20 Lug2014
Argo
Alexander Desplat
Argo (Id. - 2012)
WaterTower Music WTM39382
17 brani – durata: 58' 38''
Un film ha molte possibilità, specialmente negli ultimi tempi, di sfruttare le proprie capacità non solo per stupire la gente ma anche per raccontare delle storie che ci mostrino qualcosa sul mondo di Hollywood e sulla sua vicinanza al potere. George Clooney ha voluto spesso, nei film in cui ha lavorato come regista, sceneggiatore o produttore (come in questo specifico film diretto ed interpretato da Ben Affleck, vincitore di tre Oscar, tra cui miglior pellicola), presentare una realtà del mondo cinematografico molto diversa da quella che, naturalmente, si evince dai film e dalle copertine patinate delle riviste popolari.
Interessante quindi è che nel suo stile asciutto e cinico di presentazione delle varie influenze dei media e della finzione cinematografica nel condizionamento di un intero popolo, egli abbia preferito questa volta concentrarsi sul modo in cui la fama e le accecanti luci di Hollywood possono essere sfruttate dalle agenzie di intelligence con lo scopo di mettere in atto delle interessanti e quantomai ardite progettazioni per il salvataggio di alcuni cittadini americani durante la rivoluzione iraniana del ‘78. Ancora più interessante è che questa vicenda sia stata tratta in maniera quasi pedissequa da una storia vera raccontata dal suo stesso protagonista in un libro (Argo per l’appunto).
Il compositore della colonna sonora, nominata agli Oscar, è Alexander Desplat che in questi ultimi anni è finalmente esploso dando modo di assaporare il suo multiforme ingegno e la sua capacità poetica di creare delle composizioni che si adattino a pennello alle opere a lui proposte. Pochi compositori infatti hanno prodotto tanto ed in maniera tanto continua come ha fatto lui in questi ultimi anni, al punto da permetterci di riconoscergli, se non altro, una velocità di scrittura ed una proprietà dei vari linguaggi musicali paragonabile forse solo a John Williams ed a pochi altri del settore.
Per questo lavoro si è ispirato infatti alle sonorità arabe che siamo stati abituati a sentire già in numerosi altri film che avessero per soggetto l’esercito americano e un conflitto in medio-oriente ma ha saputo “sporcarle” con una leggerezza ed una sfumatura eterea e magica che è diventata la sua firma inconfondibile subito dopo il film The Tree of Life.
L’attenzione di Desplat per i particolari si vede anche qui in maniera molto evidente: su 17 tracce ben 8 hanno una canto vocale, ma sono tutti vocalizzi che, pur riprendendo il tipico stile arabo hollywoodiano, vengono coniugati in otto modi diversi; troviamo infatti nella traccia 2 (“A Spy In Tehran“) il canto muezzin che conclude il brano aperto inizialmente da strumenti arabeggianti (come percussioni e archi pizzicati), nella traccia 3 (“Scent of Death”) si presenta invece una sorta di scat (improvvisazione vocale molto ritmata) che introduce la scala pentatonica araba e che poi, come fosse un sussurro che aumenta fino a raggiungere l’intensità del canto, si trasforma in una melodia vera e propria come nella traccia 5 (“Hotel Messages”), dove a questa voce si aggiungono percussioni e strumenti di sottofondo. Questo scat è forse il tema più ricorrente perchè torna anche nelle tracce 8 “Breaking Through the Gates” e 10 “The Six Are Missing” mentre nel pezzo 14 “Istanbul (The Blue Mosque)” il canto è quello di una donna che si sovrappone al pizzicato di strumenti etnici (forse dei oud o dei Salua); estremamente emozionante è, in particolar modo, l'ultima traccia che chiude il film (“Hace Tuto Guagua” dei Familion) dove inizialmente sentiamo solamente la voce di una bambina intonare un canto popolare alla quale poi si uniscono altre voci come se fosse una sorta di canto processionale o liturgico ad accompagnare il termine del film ed i titoli di coda. In questa ricostruzione etnomusicologica (non fedelissima ovviamente ma comunque attenta) altro grande peso lo ricoprono gli archi ed in particolare i violini che si ritrovano accompagnati da altri strumenti a pizzico nel brano 1 (“Argo“) dove gli strumenti a pizzico sono immediatamente posti ad introdurre, attraverso la scala araba per microtoni, un’atmosfera orientale ed esotica seguita poi dal tappeto sonoro ottenuto da un’intera orchestra di archi, 12 “Drive to the Airport” dove si ritrova ancora lo scat, ma questa volta in secondo piano perchè protagonista è appunto la trama di pizzicato che si percepisce per tutto il pezzo e 13 “Missing Home” e 16 “Cleared Iranian Airspace” i cui unici protagonisti sono proprio i violini suonati ad arco o pizzicati. Ulteriore apporto alla colonna sonora viene dato dalle percussioni che sottoforma di pianoforte o di tamburi si trovano nelle tracce 6 “Held Up By Guards”, 7 “The Business Card” e 9 “Tony Grills the Six” che ottengono un’estetica più occidentale, con sonorità più distintamente hollywoodiane ma che mantengono nell’orchestrazione di Desplat, un ritmo percepito comunque estraneo e orientaleggiante, vicino alla realtà culturale e musicale iraniana. Una delle opere non più innovative ma già caratterizzanti di questo grande autore che, lavorando senza posa negli ultimi anni, sta dimostrando a tutti quante suggestioni si possano creare senza dover sempre soccombere al canone americano.
Argo (Id. - 2012)
WaterTower Music WTM39382
17 brani – durata: 58' 38''
Un film ha molte possibilità, specialmente negli ultimi tempi, di sfruttare le proprie capacità non solo per stupire la gente ma anche per raccontare delle storie che ci mostrino qualcosa sul mondo di Hollywood e sulla sua vicinanza al potere. George Clooney ha voluto spesso, nei film in cui ha lavorato come regista, sceneggiatore o produttore (come in questo specifico film diretto ed interpretato da Ben Affleck, vincitore di tre Oscar, tra cui miglior pellicola), presentare una realtà del mondo cinematografico molto diversa da quella che, naturalmente, si evince dai film e dalle copertine patinate delle riviste popolari.
Interessante quindi è che nel suo stile asciutto e cinico di presentazione delle varie influenze dei media e della finzione cinematografica nel condizionamento di un intero popolo, egli abbia preferito questa volta concentrarsi sul modo in cui la fama e le accecanti luci di Hollywood possono essere sfruttate dalle agenzie di intelligence con lo scopo di mettere in atto delle interessanti e quantomai ardite progettazioni per il salvataggio di alcuni cittadini americani durante la rivoluzione iraniana del ‘78. Ancora più interessante è che questa vicenda sia stata tratta in maniera quasi pedissequa da una storia vera raccontata dal suo stesso protagonista in un libro (Argo per l’appunto).
Il compositore della colonna sonora, nominata agli Oscar, è Alexander Desplat che in questi ultimi anni è finalmente esploso dando modo di assaporare il suo multiforme ingegno e la sua capacità poetica di creare delle composizioni che si adattino a pennello alle opere a lui proposte. Pochi compositori infatti hanno prodotto tanto ed in maniera tanto continua come ha fatto lui in questi ultimi anni, al punto da permetterci di riconoscergli, se non altro, una velocità di scrittura ed una proprietà dei vari linguaggi musicali paragonabile forse solo a John Williams ed a pochi altri del settore.
Per questo lavoro si è ispirato infatti alle sonorità arabe che siamo stati abituati a sentire già in numerosi altri film che avessero per soggetto l’esercito americano e un conflitto in medio-oriente ma ha saputo “sporcarle” con una leggerezza ed una sfumatura eterea e magica che è diventata la sua firma inconfondibile subito dopo il film The Tree of Life.
L’attenzione di Desplat per i particolari si vede anche qui in maniera molto evidente: su 17 tracce ben 8 hanno una canto vocale, ma sono tutti vocalizzi che, pur riprendendo il tipico stile arabo hollywoodiano, vengono coniugati in otto modi diversi; troviamo infatti nella traccia 2 (“A Spy In Tehran“) il canto muezzin che conclude il brano aperto inizialmente da strumenti arabeggianti (come percussioni e archi pizzicati), nella traccia 3 (“Scent of Death”) si presenta invece una sorta di scat (improvvisazione vocale molto ritmata) che introduce la scala pentatonica araba e che poi, come fosse un sussurro che aumenta fino a raggiungere l’intensità del canto, si trasforma in una melodia vera e propria come nella traccia 5 (“Hotel Messages”), dove a questa voce si aggiungono percussioni e strumenti di sottofondo. Questo scat è forse il tema più ricorrente perchè torna anche nelle tracce 8 “Breaking Through the Gates” e 10 “The Six Are Missing” mentre nel pezzo 14 “Istanbul (The Blue Mosque)” il canto è quello di una donna che si sovrappone al pizzicato di strumenti etnici (forse dei oud o dei Salua); estremamente emozionante è, in particolar modo, l'ultima traccia che chiude il film (“Hace Tuto Guagua” dei Familion) dove inizialmente sentiamo solamente la voce di una bambina intonare un canto popolare alla quale poi si uniscono altre voci come se fosse una sorta di canto processionale o liturgico ad accompagnare il termine del film ed i titoli di coda. In questa ricostruzione etnomusicologica (non fedelissima ovviamente ma comunque attenta) altro grande peso lo ricoprono gli archi ed in particolare i violini che si ritrovano accompagnati da altri strumenti a pizzico nel brano 1 (“Argo“) dove gli strumenti a pizzico sono immediatamente posti ad introdurre, attraverso la scala araba per microtoni, un’atmosfera orientale ed esotica seguita poi dal tappeto sonoro ottenuto da un’intera orchestra di archi, 12 “Drive to the Airport” dove si ritrova ancora lo scat, ma questa volta in secondo piano perchè protagonista è appunto la trama di pizzicato che si percepisce per tutto il pezzo e 13 “Missing Home” e 16 “Cleared Iranian Airspace” i cui unici protagonisti sono proprio i violini suonati ad arco o pizzicati. Ulteriore apporto alla colonna sonora viene dato dalle percussioni che sottoforma di pianoforte o di tamburi si trovano nelle tracce 6 “Held Up By Guards”, 7 “The Business Card” e 9 “Tony Grills the Six” che ottengono un’estetica più occidentale, con sonorità più distintamente hollywoodiane ma che mantengono nell’orchestrazione di Desplat, un ritmo percepito comunque estraneo e orientaleggiante, vicino alla realtà culturale e musicale iraniana. Una delle opere non più innovative ma già caratterizzanti di questo grande autore che, lavorando senza posa negli ultimi anni, sta dimostrando a tutti quante suggestioni si possano creare senza dover sempre soccombere al canone americano.