Africa oscura

cover africa oscuraGiuliano Sorgini
Africa oscura (1974/76)
Four Flies Records FLIES 33CD
13 brani – Durata: 34’ 57”

      Chiunque legga queste note, e non sia nato ieri, ricorderà negli anni Settanta e Ottanta le difficoltà di reperimento dell’OST del film veduto il giorno prima – quella musica nuova e strana, che avremmo tanto voluto riascoltare. Giuseppe Tornatore ha detto che acquistare il disco di una colonna musica significa qualcosa del film che puoi portarti a casa, ma anche la scoperta che essa musica può vivere indipendentemente dal suo stesso film (1). Lo apprendemmo presto, e con pari rapidità ci arrestammo dinanzi all’invalicabile muraglia cinese del Nonpubblicato.

Non c’è”, “Mi informo, chiederò al rappresentante”, “Mi dispiace, non so come aiutarla”: quante volte, intrudendoci di soppiatto in qualche rivendita – negozietti di periferia, bugigattoli simili a cantine dismesse (ma in quelli del centro era pure peggio, ti fissavano allucinati, era giunto il marziano), con il cero in mano, abbiamo udito le delusive parole, quel lasciate ogni speranza che ci accompagnava nel mesto ritorno a casa, mentre tentavamo, a memoria, di ricomporre a spizzichi e bocconi quelle note? Salvo poi, anni dopo, scoprire che un po’ di più c’era: edizioni limitate, incisioni non commerciali come la serie SP 8000 della RCA destinata – pare - a personale all’interno dell’industria del cinema e agli stessi compositori, con deliziose copertine in rigoroso biancoenero; o la serie Cms della C.A.M. Nondimeno, l’inedito si affacciava sul pozzo senza fine dei desideri. Le etichette specializzate erano poche. Prima fra tutte la C.A.M. (“Creazioni artistiche musicali”) di Giuseppe Giacchi con le varie serie SAG, AMG, PHOENIX ed un ampio catalogo; seguita dalla RCA Italiana Original Cast e dalla CINEVOX Records. Anche la GENERAL MUSIC si difendeva, sotto distribuzione RCA. Da non dimenticare la BEAT Records Company di Franco De Gemini, attiva dal 1966 ed oggi a pieno motore. E poi, vari label minori, Edi-Pan, Gemelli, Ariete, Parade, Cometa, Omicron, Carosello, Sermi, Vedette, Edibi Seb, International Ils, Cididas, Pegaso, Agu Manda, Cetra, Durium, Atlantic, Sagittario…, alcuni con pochissimi titoli e reperibili già allora chi sa dove e attraverso quali labirintici canali ed oggi ricercatissimi oggetti di collezionismo oltranzista ed autoreferenziale. Erano territori di nicchia, zone di frontiera dai confini malcerti, insospettate, precluse a chi si illudeva di potervi accedere attraverso le vie ordinarie (ci riferiamo alla situazione italiana; all’estero - Stati Uniti, Giappone -, la sensibilità era maggiore). Ma poi, a partire grosso modo dall’ultimo decennio del secolo scorso, è stato un proliferare di iniziative volte al recupero di un patrimonio sommerso e negletto: un mondo a latere, organizzato secondo leggi precise e specifici rituali, con i suoi sommi sacerdoti e adepti e neofiti. GDM, Hexacord, Point Records, Digitmovies, Kronos Records, Quartet Records (molto attenta, oltre ai compositori ispanici, a quelli di casa nostra), sono alcuni nomi/numi di riferimento (per non parlare di label che attuano occasionali ma importanti incursioni, come la Bluebell Disc che di recente ha pubblicato per la prima volta su CD le score di Pino Donaggio per Two Evil Eyes): alcuni durati l’espace d’un matin, altri più longevi e in piena salute a macinare titoli con l’impeto di un panzer. Il nuovo millennio annovera una quantità sbalorditiva di edizioni e riedizioni, score fuori catalogo o inedite, supporto a pellicole disperse in una selva oscura meno carica di responsabilità etiche di quella dantesca eppure non meno selvaggia e aspra e forte.

      Una piccola grande etichetta da tenere d’occhio è la Four Flies Records di Pierpaolo De Sanctis (leggete la sua rubrica Disco bis sulla rivista “Nocturno”: passione sfegatata e succose pillole di enciclopedismo cine-musicale), creata circa sei anni fa. Il nome rinvia – superfluo precisarlo - all’ultimo capitolo dell’argentiana trilogia zoomorfa, ed è programmatico: l’attenzione va tutta alle OST obliate dei Settanta-Ottanta. C’era davvero necessità di una nuova etichetta mirata, non si rischia di innescare una spirale inflattiva? No assolutamente, l’inesplorato è talmente vasto che le forze in campo non saranno mai troppe. Tra LP, 45 giri e CD la Four ha esumato, ad oggi, una quarantina di titoli grazie ad un lavoro meticoloso di investigazione, e non senza un briciolo di natica: “Se l’editore non possiede il master, cerco di rintracciare il compositore. Se neanche quest’ultimo ha a disposizione gli originali, allora tento di percorrere le tracce che queste colonne sonore hanno lasciato nel tempo […]. Talvolta ho trovato quello che cercavo in alcuni scatoloni abbandonati nel buio di una cantina” (2). E che titoli. A mo’ d’esempio: Il tempo degli assassini (Albert Verrecchia), Italia: ultimo atto? (Lallo Gori), Sangue di sbirro (Alessandro Alessandroni), Un posto ideale per uccidere (Bruno Lauzi), (Blues per Brigitte/Le notti della violenza (Titoli) (Carlo Rustichelli e Aldo Piga rispettivamente per Libido di Ernesto Gastaldi e Le notti della violenza di Roberto Mauri), L’uomo elettronico (Piero Umiliani), La famiglia Benvenuti (Armando Trovajoli), Sortilegio (Silvano D’auria; diretto da Nardo Bonomi, “ultimato, montato, doppiato ma mai arrivato al visto di censura e rimasto, ovunque, inedito” come ci ricordano gli amici di “Nocturno”) (3). Ma anche: Rullio/Violenza (Ugo Busoni/Gerardo Iaocoucci: Italian Library Grooves), Diapason (The Green Birds: library), Agip (Azzurro 80), e infinito altro. Sfogliare il catalogo Four Flies è aprire un libro dei sogni, i più perversi e proibiti impulsi musicali potranno trovare appagamento in quell’Atlantide che a poco a poco riemerge dall’oceano e disvela i suoi tesori, quelli cercati e i molti insospettati. (Ma perché perdersi nell’elencazione, quando c’è un sito ufficiale con tutti i dati in bella evidenza? Le cose esistono in sé, oggettivamente; e però solo attraverso la parola acquistano vita vera, solo fissate sulla pagina sono sottratte all’impermanenza dei sensi. Lo sapeva Mallarmé – tout, au monde, existe pour aboutir à un livre -; lo sapeva Emily Dickinson: Alcuni dicono che / quando è detta / la parola muore. / Io dico invece che / proprio quel giorno / comincia a vivere. E dunque, quei titoli e quei nomi, inchiodati alla - illusoria anch’essa peraltro - stabilità della pagina, «salvano» una realtà che, diversamente, rimarrebbe affidata alle connessioni imperfette delle nostre immagini mentali e alla precarietà della memoria che si sfolla). La tiratura è giocoforza limitata, 500 copie massimo e spesso anche meno, le già magre scorte si assottigliano e molti titoli sono sold out. E ciò è bello. La musica del cinema non sarà mai di massa, mai di consumo, mai commerciale, mai seriale. Vale per Morricone, conosciuto, pubblicato e ripubblicato e «popolare», come per Sorgini. Ci tacciano di snobismo, di alterigia, di puzza sotto il naso? E se invece parlassimo di amore, passione, buon gusto, voglia di scoperta, di rêverie anche? Quali istinti muovono i cultori della musica del cinema? Sergio Miceli li definiva degli onnivori più che dei buongustai. E giungeva a dire che la popolarità di certi compositori cinematografici era direttamente proporzionale all’ignoranza dei fan – salvo poi interrogarsi sul «caso Morricone», non esattamente inquadrabile in quest’ottica e ben più complesso. Il professore, si sa, era sempre tranchant, e per il temperamento fumantino e per la formazione accademica di storico della musica. Fan in principio lo fummo – forse -, innamorati di quella musica. Ma senza isterismi né idolatrie. Di poi, al piacere sensuale dell’ascolto si affiancò quello intellettuale del comprendere: dello studio, dell’approfondimento, della riflessione critica (magari con qualche presa di distanza da certe infatuazioni giovanili). Oggi per noi ascoltare significa capire la musica; se non sul piano tecnico, almeno situandola nel suo contesto per verificarne le ragioni, e per storicizzarla. Consci, per esperienza provata, che il peggior brano di musica per film surclassa di molto la volgarità e insignificanza dei più celebrati hit della musica leggera italiana ed estera. Nino Rota, nel corso di un colloquio con Sergio Miceli, alla domanda sulla convenienza di un ascolto autonomo della musica per lo schermo, rovesciava la questione chiedendosi quanta musica composta al di fuori del cinema sia degna di essere ascoltata (4). Esiste poi la musica da film, oggi ne udiamo troppa. E non ci interessa.
      
      Su Giuliano Sorgini le informazioni sono scarse, il minimo sindacale. Non siamo riusciti ad appurare nemmeno l’anno di nascita. Sono state d’aiuto un paio di interviste, una del 2008 l’altra del 2019, che consentono di delineare una sommaria biografia. Diploma (1967) in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Assistente musicale alla RAI due anni dopo (doveva cronometrare la sigla del telegiornale, tutti i giorni alla stessa ora; scappa dopo sei mesi). In RAI conosce Mino Amato, Luigi Turolla e Gianni Minà, con i quali lavorerà in parecchi documentari. Il passaggio al cinema avviene nei primi Settanta e lo vede «autore della musica» di Zoo folle di Riccardo Fellini (fratello del più celebre Federico) nel 1974, cui segue nel medesimo anno Non si deve profanare il sonno dei morti di Jorge Grau. Ha più volte lavorato con quel fenomeno di Angelo “Elio” Pannacciò (Un urlo dalle tenebre, 1976; Io donna tu donna e Un brivido di piacere, 1978; Porno erotico western, 1979; Holocaust 2: i ricordi, i deliri, la vendetta, 1980) e può vantare una collaborazione con l’altro fenomeno Luigi Baltzella (La bestia in calore, 1977). Aggiungiamo La missione del mandrillo di Albert Moore ovvero Giudo Zurli (1975) e Diabolicamente Letizia di Salvatore Bugnatelli (’75), ed avremo un succulento campionario di erosvastica, horror e softcore più o meno spinto. Sorgini li definisce «film d’avanguardia» (5), per altri sono puro trash. (Pieni di fascino comunque, roba oggi impensabile nell’ufficiale dominio della carineria/cretineria intimistico-pubblicitaria-televisiva: oggi, davvero, quelle pellicole sarebbero pura avanguardia). Nel 1996 si ritira, chiude il suo studio di registrazione, va a vivere in campagna e si dedica alla composizione dell’opera L’asino d’oro. Del dopo, non sappiamo nulla. Si può dire che non è mai davvero decollato, e non per difetto di qualità; se mai, per non essere mai incappato in quelle labirintiche imprevedibili connessioni che ti fanno essere al posto giusto nel giusto momento: “Ho avuto la sfortuna, tra virgolette, di essere nato nello stesso periodo di musicisti molto famosi, vedi Bacalov e Morricone […] non mi sono mai voluto paragonare ad altri, però ho notato di non aver mai incontrato un canale fortunato di autorità che ti proponesse film con soggetti importanti, attori importanti e, soprattutto, pubblicità importanti, grazie al quale tu sei legato ad un carro, dei vincitori, che ti porta avanti […] ho sempre fatto cose in economia, avevo una sala di registrazione e facevo tutto io. Ho sempre avuto film troppo importanti come avversari” (6). E dunque una presenza sfuggente, liminare, poco rappresentata anche a livello discografico. Sino all’avvento della Four Flies che sta rendendo giustizia ad un compositore davvero interessante. Di lui ha pubblicato, oltre a Non si deve profanare il sonno dei morti, la library Occulto, Telecinesi, Zoo folle. E, naturalmente, Africa oscura.

      Bel titolo, evocativo e molto cinematografico. Sorgini condivide il duplice ruolo di compositore ed esecutore (tamburo, percussioni, synth). Un lavoro interamente sintetico, musica campionata di quella buona. Tale scelta poteva avere due motivazioni, artistica (“Sono stato sempre attratto dalle novità, il pianoforte non mi bastava mai. Questa curiosità mi ha spinto a imparare sempre nuovi strumenti: flauto, batteria, sintetizzatori. Fin dai primi anni ’70 il mio studio era attrezzato con apparecchi di ogni tipo: moog, arp, emulator, tutto quello che poteva servire per essere al passo coi tempi”) (7) ed economico-pratica (“A lui [Elio Pannacciò] facevo comodo perché avevo il mio studio con tutta la tecnologia per realizzare una colonna sonora tutto da solo, sovrapponendo le varie tracce con il mio Teak a 4 piste. Con sintetizzatori, percussioni e batterie elettroniche lo facevo risparmiare moltissimo”) (8). Il risultato passa l’esame. Tredici tracce per una score omogenea nella strumentazione, nel timbro, nella resa emotiva. Il senso di un continente che incuriosisce, affascina e turba nella sua antropologica diversità percorre i diversi momenti che compendiano forme di natura e cultura estranee all’esperienza e mentalità europee: giungla, savana, deserto, miraggi, riti vodoo, serpenti, cannibalismo, liturgie iniziatiche, sacrifici umani, nulla manca al nostro «mal d’Africa» esaltato da un sound estraneo al classicismo europeo, vicino piuttosto a certe forme della disco di quegli anni. Come in “Iniziazione” e “Notte nella savana” ove percussioni e synth innescano ritmi e timbri ipnotici, strani, d’una piacevolezza stordente. Le percussioni sono basilari e forniscono l’atout al restante materiale che si sovrappone e vivifica grazie a quella base ritmica orientata verso l’esotico. Talora, come in “Vodoo”, stanno da sole e multiple, cerimoniale allucinato sospeso in un nudo silenzio. La cifra di questo Africa oscura è una suggestione incerta, magari epidermica e però garantita. Nitido esempio “Oasi nella giungla”: sulla ritmica campionata si inserisce una fascia che richiama l’organo elettrico, dapprima esile presenza, poi accelerata e ben udibile e con sporadici inserti «concreti» (effetti «uccelli» e piccoli gridi) che suggeriscono un realismo onomatopeico, smentito dal timbro dell’organo evocante tutt’altro clima, mistico e misterico. Oppure “Miraggio”, imparentato ma più lento e con l’organo più sull’acuto e con effetti «sospiro». Ed anche “Africa oscura”, che mescola borbottii vari ed una sorta di pianismo elettronico. Dionisiaci possono definirsi “Cannibali” e “Sacrificio umano”. Il primo risolto in borborigmi minacciosi sulle percussioni, affidato al ritmo e ai riverberi del suono/significante, senza una linea melodica precisa. Il secondo è un tambureggiare con effetti piano che abbozzano linee tematiche, e suona tribale e orgiastico. Quasi epico “Viaggio nel deserto” con la sua andatura galoppante e una melodia più espansa che altrove affidata al moog in intensità crescente: musica che “fa vedere”. Un paio di brani sono pura african action: “Ricognizione” (percussioni secche, fondo elettronico ruvido, incipit cantabili del synth) e “Predatori” (ritmo veloce e fascia tesa). I borborigmi sordi e «striscianti», ossessivi di “Anaconda” e il synth incerto di “Agguato” puntano più sulla suspense.
      
      Ma da dove spunta Africa oscura? In quale occasione fu composto? Qui tutto è davvero oscuro, si incespica entro un buio che ratti scorci di luce puntiformi rendono ancora più piceo. In effetti le linear notes proiettano qualche fascio che amplifica l’arcano, il poco detto rinvia all’incommensurabile non-detto. Sembra (sembra) che la musica giunga da un antico documentario RAI, I corsari della savana (as stated by the credits written on the reels that we have found, così leggiamo), di data imprecisata (recorded by composer and multi-instrumentalist Giuliano Sorgini between 1974 and 1976 in his studio in Prati district in Rome). In vano lo cercherete nella onnisciente Rete, contenitore virtuale dell’universo, dell’accaduto, dello scibile. (Qualcosa dunque sfugge? La montaliana maglia rotta nella rete allora esiste davvero, ogni tanto qualche smagliatura apre un varco – altro termine caro al poeta genovese -, e una infinitesima porzione di Realtà si perde in un vuoto informe e deforme, irreperibile e libera). Tanta musica di Sorgini (e di altri), tutta quella mole di note scritte per la tv, si è sparpagliata in relitti alla deriva. Molta musica del cinema, e tanto cinema, si sono involati su qualche luna ariostesca, e non ci sono Astolfi o ippogrifi che possano recuperarli. O forse sì, come la Four Flies dimostra.     

Uscito nel 2018, il prodotto si avvale di una grafica accattivante, una copertina splendida giocata sull’accostamento di nero, bianco, giallo e verde, con in primo piano il simulacro di qualche divinità africana, una testa ovale stilizzata, l’espressione assente e remota: immagini allusive, invoglianti all’ascolto. E’ disponibile sia nel formato digitale sia in quello fisico, di quest’ultimo abbiamo la versione LP 180 gr (già fagocitata dall’ingordigia dei cultori) e quella CD. V’è poi anche Africa oscura reloved voll. 1 e 2, due 33 giri remixati (The original tracks have been reworked with different approaches, sometimes into full reinterpretations, and with demanding dance floors in mind. The result is a stunning collection of electronic, cosmic, downtempo and Balearic reworks that preserve the spirit of the original versions while projecting them into the future). Si soddisfano insomma tutte le fasce, dal nostalgico del vinile al tecnologico virtuale, senza dimenticare la praticità del compact disc; e si offrono al contempo possibilità di ascolto molteplici ed alternative.

(1)    G. TORNATORE, L’evoluzione dei processi, in E. MORRICONE, Inseguendo quel suono, Milano, Mondadori, 2016, p. 444.
(2)    https://www.corriere.it/19_febbraio_14/start-up-italiana-che-riscopre-colonne-sonore-perdute-vecchi-film-ead0798e-2ac7-11e9-8bb3-2eff97dced46.shtml
(3)    https://www.nocturno.it/sortilegio-la-sceneggiatura/
(4)    Cfr. S. MICELI, Colloquio con Nino Rota, in ID., Musica e cinema nella cultura del Novecento, Roma, Bulzoni, 2010, pp. 465-478
(5)    http://about7th.blogspot.com/2008/06/intervista-al-maestro-giuliano-sorgini.html
(6)    Ivi.
(7)    Giuliano Sorgini… e suono trash, a c. di P. Desanctis ed E. Ercolani, in “Nocturno” 195, marzo 2019, p. 90.
(8)    Ivi.

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