necessariamente in quella che è la sua funzione primaria, se riteniamo dunque possibile fruirne e goderne anche per il suo valore musicale intrinseco, al di là del contesto cinematografico per il quale è stata scritta, allora dovremo anche venire a patti con il fatto che nessuna lettura possiederà mai la capacità di penetrare completamente una (grande) pagina musicale, di estrinsecarne per dir così tutte le potenzialità.
La pregevole nuova incisione integrale di Obsession di Herrmann da parte della Tadlow ha peraltro la ventura di vedere la luce poche settimane dopo la pubblicazione ri-masterizzata della colonna sonora originale e completa da parte della Music Box: un’occasione per confrontare due splendide letture del medesimo capolavoro.
Diciamo subito che ci aspettavamo che i quarant'anni che separano le due incisioni si facessero sentire maggiormente, in termini di presa sonora e di dettaglio; sorprende constatare che le nuove tecnologie e la scelta di incidere separatamente Coro, Orchestra e Organo, non sono sufficienti a staccare sensibilmente l'edizione Tadlow dal pregevole lavoro di pulizia e rimasterizzazione della Music Box. In entrambi i dischi, la trama ineguagliabile delle orchestrazioni hermmanniane risalta con un nitore e una trasparenza stupefacenti.
Anzi, forse la moderata quantità di riverbero e di “ambiente” della registrazione originale infonde ad alcune pagine quella sonorità densa e “agglutinata” che pare meglio confarsi al clima di sospensione trasognata di molte pagine memorabili, quali “Sandra” o “Court's Confession”; brani che a tratti sembrano riecheggiare alcuni fra i momenti di più ispirato impressionismo del Waxman di Rebecca.
La direzione di Raine è mediamente buona: ottima in quasi tutti i lunghi brani contemplativi nei quali è molto importante mantenere la tensione sotterranea di una scrittura apparentemente elementare; meno efficace in alcune delle pagine più mosse, specie nella celeberrima “The Ferry”.
Qui la lettura di Herrmann è decisamente più efficace, laddove Raine sembra più preoccupato di emendare alcune imperfezioni tecniche dell’incisione originale (un’evidente “svirgolata” dei corni) che di ottenere quella inusitata ferocia espressionistica che lo spartito richiede. In particolar modo la resa degli Archi, impegnati in luciferine scale cromatiche ascendenti e in fortissimo, è sorprendentemente fiacca e appannata.
Tutto il contrario rispetto a quanto era successo con la fenomenale ri-esecuzione Tadlow del Taras Bulba di Waxman, infusa di un vigore e di un’energia in alcuni casi persino eccessivi, come ad esempio nel tempo forsennato con cui viene staccato lo Scherzo di “The Sleighride”.
Nel caso di Obsession viene invece in mente la recente edizione Tadlow del Conan di Poledouris: un’esecuzione tecnicamente impeccabile, certamente superiore all’originale, ma non sempre in grado di riverberare la temperatura emotiva di un'imprecisa ma passionale Accademia di Santa Cecilia.
Ad ogni modo, oltre che nelle meravigliose aperture liriche di brani quali “The Hallway” o “The Morning After”, Raine si prende comunque la sua rivincita in altre pagine al calor bianco, come ad esempio in “La Salle/The Struggle” o nell'abbagliante apoteosi del “Finale”. Manca solo un po' di Cuore.
Herrmann non è un Autore facile: la sua scrittura, così come la sua palette armonica, è incomparabilmente meno stratificata e complessa di quella di un Korngold, ma proprio per questo le sue partiture necessitano, da parte di direttore e orchestra, di un polso e di una convinzione anche maggiori. Bisogna credere fino in fondo a ciò che è vergato sullo spartito, e affidarsi ciecamente all'istinto infallibile di Drammaturgo e Musicista di questo Gigante. Se ci è consentita un'azzardata analogia, è un po' come con lo “Zum-Pa-Pa” del Verdi Risorgimentale o della Trilogia Popolare: mai tirarsi indietro o - peggio ancora – pensare di nobilitare ciò che a uno sguardo sciocco e snob può sembrare naif o addirittura volgare, ma sforzarsi di farsi umili interpreti e messaggeri di una Verità che nella sua ieratica essenzialità è invece tanto più potente e profonda.
Complesso di colpa (Obsession, 1976)
TADLOW019
CD 1: Blue-ray + standard CD stereo mix
CD 2: 20 brani – Durata: 66’01”
Sono ormai lontani i tempi in cui l'appassionato di Colonne Sonore – non necessariamente un cultore di Cinema tout court – coltivava il suo interesse quasi maniacale in solitudine o, se era fortunato, condividendolo con pochissimi altri eletti; “confratelli” spesso molto distanti, coi quali scambiarsi (via lettera!) un elenco di dischi, proponendo scambi o duplicazioni con fare cospiratorio.
Una passione di nicchia, insomma, il cui oggetto era ignorato, quando non schernito, dalla critica musicale ufficiale e togata, fatte salve poche onorevoli eccezioni: per rimanere al suolo italico, parlo ad esempio di studiosi quali Roberto Pugliese o Ermanno Comuzio, i cui scritti venivano fotocopiati e avidamente conservati da molti di coloro che oggi scrivono qui.
Negli anni molte cose sono cambiate; a ben guardare però - verrebbe da dire parafrasando Tomasi di Lampedusa – sono cambiate perché rimanessero sempre le stesse.
Siamo i soliti quattro gatti, oggi come ieri, ma Internet ci ha avvicinato come un tempo non era nemmeno immaginabile: e improvvisamente è come se ci conoscessimo tutti per nome. Un certo spirito elitario, da Confraternita appunto, è comunque sopravvissuto e l'appassionato di Musica da Film rimane un personaggio quantomeno singolare, che sovente si sente depositario della Sua Verità su questo piccolo Mondo a Parte; detentore di un Verbo che propugna instancabilmente su Forum dedicati o sui “nuovi” Social Network.
La fetta di mercato discografico dedicata a questa particolare forma d'arte è notevolmente cresciuta negli anni (oggi vive una nuova fase di contrazione, purtroppo, comune peraltro ad ogni ambito musicale) e sempre più etichette hanno cominciato a pubblicare nuove edizioni (spesso integrali) di capolavori del passato più o meno remoto, quando non a re-incidere ex novo le partiture dei Grandi Maestri.
Un elenco sarebbe troppo lungo in questa sede, ma non possiamo non citare l'opera impagabile di George Korngold (figlio del leggendario Erich Wolfgang Korngold), produttore per la RCA – oltre che per la Varèse – di una collana di dischi indimenticabili incisi negli anni Settanta e dedicati in massima parte ai musicisti della Golden Age hollywoodiana: una scelta di pagine memorabili, affidate alla bacchetta di Charles Gerhardt sul podio della National Philharmonic Orchestra. Si tratta di produzioni ancora oggi ineguagliate per la bellezza del suono, l'interpretazione sontuosa, l'aderenza miracolosa al segno e allo spirito di un Cinema e di una scrittura musicale che appartengono a un Tempo ormai finito...
Approssimativamente nel medesimo periodo Elmer Bernstein e la sua “Film Music Collection” hanno consegnato agli appassionati un'altra collana imprescindibile di capolavori musicali del passato, mirando a un’edizione estesa (anche se non integrale) di singole colonne sonore inedite, laddove Gerhardt, invece, operava principalmente nella direzione di una compilazione di Suite più o meno articolate.
Da queste due opere capitali sono poi discese, nel corso dei decenni, innumerevoli pubblicazioni da parte di etichette storiche, prima fra tutte la Varèse Sarabande, ma poi anche Marco Polo (in seguito Naxos), Koch, TELARC, Silva Screen, Chandos, La-La Land, FSM, Tribute Film Classics, Intrada... e molte altre che – come alcune di quelle citate – sopravvivevano il tempo di qualche fortunosa uscita e poi risorgevano sotto altra veste; ma le orchestre, i direttori, i producer, i redattori delle partiture erano sempre gli stessi: nomi che ogni vero appassionato di Film Music ha imparato a conoscere e a onorare.
Nomi come quello del produttore James Fitzpatrick che ha speso la sua esistenza a navigare nei mari burrascosi (e, da un punto di vista economico, decisamente poco pescosi) delle re-incisioni discografiche di capolavori della storia della Musica da Film. Da alcuni anni la sua etichetta Tadlow Music sforna con rimarchevole costanza edizioni integrali di colonne sonore leggendarie: da Conan il barbaro di Poledouris a Quo Vadis? di Rozsa, da Lawrence d’Arabia di Jarre a Taras Bulba di Waxman.
Pubblicazioni estremamente curate sotto ogni aspetto, dalla confezione alle note del libretto (spesso dei veri e propri saggi di musicologia), passando ovviamente per un'esecuzione estremamente professionale della City of Prague Philharmonic Orchestra che, sotto la bacchetta di Nick Raine, dimostra ad ogni uscita gli enormi progressi compiuti in questo repertorio, rispetto ai primi timidi passi negli anni Novanta, con le compilation incise per la Silva Screen.
L'intento della Tadlow è stato sin dagli inizi quello di recuperare il lavoro del compositore in una forma quanto più esaustiva e fedele possibile, con un orecchio sia all'esecuzione originale sia alle intenzioni spesso disattese dell'Autore; come, ad esempio, brani tagliati o mutilati che vengono puntualmente reintegrati o versioni alternative della medesima pagina.
Ora, re-incidere un capolavoro della musica da film del passato (specie in versione integrale) non è solo un lavoro estremamente complesso – basti pensare al fatto che spesso mancano, in parte o completamente, le partiture orchestrali originali, che vanno quindi pazientemente ricostruite – ma pone una serie di questioni estetiche che, per alcuni degli appassionati più integralisti di cui ho detto sopra, divengono addirittura “etiche”.
Innanzitutto, fino a che punto può avere senso la ri-esecuzione (o la mera ri-edizione) integrale di una colonna sonora? La musica da film, per sua stessa natura, è scritta per funzionare primariamente al servizio delle immagini; non sempre è in grado di reggersi sulle proprie gambe, vale a dire separata dal contesto filmico, e di essere goduta come musica assoluta.
Grandi Maestri come Herrmann, Goldsmith o Williams hanno spesso preferito trarre personalmente delle Suite dalle partiture cui tenevano particolarmente (era anche un modo per riappropriarsi in parte dei diritti musicali di un lavoro che appartiene in primis agli Studios), fermamente convinti che le loro fatiche cinematografiche necessitassero di un’attenta operazione di selezione ed eventuale rielaborazione per ambire alla dignità di un ascolto separato, che si trattasse del programma di un Concerto o della compilazione e scalettatura di un’incisione discografica.
Ad ogni modo, indipendentemente dal fatto che una presentazione integrale abbia (sempre) senso, la realtà delle cose è che l’esiguo mercato degli appassionati e degli studiosi di Musica da Film esige edizioni discografiche complete o prossime alla completezza: per il Fan (colui che Goldsmith chiamava “collezionista di tappi di bottiglia”), ogni singola nota della colonna sonora che ama è importante e degna di essere tramandata. E laddove l’incisione originale risulti deteriorata o incompleta, ecco che temerari producer come Fitzpatrick si lanciano nell’avventura della ri-esecuzione integrale dei grandi capolavori musicali della storia del Cinema.
E a questi uomini coraggiosi si para subito innanzi un ulteriore, pericolosissimo “scoglio” estetico: la vexata quaestio dell’Interpretazione musicale. In termini piuttosto semplici, l'amletico quesito è il seguente: devo affrontare lo spartito badando esclusivamente al “segno scritto”, alla musica pura e semplice, o devo sempre tenere presente la lettura che di quel segno è stata data nell’esecuzione originale (e in qualche modo definitiva, perché legata per sempre alle immagini per le quali quella musica è stata scritta)? In altre parole: devo approcciarmi alla partitura di Obsession di Bernard Herrmann con il medesimo spirito col quale mi avvicinerei, per esempio, a una Sinfonia di Mahler (cercando dunque l’intenzione dell’Autore solo sulla pagina, a partire dalla conoscenza che di quel musicista ho maturato negli anni) o devo considerare l’incisione originale di Obsession, diretta da Herrmann stesso nel 1975, l’ideale esecutivo cui avvicinarmi quanto più possibile?
Gli appassionati – sempre loro! – non hanno alcun dubbio: la nuova esecuzione deve riprodurre minuziosamente, ai limiti del plagio interpretativo, l’originale inciso per il film. Quello vogliono sentire, e risentire, e sentire nuovamente! La pedanteria con la quale lamentano l’espunzione di un brano di 20 secondi dal CD della colonna sonora originale di un film ha il suo perfetto corrispettivo nell'ostinazione pervicace e molesta con la quale rivendicano il diritto ad ascoltare una nuova esecuzione praticamente identica a quella di cui si sono innamorati.
Ora, da una parte, un direttore e un’orchestra che si sottomettano completamente a una simile pretesa corrono il rischio di un’interpretazione musicale fiacca, priva cioè di quel mordente, di quel piglio che solo il rifiuto di qualsiasi vincolo extra-musicale può consentire di ottenere in una sala di incisione. D’altra parte però, è anche vero che molte registrazioni originali, per soddisfare pienamente le esigenze spesso spietate del fotografico (in termini di ritmo, scansione del montaggio, sincrono, etc...) si fregiano ancora oggi di un'esattezza d'accenti, di un'incisività, che una qualsiasi intenzione esecutiva alternativa, tentata successivamente, inevitabilmente suona fuori fuoco o inerte.
Certo si dà anche il caso che alcune di queste deludenti ri-esecuzioni siano state incise dagli Autori stessi della partitura. Di nuovo, è il caso fra gli altri di Bernard Herrmann, la cui nuova direzione di Psycho per la Unicorn non suona del tutto convincente rispetto all’impatto elettrizzante della colonna sonora originale, che peraltro ancora attende una pubblicazione ufficiale. In questi casi, quale dovrebbe essere allora l'interpretazione di riferimento?
Pare ragionevole supporre che la risposta più equilibrata sia: tutte e nessuna. Se accettiamo l’idea che un Colonna Sonora non si esaurisca necessariamente in quella che è la sua funzione primaria, se riteniamo dunque possibile fruirne e goderne anche per il suo valore musicale intrinseco, al di là del contesto cinematografico per il quale è stata scritta, allora dovremo anche venire a patti con il fatto che nessuna lettura possiederà mai la capacità di penetrare completamente una (grande) pagina musicale, di estrinsecarne per dir così tutte le potenzialità.
La pregevole nuova incisione integrale di Obsession di Herrmann da parte della Tadlow ha peraltro la ventura di vedere la luce poche settimane dopo la pubblicazione ri-masterizzata della colonna sonora originale e completa da parte della Music Box: un’occasione per confrontare due splendide letture del medesimo capolavoro.
Diciamo subito che ci aspettavamo che i quarant'anni che separano le due incisioni si facessero sentire maggiormente, in termini di presa sonora e di dettaglio; sorprende constatare che le nuove tecnologie e la scelta di incidere separatamente Coro, Orchestra e Organo, non sono sufficienti a staccare sensibilmente l'edizione Tadlow dal pregevole lavoro di pulizia e rimasterizzazione della Music Box. In entrambi i dischi, la trama ineguagliabile delle orchestrazioni hermmanniane risalta con un nitore e una trasparenza stupefacenti.
Anzi, forse la moderata quantità di riverbero e di “ambiente” della registrazione originale infonde ad alcune pagine quella sonorità densa e “agglutinata” che pare meglio confarsi al clima di sospensione trasognata di molte pagine memorabili, quali “Sandra” o “Court's Confession”; brani che a tratti sembrano riecheggiare alcuni fra i momenti di più ispirato impressionismo del Waxman di Rebecca.
La direzione di Raine è mediamente buona: ottima in quasi tutti i lunghi brani contemplativi nei quali è molto importante mantenere la tensione sotterranea di una scrittura apparentemente elementare; meno efficace in alcune delle pagine più mosse, specie nella celeberrima “The Ferry”.
Qui la lettura di Herrmann è decisamente più efficace, laddove Raine sembra più preoccupato di emendare alcune imperfezioni tecniche dell’incisione originale (un’evidente “svirgolata” dei corni) che di ottenere quella inusitata ferocia espressionistica che lo spartito richiede. In particolar modo la resa degli Archi, impegnati in luciferine scale cromatiche ascendenti e in fortissimo, è sorprendentemente fiacca e appannata.
Tutto il contrario rispetto a quanto era successo con la fenomenale ri-esecuzione Tadlow del Taras Bulba di Waxman, infusa di un vigore e di un’energia in alcuni casi persino eccessivi, come ad esempio nel tempo forsennato con cui viene staccato lo Scherzo di “The Sleighride”.
Nel caso di Obsession viene invece in mente la recente edizione Tadlow del Conan di Poledouris: un’esecuzione tecnicamente impeccabile, certamente superiore all’originale, ma non sempre in grado di riverberare la temperatura emotiva di un'imprecisa ma passionale Accademia di Santa Cecilia.
Ad ogni modo, oltre che nelle meravigliose aperture liriche di brani quali “The Hallway” o “The Morning After”, Raine si prende comunque la sua rivincita in altre pagine al calor bianco, come ad esempio in “La Salle/The Struggle” o nell'abbagliante apoteosi del “Finale”. Manca solo un po' di Cuore.
Herrmann non è un Autore facile: la sua scrittura, così come la sua palette armonica, è incomparabilmente meno stratificata e complessa di quella di un Korngold, ma proprio per questo le sue partiture necessitano, da parte di direttore e orchestra, di un polso e di una convinzione anche maggiori. Bisogna credere fino in fondo a ciò che è vergato sullo spartito, e affidarsi ciecamente all'istinto infallibile di Drammaturgo e Musicista di questo Gigante. Se ci è consentita un'azzardata analogia, è un po' come con lo “Zum-Pa-Pa” del Verdi Risorgimentale o della Trilogia Popolare: mai tirarsi indietro o - peggio ancora – pensare di nobilitare ciò che a uno sguardo sciocco e snob può sembrare naif o addirittura volgare, ma sforzarsi di farsi umili interpreti e messaggeri di una Verità che nella sua ieratica essenzialità è invece tanto più potente e profonda.