06 Lug2014
The Grand Budapest Hotel
Alexandre Desplat
Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel - 2014)
Abkco Records 1877181302
32 brani – durata: 60’05’’
Un’accattivante spontaneità espressiva percorre interiormente l’universo fantasioso e farsesco della commedia drammatica che ruota fra le pareti di un palazzo in evidente stile asburgico - se ne confrontino i lineamenti con il triestino Palazzo del Municipio o con il celebrato hotel termale Gellert a Budapest cui più di tutti si richiama – ubicato in una immaginifica località denominata Zubrowka nel cuore della Mitteleuropa, presumibilmente fra Repubblica Ceca, Austria, Polonia, Ungheria, Austria e raggiungibile dal sottostante paese con originali ascensori.
Siamo al Grand Budapest Hotel….
The Grand Budapest Hotel, ultimo lavoro di Wes Anderson, giustamente scelto come film inaugurale alla Berlinale 2014 è stato qui meritatamente insignito dell’Orso d’Argento.
Agli inizi del ventesimo secolo l’imponente edificio avvolto in atmosfera di ostentata opulenza era frequentato da personaggi dell’alta società e da numerose avvenenti signore anche in età, vedove o single, cui Monsieur Gustav H, celebrato concierge della struttura, era solito riservare particolari attenzioni e, ove necessario, anche emozionanti prestazioni…
Oggi il Gran Budapest Hotel si presenta in una situazione di inesorabile declino, atmosfera fatiscente, pochi clienti, chiusi nelle proprie particolari patologie. Zero Mustafà, immigrato da terre lontane, attuale proprietario dell’hotel dove aveva iniziato a lavorare come inserviente racconta in flashback la sua singolare storia personale, strettamente legata con quella della gloriosa struttura e a Monsieur Gustav H, a uno scrittore che si accinge a redigere un romanzo.
Il film nelle mani di Wes Anderson diventa una parabola dalla sottile carica esistenziale, nella suggestiva rappresentazione metaforica della vita terrena sempre appesa al filo di un destino storico, vista attraverso il percorso e le vicissitudini del Gran Budapest Hotel e dei personaggi che ne costellano i suoi sontuosi ambienti ed è ispirata e dedicata a Stefan Zweig (1881 – 1942), scrittore austriaco pacifista che vide i propri lavori dati alle fiamme dai nazisti.
Il regista statunitense riunisce per l’occasione un cast davvero stellare che include nomi quali Tilda Swinton, Harvey Keitel, Ralph Fiennes, Bill Murray, Willem Dafoe e Owen Wilson.
Il lavoro di Anderson colpisce per la sottile raffinatezza espressiva, l’elegante stilizzazione delle inquadrature e per una conseguente costruzione architettonica che poggia su un’intellettualizzata e ammirevole simmetria radiale.
Colpisce in modo profondo e sbalorditivo anche per la musica composta da Alexandre Desplat che accompagna le sue immagini in un montaggio assolutamente esemplare.
Dopo le positive esperienze registrate con Fuga d’amore (2012) e Fantastic Mr. Fox (2009) la collaborazione fra Wes Anderson e Alexandre Desplat si riconferma ai massimi livelli.
L’idea del regista statunitense, co-produttore della colonna sonora insieme a Randall Poster, era quella di creare un universo sonoro mitteleuropeo con l’utilizzo di soluzioni vocali e strumentali assai particolari e originali, dallo jodel svizzero (Appenzeller Zaeuerli) al corno alpino, dal canto gregoriano all’organo, dal Concerto per liuto e a archi a pizzico di Antonio Vivaldi fino ai ripetuti interventi di cymbalon ungherese e balaika.
Alexandre Desplat si appropria di queste suggestioni e le traduce in una scrittura che con la sua incantata freschezza motivica e inventiva timbrica, i chiari rimandi folklorici si associa in modo splendido alla penetrante spontaneità espressiva e intensa giovialità del film che avvolge in particolare i personaggi di Zero Mustafà, Monsieur Gustave e Agatha e ne sostiene in modo autorevole la sua interiore forza narrativa.
Pur non potendo parlare di una composizione di taglio sinfonico poggiante su una articolata struttura architettonica e leitmotivica il soundtrack di Desplat, costituito in prevalenza da brani di breve durata, si presenta in una sua incisiva funzionalità, mai invasivo né sottomesso, agisce con una presenza metronomica sbalorditiva e si presta a un ascolto in totale diletto anche disgiunto dalle immagini del film.
I brani aggiunti, attinti dalle diverse tradizioni folkloriche - lo jodel svizzero “s’Rothe-Zaeuerli” - “Oese Schuppel “ di Rudy e Werner Roth, “The linden tree” di Pavel Vasilevich Kilikov e “Kamarinskaia” eseguiti dalla Osipov State Russian Folk Orchestra diretta da Vitaly Gnutov – e dal repertorio classico con il Concerto di Antonio Vivaldi eseguito dal chitarrista Siegfried Behrens accompagnato dalla DZO Chamber Orchestra si integrano in modo magistrale con le cues composte dal musicista francese ed esaltano il carattere eclettico della scrittura e il suo impatto emotivo sulle immagini.
La musica è avvolta in una nostalgica eleganza che mai scade in oleografico languore e sostiene momenti atmosferici con autorevolezza, come nel severo taglio sinfonico e ritmico conferito al drammatico “Daylight Express to Lutz” (brano 8) o al “Night Train to Nebelsbad “ (brano 13). Nel suo dolce ondeggiare, come avvolta in un luccicante tintinnio, la scrittura si muove intorno a una principale idea motivica che viene ripresa e manipolata nel suo fluire, autorevolmente rapportata ai differenti tessuti strumentali e alternanti figure ritmiche e danzanti.
Davvero formidabile la raffinatezza strumentale che percorre il “Canto at Gabelmeister’s Peak” (brano 27), momento culminante del lavoro di Anderson. Una misurata figura percussiva in taglio jazzistico tratteggiata dalla batteria dialoga con il coro che intona un assorto Kyrie cui seguono i sinistri accenti di un organo che introducono l’insistente tema dal taglio militaresco esposto dall’orchestra con un attento impiego di triangolo, campane e xilofono che viene singolarmente stemperato da un frenetico passaggio solistico del cymbalon.
Come non rimanere poi soprattutto incantati dall’elegiaca raffinatezza del tessuto strumentale di “Mr Moustafa” (brano 3) dove l’avvolgente tema danzante tratteggiato dal cymbalon si incontra nel suadente e struggente sussurrio delle balaikas…
Toccante, come il suo film.
Una straordinaria imperdibile parabola, visiva e musicale.
Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel - 2014)
Abkco Records 1877181302
32 brani – durata: 60’05’’
Un’accattivante spontaneità espressiva percorre interiormente l’universo fantasioso e farsesco della commedia drammatica che ruota fra le pareti di un palazzo in evidente stile asburgico - se ne confrontino i lineamenti con il triestino Palazzo del Municipio o con il celebrato hotel termale Gellert a Budapest cui più di tutti si richiama – ubicato in una immaginifica località denominata Zubrowka nel cuore della Mitteleuropa, presumibilmente fra Repubblica Ceca, Austria, Polonia, Ungheria, Austria e raggiungibile dal sottostante paese con originali ascensori.
Siamo al Grand Budapest Hotel….
The Grand Budapest Hotel, ultimo lavoro di Wes Anderson, giustamente scelto come film inaugurale alla Berlinale 2014 è stato qui meritatamente insignito dell’Orso d’Argento.
Agli inizi del ventesimo secolo l’imponente edificio avvolto in atmosfera di ostentata opulenza era frequentato da personaggi dell’alta società e da numerose avvenenti signore anche in età, vedove o single, cui Monsieur Gustav H, celebrato concierge della struttura, era solito riservare particolari attenzioni e, ove necessario, anche emozionanti prestazioni…
Oggi il Gran Budapest Hotel si presenta in una situazione di inesorabile declino, atmosfera fatiscente, pochi clienti, chiusi nelle proprie particolari patologie. Zero Mustafà, immigrato da terre lontane, attuale proprietario dell’hotel dove aveva iniziato a lavorare come inserviente racconta in flashback la sua singolare storia personale, strettamente legata con quella della gloriosa struttura e a Monsieur Gustav H, a uno scrittore che si accinge a redigere un romanzo.
Il film nelle mani di Wes Anderson diventa una parabola dalla sottile carica esistenziale, nella suggestiva rappresentazione metaforica della vita terrena sempre appesa al filo di un destino storico, vista attraverso il percorso e le vicissitudini del Gran Budapest Hotel e dei personaggi che ne costellano i suoi sontuosi ambienti ed è ispirata e dedicata a Stefan Zweig (1881 – 1942), scrittore austriaco pacifista che vide i propri lavori dati alle fiamme dai nazisti.
Il regista statunitense riunisce per l’occasione un cast davvero stellare che include nomi quali Tilda Swinton, Harvey Keitel, Ralph Fiennes, Bill Murray, Willem Dafoe e Owen Wilson.
Il lavoro di Anderson colpisce per la sottile raffinatezza espressiva, l’elegante stilizzazione delle inquadrature e per una conseguente costruzione architettonica che poggia su un’intellettualizzata e ammirevole simmetria radiale.
Colpisce in modo profondo e sbalorditivo anche per la musica composta da Alexandre Desplat che accompagna le sue immagini in un montaggio assolutamente esemplare.
Dopo le positive esperienze registrate con Fuga d’amore (2012) e Fantastic Mr. Fox (2009) la collaborazione fra Wes Anderson e Alexandre Desplat si riconferma ai massimi livelli.
L’idea del regista statunitense, co-produttore della colonna sonora insieme a Randall Poster, era quella di creare un universo sonoro mitteleuropeo con l’utilizzo di soluzioni vocali e strumentali assai particolari e originali, dallo jodel svizzero (Appenzeller Zaeuerli) al corno alpino, dal canto gregoriano all’organo, dal Concerto per liuto e a archi a pizzico di Antonio Vivaldi fino ai ripetuti interventi di cymbalon ungherese e balaika.
Alexandre Desplat si appropria di queste suggestioni e le traduce in una scrittura che con la sua incantata freschezza motivica e inventiva timbrica, i chiari rimandi folklorici si associa in modo splendido alla penetrante spontaneità espressiva e intensa giovialità del film che avvolge in particolare i personaggi di Zero Mustafà, Monsieur Gustave e Agatha e ne sostiene in modo autorevole la sua interiore forza narrativa.
Pur non potendo parlare di una composizione di taglio sinfonico poggiante su una articolata struttura architettonica e leitmotivica il soundtrack di Desplat, costituito in prevalenza da brani di breve durata, si presenta in una sua incisiva funzionalità, mai invasivo né sottomesso, agisce con una presenza metronomica sbalorditiva e si presta a un ascolto in totale diletto anche disgiunto dalle immagini del film.
I brani aggiunti, attinti dalle diverse tradizioni folkloriche - lo jodel svizzero “s’Rothe-Zaeuerli” - “Oese Schuppel “ di Rudy e Werner Roth, “The linden tree” di Pavel Vasilevich Kilikov e “Kamarinskaia” eseguiti dalla Osipov State Russian Folk Orchestra diretta da Vitaly Gnutov – e dal repertorio classico con il Concerto di Antonio Vivaldi eseguito dal chitarrista Siegfried Behrens accompagnato dalla DZO Chamber Orchestra si integrano in modo magistrale con le cues composte dal musicista francese ed esaltano il carattere eclettico della scrittura e il suo impatto emotivo sulle immagini.
La musica è avvolta in una nostalgica eleganza che mai scade in oleografico languore e sostiene momenti atmosferici con autorevolezza, come nel severo taglio sinfonico e ritmico conferito al drammatico “Daylight Express to Lutz” (brano 8) o al “Night Train to Nebelsbad “ (brano 13). Nel suo dolce ondeggiare, come avvolta in un luccicante tintinnio, la scrittura si muove intorno a una principale idea motivica che viene ripresa e manipolata nel suo fluire, autorevolmente rapportata ai differenti tessuti strumentali e alternanti figure ritmiche e danzanti.
Davvero formidabile la raffinatezza strumentale che percorre il “Canto at Gabelmeister’s Peak” (brano 27), momento culminante del lavoro di Anderson. Una misurata figura percussiva in taglio jazzistico tratteggiata dalla batteria dialoga con il coro che intona un assorto Kyrie cui seguono i sinistri accenti di un organo che introducono l’insistente tema dal taglio militaresco esposto dall’orchestra con un attento impiego di triangolo, campane e xilofono che viene singolarmente stemperato da un frenetico passaggio solistico del cymbalon.
Come non rimanere poi soprattutto incantati dall’elegiaca raffinatezza del tessuto strumentale di “Mr Moustafa” (brano 3) dove l’avvolgente tema danzante tratteggiato dal cymbalon si incontra nel suadente e struggente sussurrio delle balaikas…
Toccante, come il suo film.
Una straordinaria imperdibile parabola, visiva e musicale.