"Perfect Days": la musica del film di Wim Wenders
Wim Webders e i suoi “Giorni perfetti”
“E’ il più bel film che ho visto negli ultimi vent’anni! Fortuna che non ho ascoltato il mio amico che invece mi diceva che era noiosissimo. E poi che bella la colonna sonora!”. In questa battuta pronunciata da un ragazzo sulla trentina che usciva dalla sala è concentrato tutto il significato e l’umore che ho potuto percepire non solo in platea, ma un po’ ovunque mi sia capitato di sentir parlare di Perfect Days, ultimo film di Wim Wenders.
La piacevolissima e ulteriore sorpresa sta anche nel rendersi conto del gradimento, per niente scontato, che sta avendo la pellicola tra le fila di un pubblico più giovane che probabilmente ha visto ben poco della lunghissima filmografia del regista tedesco. Premettendo che per chi scrive Wenders è stato negli anni ‘70 il cantore e il regista di riferimento di un’intera generazione di spettatori, il testimone di una sensibilità che sapeva cogliere gli attimi, le immagini, le atmosfere e i suoni della way of life di un’epoca dove il matto e disperatissimo desiderio di conoscenza del mondo non era in alcun modo collegato al bisogno di evasione turistica quanto alla pura esperienza vissuta nei luoghi, nelle strade e nell’incontro casuale con l’umanità che ci trovavamo davanti.
I protagonisti dei film di Wenders sono quasi sempre viaggiatori posseduti da una viva e rispettosa curiosità verso ciò che in quel momento li circonda e questa misura la ritroviamo anche nelle storie, nel montaggio e nel ritmo delle sue opere. Un regista che non ha mai avuto paura di “non dire” e di “non spiegare” e che per questo si è sempre volentieri appoggiato alla musica come elemento che per sua natura si esprime su un diverso piano di comunicazione. Fondamentalmente Wenders è innamorato delle musiche del mondo in quanto espressione di un potente linguaggio non verbale ma ne è anche un raffinatissimo conoscitore: si pensi alla playlist rock del road movie Alice nelle città (1973), alla leggendaria colonna sonora di Ry Cooder per Paris, Texas (1988), al fado dei Madredeus per Lisbon Story (1994), al tributo alla musica cubana di Buena Vista Social Club (1999), alle musiche di The Million Dollar Hotel (2000) con brani degli U2, Brian Eno, Jon Hassell, Daniel Lanois (dove il soggetto fu scritto addirittura da Bono) e infine al blues de L’anima di un uomo (2003).
In Perfect Days gli unici commenti originali del film sono gli interventi di sound design presenti in tutte le sequenze oniriche, autentici gioielli sonori. Il regista infatti sceglie di non avvalersi di un compositore - un trend attuale non sempre foriero di buone colonne sonore - ma lo fa a ragion veduta perché tutta la musica che ascoltiamo nel film è la rappresentazione dei gusti e del mondo di Hirayama: il silenziosissimo protagonista sulla cinquantina, con un passato da ricco manager, che ha scelto di cambiare radicalmente vita lavorando come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo. Hirayama ascolta solo audiocassette, sia a casa che nel suo furgone, legge libri di seconda mano e scatta fotografie con una vecchia Olympus. Uno stile di vita non digitale, in un ambiente altamente tecnologico come quello nipponico, che ben rappresenta il carattere “analogico” del protagonista e più volte ribadito nei dialoghi del film. Tutti i brani della colonna sonora, eccetto quello dei titoli di coda, sono rigorosamente diegetici ovvero ascoltati dallo stesso Hirayama grazie alle sue fedeli audiocassette o eseguiti dal vivo in presa diretta. Wenders sceglie una selezione di canzoni che abbraccia un periodo storico tra gli anni ‘60 e ‘70 con una serie di brani a cavallo della scena rock, r&b e underground dell’epoca, un periodo musicalmente d’oro, ricco di intensità, passione e creatività e impreziosito da una generazione di interpreti leggendari come: Otis Redding, Animals, Patti Smith, Rolling Stones, Lou Reed, Velvet Underground, Kinks e Van Morrison. Nel caso del brano di Nina Simone “Feeling Good” l’indicazione in sceneggiatura era obbligatoria perché come ha precisato lo stesso Wenders “ci siamo assicurati di ottenere i diritti prima ancora di girare le scene perché era fondamentale poterla avere nel film”. D’altronde la sequenza finale che include la canzone è probabilmente quella che ha convinto la giuria del Festival di Cannes ad assegnare a Koji Yakusho il Premio per la migliore interpretazione maschile.
Le uniche artiste giapponesi presenti nella colonna sonora hanno invece un valore molto significativo perché sono entrambe due donne particolarmente influenti nell’ambito della cultura urbana giovanile del Giappone degli anni ‘70: le cantautrici Sachiko Kanenobu e Maki Asakawa. Una scelta che definisce ancora più in profondità i tratti caratteriali e la storia del protagonista; un personaggio anticonformista fuori dalle rigidità del Giappone più irreggimentato e pienamente dentro una controcultura che aveva fatto capolino nella società della giovinezza di Hirayama. Un uomo che sceglie di vivere la propria vita pulendo bagni, leggendo libri di carta, ascoltando musica su nastro, usando il telefono solo per telefonare e cercando di fotografare quell’istante che i giapponesi chiamano Komorebi, ovvero la luce che filtra tra le foglie degli alberi. Una figura fuori dai canoni che sconcerta i coetanei del protagonista ma sembra invece affascinare molto i suoi più giovani amici.Wenders sembra talmente a suo agio con la cultura giapponese (i film di Toshiro Ozu sono un suo vecchio amore) da farci comprendere immediatamente quanto questa sensibilità fatta di asciuttezza, delicatezza e rigore formale con la quale descrive il quotidiano del protagonista, in fondo influenzasse anche la sua filmografia precedente. Una sensazione confermata dallo stesso superlativo attore protagonista del film, Koji Yakusho, che ha descritto questo particolare aspetto del regista tedesco “...la sua comprensione del Giappone e della cultura giapponese è piuttosto sorprendente. Sono convinto che nella sua vita passata Wim era veramente un giapponese”.
Perfect Days è un film che tocca corde inaspettate e che se vi prenderà vi seguirà anche dopo la fine della proiezione, non per la sua storia così delicata e impalpabile e nemmeno per i capolavori musicali presenti nella colonna sonora. Sarete catturati dalla descrizione dello scorrere del tempo della vita quotidiana, dai richiami della nostra memoria ancestrale, dalle sue cadenze, dal suo ritmo e dalla semplice ritualità di piccoli gesti che sono di tutti noi ma che mai come oggi sentiamo così distanti e insignificanti. Wenders prova a risvegliare tutti questi universi nascosti dalle nostre esistenze digitali e ci riesce soprattutto con chi, per ragioni anagrafiche, non è mai stato analogico. E forse proprio per questo che oggi un film come Perfect Days ha un valore e un significato profondissimo.