10 Nov2014
[Rec] 4: Apocalipsis
Arnau Bataller
[Rec] 4: Apocalipsis (2014)
Screamworks Records SWR14015
14 brani – Durata: 44’15”
La trasformazione del ciclo [Rec] da “mockumentary” horror con ambizioni metalinguistiche a horror seriale sul tema – attualissimo – della pandemia ha fatto emergere sempre più il ruolo della musica, che nei primi due capitoli era completamente assente. Pane per i denti dei compositori spagnoli di ultima generazione, agguerritissimi nel settore ma nello stesso tempo poco disponibili a farsi ingabbiare in facili cliché. Essi infatti mescolano sempre le caratteristiche timbriche e strutturali dell’horror music con altre suggestioni, dal cinema d’azione al melodramma, consegnando partiture fiammeggianti e vitali, pulsanti e variopinte, lontanissime dal modello – spesso ripetitivo e cottimizzato – hollywoodiano.
Così era stato per lo score di Mikel Salas per [Rec]³, violento e bruciante, e così accade ora nel quarto capitolo, che vede impegnato il talentuoso e fantasioso compositore di La hermandad e La herencia Valdemar, già presente nel precedente capitolo in qualità di orchestratore.
L’approccio di Bataller appare immediatamente in tutta la sua complessità e varietà: l’incipit anzi guarda più agli stilemi dell’action music che a quelli, tesi e terroristici, del genere di riferimento. Il solenne tema degli archi che si alza in “Countdown”, sorretto da una ritmica ostinata e raddoppiato dall’imponente entrata degli ottoni, incornicia la partitura in un perimetro di grandiosa, imponente maestosità: nella stessa direzione procedono “The Medeiros girl” e “Inside the house”, portatori di un tema lento e sospensivo, gravido di tensione, e trafitti da freddi tremoli, rapide figurazioni e glissandi dei violini ma sempre animati da un’energia ritmica palpitante, ottenuta con il ricorso – in chiave esclusivamente percussiva – dell’elettronica. “First attack” si allinea però sul fronte di un agghiacciante virtuosismo strumentale, con gli archi chiamati a saettanti frustate in un paesaggio armonico lacerato da impietose dissonanze, mentre “The infection part 1” è una pagina basata più sulla suspense, sull’attesa, che non sul facile effetto sussultorio: gli archi disegnano figure furtive in crescendo e diminuendo continui, alternate a lunghe note tenute in registro acuto, mentre gli ottoni forzano sul registro grave creando conflitti timbrici esplosivi. “Fighting” impegna l’orchestra in un dispiego di violenza sonora che ricorda alcuni momenti di Roque Baños per La casa, ed ancora una volta è la triade archi-ottoni-percussione a rivelarsi vincente, laddove soprattutto nei primi sorprende l’alternanza tra una tecnica esecutiva d’avanguardia, terrificante e d’assalto, ad improvvise distensioni liriche. Suoni artificiali, quasi fantascientifici, personalmente sovrintesi dal compositore in sede di registrazione effettuata a Bratislava, si alzano nell’apertura di “Recovering the tape”, che però si rifugia rapidamente nelle consuete, rapinose e allarmanti figurazioni degli archi, protagoniste anche – come un autentico marchio, una sorta di leit-motif subliminale – in “The infection part 2”. “Nick the hero” riprende sontuosamente negli ottoni e negli archi il tema portante, illuminandolo di carica positiva e affermativa, in sintonia con la metamorfosi della protagonista in autentica eroina del film, ma bloccandolo repentinamente con uno sbarramento di archi isterici e sibilanti. Qui si può apprezzare appieno la tecnica orchestrale di Bataller che, come molti suoi colleghi compatrioti, sembra aver assimilato lontane lezioni herrmanniane e goldsmithiane aggiornandole ai canoni della più audace e spericolata avanguardia europea. “It’s a parasite” è quasi paradigmatico nell’esternare l’aperta collisione fra elemento orrorifico e componente eroico-epica della partitura: dilagano dissonanze perforanti mentre i violini sembrano impazzire nel proprio invasivo brulicare, salvo distendersi in coda in una frase dal sapore tragico. “Angela’s show” insiste sull’ostinazione ritmica e sulle figure degli archi, alternando accelerazioni a pause, in una sorta di “stop and go” spiazzante e angoscioso. Tutti gli elementi fin qui chiamati in causa sembrano confluire al calor bianco in “Escaping”, con gli ottoni a perorare, inappellabili e scultorei, una serie di massicce progressioni, e gli archi a contrastarli, maligni e onnipresenti; mentre la ripresa di “Nick the hero” sancisce, soprattutto nel risuonare apocalittico del main theme dagli ottoni, l’aspetto epico-eroico dello score, pur affidando l’epilogo all’ennesimo guizzo da brivido degli archi.
In questa dicotomia fra l’evocazione delle più oscure paure e la splendente imponenza di un trionfale tematismo consiste l’originalità del lavoro di Bataller, che sembra padroneggiare entrambi gli elementi con la rigorosa determinazione di un consumato stratega musicale.
[Rec] 4: Apocalipsis (2014)
Screamworks Records SWR14015
14 brani – Durata: 44’15”
La trasformazione del ciclo [Rec] da “mockumentary” horror con ambizioni metalinguistiche a horror seriale sul tema – attualissimo – della pandemia ha fatto emergere sempre più il ruolo della musica, che nei primi due capitoli era completamente assente. Pane per i denti dei compositori spagnoli di ultima generazione, agguerritissimi nel settore ma nello stesso tempo poco disponibili a farsi ingabbiare in facili cliché. Essi infatti mescolano sempre le caratteristiche timbriche e strutturali dell’horror music con altre suggestioni, dal cinema d’azione al melodramma, consegnando partiture fiammeggianti e vitali, pulsanti e variopinte, lontanissime dal modello – spesso ripetitivo e cottimizzato – hollywoodiano.
Così era stato per lo score di Mikel Salas per [Rec]³, violento e bruciante, e così accade ora nel quarto capitolo, che vede impegnato il talentuoso e fantasioso compositore di La hermandad e La herencia Valdemar, già presente nel precedente capitolo in qualità di orchestratore.
L’approccio di Bataller appare immediatamente in tutta la sua complessità e varietà: l’incipit anzi guarda più agli stilemi dell’action music che a quelli, tesi e terroristici, del genere di riferimento. Il solenne tema degli archi che si alza in “Countdown”, sorretto da una ritmica ostinata e raddoppiato dall’imponente entrata degli ottoni, incornicia la partitura in un perimetro di grandiosa, imponente maestosità: nella stessa direzione procedono “The Medeiros girl” e “Inside the house”, portatori di un tema lento e sospensivo, gravido di tensione, e trafitti da freddi tremoli, rapide figurazioni e glissandi dei violini ma sempre animati da un’energia ritmica palpitante, ottenuta con il ricorso – in chiave esclusivamente percussiva – dell’elettronica. “First attack” si allinea però sul fronte di un agghiacciante virtuosismo strumentale, con gli archi chiamati a saettanti frustate in un paesaggio armonico lacerato da impietose dissonanze, mentre “The infection part 1” è una pagina basata più sulla suspense, sull’attesa, che non sul facile effetto sussultorio: gli archi disegnano figure furtive in crescendo e diminuendo continui, alternate a lunghe note tenute in registro acuto, mentre gli ottoni forzano sul registro grave creando conflitti timbrici esplosivi. “Fighting” impegna l’orchestra in un dispiego di violenza sonora che ricorda alcuni momenti di Roque Baños per La casa, ed ancora una volta è la triade archi-ottoni-percussione a rivelarsi vincente, laddove soprattutto nei primi sorprende l’alternanza tra una tecnica esecutiva d’avanguardia, terrificante e d’assalto, ad improvvise distensioni liriche. Suoni artificiali, quasi fantascientifici, personalmente sovrintesi dal compositore in sede di registrazione effettuata a Bratislava, si alzano nell’apertura di “Recovering the tape”, che però si rifugia rapidamente nelle consuete, rapinose e allarmanti figurazioni degli archi, protagoniste anche – come un autentico marchio, una sorta di leit-motif subliminale – in “The infection part 2”. “Nick the hero” riprende sontuosamente negli ottoni e negli archi il tema portante, illuminandolo di carica positiva e affermativa, in sintonia con la metamorfosi della protagonista in autentica eroina del film, ma bloccandolo repentinamente con uno sbarramento di archi isterici e sibilanti. Qui si può apprezzare appieno la tecnica orchestrale di Bataller che, come molti suoi colleghi compatrioti, sembra aver assimilato lontane lezioni herrmanniane e goldsmithiane aggiornandole ai canoni della più audace e spericolata avanguardia europea. “It’s a parasite” è quasi paradigmatico nell’esternare l’aperta collisione fra elemento orrorifico e componente eroico-epica della partitura: dilagano dissonanze perforanti mentre i violini sembrano impazzire nel proprio invasivo brulicare, salvo distendersi in coda in una frase dal sapore tragico. “Angela’s show” insiste sull’ostinazione ritmica e sulle figure degli archi, alternando accelerazioni a pause, in una sorta di “stop and go” spiazzante e angoscioso. Tutti gli elementi fin qui chiamati in causa sembrano confluire al calor bianco in “Escaping”, con gli ottoni a perorare, inappellabili e scultorei, una serie di massicce progressioni, e gli archi a contrastarli, maligni e onnipresenti; mentre la ripresa di “Nick the hero” sancisce, soprattutto nel risuonare apocalittico del main theme dagli ottoni, l’aspetto epico-eroico dello score, pur affidando l’epilogo all’ennesimo guizzo da brivido degli archi.
In questa dicotomia fra l’evocazione delle più oscure paure e la splendente imponenza di un trionfale tematismo consiste l’originalità del lavoro di Bataller, che sembra padroneggiare entrambi gli elementi con la rigorosa determinazione di un consumato stratega musicale.