L’uomo e la magia: Mysticae

cover_uomo_magia.jpgEnnio Morricone
L’uomo e la magia: Mysticae (1972)
Cometa Edizioni Musicali CMT 10013
14 brani – Durata: 50’46”

 

Quando nel 1972 il regista e documentarista Sergio Giordani realizza per la RAI otto puntate di un’inchiesta intitolata L’uomo e la magia il 44enne Ennio Morricone è già il compositore italiano per il cinema più richiesto e popolare, con oltre 150 partiture al proprio attivo e lo statuto riconosciuto di musicista capace di conciliare le sperimentazioni più ardite sul terreno della ricerca del suono insieme ad una vena lirico-melodica senza rivali. Ed è probabilmente proprio questo aspetto, che mette insieme le suggestioni improvvisative e d’avanguardia del gruppo Nuova Consonanza, di cui Morricone era una colonna, con l’esperienza evocativa e la smisurata inventiva dimostrate nei film di Sergio Leone, Elio Petri, Gillo Pontecorvo, a rappresentare la caratteristica più vistosa, ancora oggi dopo quarant’anni, di questa partitura, che all’epoca uscì costituendo il debutto dell’etichetta Cometa di Ivana Mattei, con il titolo Mysticae, e consegnò all’ascolto e ad un’enorme popolarità soprattutto il brano denominato “Adagio sacrale n.1”.  Ora è la stessa casa romana a ripubblicare, a tiratura limitata, la versione integrale e rimasterizzata digitalmente di questa partitura (originariamente registrata al Forum Studio di Roma con l’insuperabile contributo dell’ingegnere del suono Sergio Marcotulli), con cinque brani inediti che rappresentano in pratica varianti, non secondarie, di alcuni dei nove brani precedenti. L’”Adagio sacrale n.1” d’apertura, come s’è detto il più noto, è una silloge dello stile “mistico”, appunto, morriconiano dell’epoca: la compostezza degli archi, la linea melodica discendente dell’organo a canne, l’impianto barocco, haendeliano più che bachiano, lo sviluppo drammaturgico della pagina ne fanno un manifesto stilistico di raro fascino. Le versioni successive elaborano potenzialità espressive diverse ma convergenti del brano: la scelta del coro a cappella in luogo degli archi nell’”Adagio sacrale n.2” ne rende la severità se possibile ancora più struggente e rimanda ad alcuni momenti di una delle più grandi, complesse e trascurate partiture del Morricone di quegli anni, La tenda rossa (1969, Mikhail Kalatozov), mentre la versione per flauto e archi del n.3, con il contributo in sottofondo del clavicembalo, tocca un pathos che diviene addirittura disarmante con l’intervento della viola d’amore e non può non ricordare alcune delle più intense e dolorose creazioni musicali del maestro in quella stagione (citeremo solo il meraviglioso score per La califfa, 1970, Alberto Bevilacqua). Tra gli inediti, la seconda versione dell’Adagio n.1 recupera il ruolo del coro in accompagnamento ma in una chiave più misterica e siderale, debitrice anche a certe composizioni di György Ligeti.
 E il riferimento al maestro ungherese di “Lux aeterna” e “Lontano”, tanto caro a Stanley Kubrick, si fa ancora più evidente in “Allucinazione nell’infinito”, dove le fasce corali fisse sono interpolate da percussioni afro e inserti rapidi del violino solo e dell’organo; diversa la vers.2 del medesimo brano, dove il pulsare della percussione è protagonistico e in aperto, vitale conflitto con l’immobilità angosciosa del tappeto corale – con prevalenza di voci femminili - di sottofondo.
 Ancora un coro d’impronta “etnica” primeggia in “Dal sacro libro”, ma qui non sarà difficile riconoscere nell’enunciazione spezzata, nella forma a canone, nel sostegno di percussioni e organo e nella struttura a crescendo progressivo, quasi un’autocitazione dal celeberrimo “Aboliçao” di Queimada (1969, Gillo Pontecorvo). Il recupero di suoni e suggestioni “ambientali” è pieno e totale nello spazio riservato alle percussioni sia in “Urla al tramonto” che “India”, mentre l’assolo squisitamente barocco per organo di “Notte nel nulla” è una pièce di bravura neoclassica di accademica ed assoluta eccellenza.
 Sotto il titolo “Lamenti notturni” si dirama invece una vasta serie di diversioni: se la prima è un breve studio per percussioni e strumenti a fiato caratteristici, la vers.2 è forse il track più “spinto” del CD, quello che si affaccia maggiormente sui paesaggi dell’avanguardia, con perforanti effetti dei fiati, quasi a riprodurre onomatopeicamente versi animali, e un utilizzo spregiudicato della percussione. Suoni quasi astrali, ancora una volta ligetiani, anche per la vers.3, un lungo movimento lento e dissonante degli archi reso ancora più inquietante da movenze elettroniche, mentre la vers.4 ripropone i fiati, distorti e improvvisatori, come echi da un mondo sconosciuto e potenzialmente ostile.
                                                                            

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