Tiberio Mitri – Il campione e la Miss

cover_tiberio_mitri.jpgSergio Cammariere
Tiberio Mitri – Il campione e la Miss (2011)
RaiTrade FRT 437
26 brani – durata: 59’13”

 

Figura poliedrica di cantautore, jazzista, strumentista, pianista formidabile e ipersensibile, compositore dalle venature classiche ma dallo swing che gli scorre nelle vene, Sergio Cammariere è come si dice un artista “a tutto tondo” che sembra aver trovato proprio nella musica per le immagini una delle migliori fonti d’ispirazione.
 Spirito selettivo, Cammariere ha finora collaborato con film (e autori, da Claudio Fragasso a Angelo Longoni, da Mimmo Calopresti a Pino Quartullo, da Mauro Cappelloni a Ennio De Dominicis) sicuramente di nicchia rispetto alla routine o al box-office, prediligendo – al cinema e in tv – storie particolari, atmosfere in linea con le proprie doti liriche e poetiche ma anche polisemiche, e legando spesso il proprio talento a operazioni estremamente sofisticate, come le invenzioni musicali create insieme al fedele trombettista Fabrizio Bosso per le Comiche vagabonde di Chaplin, o lo splendido, emozionato involucro sonoro di cui ha rivestito nel 2010 Ritratto di mio padre, il bel documentario dedicato da Maria Sole Tognazzi (di cui aveva già musicato il corto Non finisce qui) a papà Ugo.  Insieme a Bosso, al violinista Olen Cesari, cui si sono aggiunti qui il contrabbassista Francesco Puglisi e il batterista Marcello Di Leonardo, Cammariere ha dato vita ad una formazione jazz per così dire “poliglotta”, che ha assorbito in pieno le suggestioni del jazz classico americano (soprattutto grazie alle incredibili sonorità “davisiane” del trombettista piemontese) filtrandole però attraverso una quantità di suggestioni e di citazioni che vanno dal più limpido classicismo al tardoromanticismo viennese, con incursioni strumentali esotiche imprevedibili, scarti ritmici improvvisi e atmosfere di rarefatta malinconia.
 A questa squadra si è aggiunto da qualche anno il prezioso contributo della B.I.M. Orchestra d’archi, formazione nata una dozzina d’anni fa e passata attraverso una lunga serie di esperienze da Rai a Mediaset al Festival di Sanremo, in ciascuna delle quali ha portato la ricchezza della propria duttilità culturale e l’ampiezza senza pregiudizi del proprio repertorio, oltre ad una altissima professionalità e ad una straordinaria qualità di suono e di fraseggio, grazie anche alla attentissima direzione di Marcello Sirignano.
 Questo “team” ha firmato il soundtrack della miniserie Rai diretta da Angelo Longoni e dedicata alle imprese sportive del pugile triestino parallelamente alla sua discussa storia d’amore con l’ex-Miss Italia Fulvia Franco (li interpretano rispettivamente Luca Argentero e Martina Stella). Il risultato è una miracolosa alchimia di jazz, classicismo, blues, swing, perfettamente inserito in un’atmosfera anni ’50 che – più che ricostruita – sembra essere completamente e intimamente rivissuta dai musicisti.
 Vi circola una brezza sonora notturna, ben resa sin da “Un pugno e un bacio” (che avrebbe dovuto essere il titolo originale della miniserie, poi cambiato per una controversia legale con gli eredi del campione, la cui immagine non esce consona ai dettami della retorica sportiva, e che ha anche ritardato la messa in onda del tv-movie), dove su un tema lento e soffuso dialogano, sommessamente e rigorosamente a canone, la tromba di Bosso e il piano di Cammariere. Il tema mosso e dinamico di “La corsa di Tiberio”, che il piano cesella su un inciso ritmico della percussione e lo sfondo degli archi, denota la cura dell’autore per il mantenimento di una forma “classica” (si vorrebbe dire accademica senza caricare il termine di accezioni negative improprie) anche all’interno della struttura jazzistica. Se la tromba in sordina di Bosso, dai percorsi guizzanti e ammalianti, svetta in “Miss Italia Swing”, l’adagio per archi su cui, preceduto dall’introduzione pianistica, si alza il mesto e penetrante motivo dell’oboe in “Tema della delusione”, è un momento altissimo ma composto di pathos, dalla strumentazione finissima, mentre il colto “Allegro in G minor” per archi, dall’incipit staccato all’evoluzione severamente controllata, declina sin dal titolo le proprie ascendenze neoclassiche. “Jungle Boxe” è una delle tante sapienti variazioni su blues della partitura, ma la “Tiberio Suite”, lunga e ramificata, è forse una delle pagine più interessanti dello score. La scrittura per archi, ben valorizzata da Sirignano e dall’orchestra, esalta la vena contrappuntistica del musicista calabrese: il lungo adagio introduttivo possiede una struttura armonica avvincente e solenne, dai chiaroscuri dinamici incantatori e dalle calibrate pause, che vanno a confluire quasi ineluttabilmente nella riproposizione accorata del “tema della delusione”, senza che mai un sospetto di retorica o di sentimentalismo faccia minimamente capolino.
 Climax più “etnico”, mediterraneo e onirico, nelle evoluzioni violinistiche di Cesari su una percussione ondulatoria e cullante in “Jeans Stock”, mentre “Parigi 1951” interseca più materiali (ritmici, melodici) lasciando tuttavia sempre al tema-lamento il ruolo principale. Session di purissimo blues d’altri tempi è il “Blues storto” dominato dalla pastosità quasi tangibile del sound di Bosso, in perpetuo dialettico dialogo con la tastiera di Cammariere. La quale è a sua volta protagonista indiscussa di un altro blues, il “Piazza di Spagna”, dove il tocco del pianista-compositore diventa tutt’uno con la sua anima, evidentemente divisa tra amori musicali d’oltreoceano e un’insopprimibile cantabilità latina (si ascolti anche il breve inciso di “Madison Square Garden”), con un intarsio di pause e silenzi di cameristica, quasi debussiana suggestione.
 È lo stesso pianoforte che si scioglie, luminoso e accompagnato dagli archi, nell’eloquio del Tema d’amore “Tiberio e Fulvia”, o che si raccoglie, quasi concertante ma più sconsolato che mai e contrappuntato dai celli mormoranti, nel Tema della delusione “Tiberio e Alex”, ancora una volta sottolineando la profondità e la delicatezza della scrittura di Cammariere nel dialogo fra le diverse parti strumentali. Nel mezzo, lo scatenato tuffo nei più autentici Fifties con la sgusciante e funambolica tromba di Bosso e Cammariere che dal piano si sposta al caro, vecchio, inconfondibile e insostituibile Hammond per “Vicky’s Blues”.
 Concentrato, quasi minaccioso, il decorso degli archi – soprattutto nel registro grave – in “Tiberio e Jack La Motta”, così come severo, rituale e dal sound solennemente premonitorio appare “Tiberio in America”: sono pagine dove, tra l’altro, spicca la totale assenza di protagonismo solistico del compositore (che pure è uno dei migliori pianisti di jazz su piazza: e non solo di jazz, se lo paragoniamo ad altri, molto più sopravvalutati “fenomeni” dallo stile trasversale, applauditi a mani spellate e dei quali tacciamo i nomi per carità di patria) a favore di un ruolo di sostegno e di interazione con l’insieme. Il tocco, quasi trattenuto, di Cammariere ritorna in “Rifugio” ma soprattutto ritorna l’irresistibile, quasi timido dialogo con Bosso in “Frankie Carbo Blues”. Ancora un penetrante fraseggio degli archi, di breve drammaticità, per “14 marzo 1948” e un’elegante divagazione pianistica, con reminiscenze parachopiniane, in “Edda”, mentre “New York, un anno dopo” riprende anche con l’ausilio straniante di riverberi e distorsioni elettroniche (Cammariere è uno sperimentatore tanto discreto quanto radicale, e non paia una contraddizione) il tema di “Madison Square Garden”.
 Variazione pacata e ancora una volta totalmente affidata alla concentrata sonorità della B.I.M. orchestra è “Tema d’amore lento”, così come nuovi, brevi e scintillanti frammenti citazionistici, carichi di consapevolezza filologica, sono il “Piazza di Spagna swing“ e il “B minor blues” di Bosso, il cui ruolo è senz’altro la marcia in più di questo lavoro. Ma è a Cammariere, ancora in un brano dal carattere quasi di frase interrotta, che spetta chiudere l’album con l’ultima esposizione pianistica, toccante e pudica, del Tema della delusione: e con esso una partitura che risulta ovviamente sovradimensionata qualitativamente all’occasione di committenza, fortunatamente consentendoci di immergerci in un ascolto che unisce un irresistibile effetto-nostalgia per gli amanti del jazz anni ’50 all’ammirazione per un compositore-pianista che appare in grado di spaziare su ogni genere e di catturare, con semplicità e potenza interiore, situazioni di sobria quanto autentica emozione.

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