21 Mag2015
Gary Yershon, dipingere con le note!
Gary Yershon, dipingere con le note!
Londinese, classe 1954, Gary Yershon è un compositore la cui notorietà in patria è dovuta ad un’intensa attività per il teatro, la radio, la televisione e il balletto. “Associate Artist” della Royal Shakespeare Company, nel 1994 ha curato come direttore musicale la produzione dell’Opera da Tre Soldi messa in scena da Phyllida Lloyd per il Donmar Warehouse, anche se pochi ricordano che i primi passi nel mondo dello spettacolo li ha mossi in qualità di attore. Sul grande schermo, la sua attività è strettamente connessa al cinema di Mike Leigh, il regista britannico che si muove in bilico fra realismo, commedia e satira amara.
Dopo alcune prove televisive, nel 1999 ha collaborato in veste di musical director a Topsy Turvy – Sottosopra, mentre nel 2008 ha composto le musiche per La felicità porta fortuna – Happy go lucky, seguito nel 2010 da Another Year, poi dal mediometraggio A Running Jump, che Leigh ha girato in occasione delle Olimpiadi londinesi del 2012, ed infine, nel 2014, da Turner, sulla vita e l’opera del grande pittore inglese, partitura rigorosa, catafratta e moderna, che è valsa a Yershon una nomination all’Oscar.
Colonne Sonore: Abbiamo letto che lei ha cominciato come attore. Come è avvenuto l'avvicinamento alla musica? Quali sono stati i suoi riferimenti o modelli?
Gary Yershon: Il mio primo lavoro professionale è stato come compositore, quando ero ancora uno studente. Dopo la laurea, mi sono iscritto ad una compagnia teatrale come attore-musicista, spesso componendo per gli spettacoli in cui mi esibivo. Sono stato educato come un musicista classico, ma sono stato fortunato: poiché scrivevo per una vasta gamma di produzioni mentre lavoravo in compagnie teatrali, ho studiato molti tipi diversi di musica - e non solo in termini di genere (jazz, folk, country, pop, rock, ecc), ma anche come tradizioni completamente diverse, dal Giappone all'Africa occidentale al Sud America, così come vari tipi di lingua araba e di musica indiana – qualunque caratteristica il dramma richiedesse. Inoltre, ho sempre lavorato a stretto contatto con i designer del suono. Quando ho iniziato, a metà degli anni '70, il mondo del sound design si stava espandendo, mano a mano che le tecniche degli studi di registrazione facevano il proprio ingresso nei teatri. Io stesso occasionalmente mi sono occupato di sound design. Come potete immaginare da quello che ho detto, i miei riferimenti erano svariati. Ma in realtà non ho avuto modelli particolari, anche perché a quel tempo gli attori-musicisti erano molto pochi.
CS: Lei infatti ha lavorato molto con il teatro. Qual è la differenza principale tra il fare musica per il palcoscenico e farla per il cinema? Ci sono dei punti in comune?
GY: Credo vi siano due differenze importanti. In primo luogo, nel teatro – o almeno in quello del Regno Unito – si pone una grande enfasi sulle parole. In questo ambiente la musica - a meno che non si tratti di uno strumento privilegiato di espressione, come in un'opera lirica o in un musical - è spesso considerata con sospetto dai registi… Nei film, invece, l'accento è posto sulle immagini, e la musica è accolta a volte persino con eccessivo entusiasmo! In secondo luogo, nel teatro c'è un periodo, quello delle prove tecniche, dove tutti i servizi sono unificati: i progettisti (scene, costumi, illuminazione, suono), la gestione del palcoscenico, gli attori, il compositore, gli strumentisti (se ce ne sono), tutti convergono e si concentrano sulla produzione. Questo non succede mai nei film. Gli attori e il compositore non potrebbero mai incontrarsi. Il compositore è in una stanza con il regista, il direttore della fotografia, il produttore o i produttori. In questo senso la dinamica è completamente diversa dal teatro. Ciò che rimane invariato dal punto di vista del compositore, indipendentemente dal mezzo - teatro, cinema, TV, radio – è la musica da creare. Si inizia con niente, ma devi finire con qualcosa. Questa è sempre la sfida!
CS: Può parlarci del suo rapporto con Mike Leigh, con cui lei collabora regolarmente? Che ruolo ha la musica nei suoi film?
GY: Ho lavorato con Mike quando mi ha ingaggiato in veste di direttore musicale di Topsy Turvy, nel 1999. Si è trattato di un progetto lungo, perché sono stato coinvolto sia in fase di pre-produzione e postproduzione che in quella delle riprese vere e proprie, così abbiamo avuto il tempo per conoscerci reciprocamente. Poi mi ha chiesto di scrivere la musica per un’opera teatrale chiamata 2000 Years, e in seguito mi ha affidato la colonna sonora di Happy Go Lucky, il mio primo lungometraggio. Da allora, ho composto per lui l’opera teatrale Grief, il cortometraggio A Running Jump, e altre due lungometraggi, Another Year e Mr. Turner. Mike è un artista collaborativo per eccellenza. Lui è interessato e rispettoso verso ciò che gli offri. Apprezza la musica e i musicisti, ed è musicalmente ben informato. Questo è importante, perché significa che quando faccio un riferimento a questo o quell’elemento lui è in grado di capire di cosa sto parlando. Il modo in cui Mike costruisce i suoi film è molto musicale: i temi emergono, si sviluppano, le consistenze e colori si contrappongono. Ha sempre lavorato così. Date un'occhiata a Naked e vi renderete conto di come tutto ciò sia presente. Penso poi che il ruolo della musica cambi da un film all'altro. Non c'è una formula. Ad esempio, anche se non fa obbligatoriamente uso di musica sottostante ad un dialogo, nemmeno lo esclude. Il cortometraggio che abbiamo fatto, basato su un salto in corsa, ha musica praticamente da cima a fondo. Another Year si vale di attori meravigliosi impegnati in un dialogo eccellente: non c’è bisogno di musica per “riempire” quello che non stanno facendo o duplicare quello che stanno facendo. La musica nei film di Mike trova la propria funzione in relazione alle caratteristiche del progetto. Ascoltate le colonne sonore scritte da Andrew Dickson per Naked e per Vera Drake. Non solo è molto diverso lo stile musicale, ma anche il modo in cui la colonna sonora viene utilizzata.
CS: A questo proposito, Turner possiede una musica moderna, contemporanea, atonale, novecentesca. Perché questa scelta, forse per rendere la sua figura più attuale e vicina a noi?
GY: Questa è una domanda difficile a cui rispondere, ma inizierò con la parte più semplice. Mike ed io abbiamo pensato che non fosse assolutamente opportuno per Mr. Turner avere una colonna sonora “d'epoca”. Una cosa del genere avrebbe completamente minato ciò che il film voleva essere. Non è un film biografico, o un film di genere. Si tratta dello studio di un uomo che appare come uno dei grandi pittori di ogni tempo. La musica doveva operare su un altro livello. Il primo spunto, che stabilisce il linguaggio musicale, doveva in un certo senso raccontare al pubblico ciò che il film non è stato. Non è un dramma romantico, non è un quadro di costumi hollywoodiani. Non so come ho fatto a scrivere quello che ho scritto. Non pensavo di rendere Turner più presente e più vicino ad un pubblico contemporaneo. Se ha quell’effetto, è interessante, ma non intendevo questo. Non ho affatto voluto intellettualizzarlo. Dopo averne parlato in numerose interviste, ho cominciato a pensare che forse stavo tentando, ad un certo livello inconscio, di trovare un linguaggio musicale corrispondente al modo in cui Turner guarda il mondo. Ma non ho deliberatamente deciso di farlo, non sono venuto fuori con una teoria che ho poi messo in pratica. Ho scritto quello che ho scritto, l’ho suonato per Mike, e lui ha pensato che funzionava.
CS: Che influenza hanno avuto allora la pittura di Turner, le sue visioni, il suo modo di usare il pennello, sulla sua ispirazione musicale?
GY: Come dicevo, non ero consapevole dell’influenza di questi fattori su ciò che scrivevo. Davvero, io non stavo cercando affatto di mettere il lavoro di Turner in musica. Curiosamente, però, solo dopo che avevamo registrato la colonna sonora, ho suonato il primo spunto per un amico che era venuto a trovarmi, e lui ha pensato che suonava come un quadro di Turner. Ma è stato indipendente dalla mia volontà. C'è una scena, alla Royal Academy, in cui Turner sta lavorando su un dipinto, utilizzando il pennello energicamente, sputando sulla tela, acclamato dai suoi colleghi: ecco, suppongo che quella musica esprima la sua energia. Ma esprime anche un contrasto con la musica che segue, quando improvvisamente ci rendiamo conto insieme a Turner che quello che stiamo guardando non è un dipinto, ma un vero e proprio paesaggio.
[Si ringrazia Susan Sciama per l'assistenza nella traduzione]
Londinese, classe 1954, Gary Yershon è un compositore la cui notorietà in patria è dovuta ad un’intensa attività per il teatro, la radio, la televisione e il balletto. “Associate Artist” della Royal Shakespeare Company, nel 1994 ha curato come direttore musicale la produzione dell’Opera da Tre Soldi messa in scena da Phyllida Lloyd per il Donmar Warehouse, anche se pochi ricordano che i primi passi nel mondo dello spettacolo li ha mossi in qualità di attore. Sul grande schermo, la sua attività è strettamente connessa al cinema di Mike Leigh, il regista britannico che si muove in bilico fra realismo, commedia e satira amara.
Dopo alcune prove televisive, nel 1999 ha collaborato in veste di musical director a Topsy Turvy – Sottosopra, mentre nel 2008 ha composto le musiche per La felicità porta fortuna – Happy go lucky, seguito nel 2010 da Another Year, poi dal mediometraggio A Running Jump, che Leigh ha girato in occasione delle Olimpiadi londinesi del 2012, ed infine, nel 2014, da Turner, sulla vita e l’opera del grande pittore inglese, partitura rigorosa, catafratta e moderna, che è valsa a Yershon una nomination all’Oscar.
Colonne Sonore: Abbiamo letto che lei ha cominciato come attore. Come è avvenuto l'avvicinamento alla musica? Quali sono stati i suoi riferimenti o modelli?
Gary Yershon: Il mio primo lavoro professionale è stato come compositore, quando ero ancora uno studente. Dopo la laurea, mi sono iscritto ad una compagnia teatrale come attore-musicista, spesso componendo per gli spettacoli in cui mi esibivo. Sono stato educato come un musicista classico, ma sono stato fortunato: poiché scrivevo per una vasta gamma di produzioni mentre lavoravo in compagnie teatrali, ho studiato molti tipi diversi di musica - e non solo in termini di genere (jazz, folk, country, pop, rock, ecc), ma anche come tradizioni completamente diverse, dal Giappone all'Africa occidentale al Sud America, così come vari tipi di lingua araba e di musica indiana – qualunque caratteristica il dramma richiedesse. Inoltre, ho sempre lavorato a stretto contatto con i designer del suono. Quando ho iniziato, a metà degli anni '70, il mondo del sound design si stava espandendo, mano a mano che le tecniche degli studi di registrazione facevano il proprio ingresso nei teatri. Io stesso occasionalmente mi sono occupato di sound design. Come potete immaginare da quello che ho detto, i miei riferimenti erano svariati. Ma in realtà non ho avuto modelli particolari, anche perché a quel tempo gli attori-musicisti erano molto pochi.
CS: Lei infatti ha lavorato molto con il teatro. Qual è la differenza principale tra il fare musica per il palcoscenico e farla per il cinema? Ci sono dei punti in comune?
GY: Credo vi siano due differenze importanti. In primo luogo, nel teatro – o almeno in quello del Regno Unito – si pone una grande enfasi sulle parole. In questo ambiente la musica - a meno che non si tratti di uno strumento privilegiato di espressione, come in un'opera lirica o in un musical - è spesso considerata con sospetto dai registi… Nei film, invece, l'accento è posto sulle immagini, e la musica è accolta a volte persino con eccessivo entusiasmo! In secondo luogo, nel teatro c'è un periodo, quello delle prove tecniche, dove tutti i servizi sono unificati: i progettisti (scene, costumi, illuminazione, suono), la gestione del palcoscenico, gli attori, il compositore, gli strumentisti (se ce ne sono), tutti convergono e si concentrano sulla produzione. Questo non succede mai nei film. Gli attori e il compositore non potrebbero mai incontrarsi. Il compositore è in una stanza con il regista, il direttore della fotografia, il produttore o i produttori. In questo senso la dinamica è completamente diversa dal teatro. Ciò che rimane invariato dal punto di vista del compositore, indipendentemente dal mezzo - teatro, cinema, TV, radio – è la musica da creare. Si inizia con niente, ma devi finire con qualcosa. Questa è sempre la sfida!
CS: Può parlarci del suo rapporto con Mike Leigh, con cui lei collabora regolarmente? Che ruolo ha la musica nei suoi film?
GY: Ho lavorato con Mike quando mi ha ingaggiato in veste di direttore musicale di Topsy Turvy, nel 1999. Si è trattato di un progetto lungo, perché sono stato coinvolto sia in fase di pre-produzione e postproduzione che in quella delle riprese vere e proprie, così abbiamo avuto il tempo per conoscerci reciprocamente. Poi mi ha chiesto di scrivere la musica per un’opera teatrale chiamata 2000 Years, e in seguito mi ha affidato la colonna sonora di Happy Go Lucky, il mio primo lungometraggio. Da allora, ho composto per lui l’opera teatrale Grief, il cortometraggio A Running Jump, e altre due lungometraggi, Another Year e Mr. Turner. Mike è un artista collaborativo per eccellenza. Lui è interessato e rispettoso verso ciò che gli offri. Apprezza la musica e i musicisti, ed è musicalmente ben informato. Questo è importante, perché significa che quando faccio un riferimento a questo o quell’elemento lui è in grado di capire di cosa sto parlando. Il modo in cui Mike costruisce i suoi film è molto musicale: i temi emergono, si sviluppano, le consistenze e colori si contrappongono. Ha sempre lavorato così. Date un'occhiata a Naked e vi renderete conto di come tutto ciò sia presente. Penso poi che il ruolo della musica cambi da un film all'altro. Non c'è una formula. Ad esempio, anche se non fa obbligatoriamente uso di musica sottostante ad un dialogo, nemmeno lo esclude. Il cortometraggio che abbiamo fatto, basato su un salto in corsa, ha musica praticamente da cima a fondo. Another Year si vale di attori meravigliosi impegnati in un dialogo eccellente: non c’è bisogno di musica per “riempire” quello che non stanno facendo o duplicare quello che stanno facendo. La musica nei film di Mike trova la propria funzione in relazione alle caratteristiche del progetto. Ascoltate le colonne sonore scritte da Andrew Dickson per Naked e per Vera Drake. Non solo è molto diverso lo stile musicale, ma anche il modo in cui la colonna sonora viene utilizzata.
CS: A questo proposito, Turner possiede una musica moderna, contemporanea, atonale, novecentesca. Perché questa scelta, forse per rendere la sua figura più attuale e vicina a noi?
GY: Questa è una domanda difficile a cui rispondere, ma inizierò con la parte più semplice. Mike ed io abbiamo pensato che non fosse assolutamente opportuno per Mr. Turner avere una colonna sonora “d'epoca”. Una cosa del genere avrebbe completamente minato ciò che il film voleva essere. Non è un film biografico, o un film di genere. Si tratta dello studio di un uomo che appare come uno dei grandi pittori di ogni tempo. La musica doveva operare su un altro livello. Il primo spunto, che stabilisce il linguaggio musicale, doveva in un certo senso raccontare al pubblico ciò che il film non è stato. Non è un dramma romantico, non è un quadro di costumi hollywoodiani. Non so come ho fatto a scrivere quello che ho scritto. Non pensavo di rendere Turner più presente e più vicino ad un pubblico contemporaneo. Se ha quell’effetto, è interessante, ma non intendevo questo. Non ho affatto voluto intellettualizzarlo. Dopo averne parlato in numerose interviste, ho cominciato a pensare che forse stavo tentando, ad un certo livello inconscio, di trovare un linguaggio musicale corrispondente al modo in cui Turner guarda il mondo. Ma non ho deliberatamente deciso di farlo, non sono venuto fuori con una teoria che ho poi messo in pratica. Ho scritto quello che ho scritto, l’ho suonato per Mike, e lui ha pensato che funzionava.
CS: Che influenza hanno avuto allora la pittura di Turner, le sue visioni, il suo modo di usare il pennello, sulla sua ispirazione musicale?
GY: Come dicevo, non ero consapevole dell’influenza di questi fattori su ciò che scrivevo. Davvero, io non stavo cercando affatto di mettere il lavoro di Turner in musica. Curiosamente, però, solo dopo che avevamo registrato la colonna sonora, ho suonato il primo spunto per un amico che era venuto a trovarmi, e lui ha pensato che suonava come un quadro di Turner. Ma è stato indipendente dalla mia volontà. C'è una scena, alla Royal Academy, in cui Turner sta lavorando su un dipinto, utilizzando il pennello energicamente, sputando sulla tela, acclamato dai suoi colleghi: ecco, suppongo che quella musica esprima la sua energia. Ma esprime anche un contrasto con la musica che segue, quando improvvisamente ci rendiamo conto insieme a Turner che quello che stiamo guardando non è un dipinto, ma un vero e proprio paesaggio.
[Si ringrazia Susan Sciama per l'assistenza nella traduzione]