Le chiamavano colonne sonore – Golden 70’s

cover libro le chiamavano colonne sonoreFranco Micalizzi
Le chiamavano colonne sonore – Golden 70’s (2017)
Viola Editrice (www.violaeditrice.it)
156 pagine – 15 euro



…anche fra tante difficoltà e momenti splendidi, incomprensioni e applausi, io vi confesso che mi sono sempre molto divertito e sono certo che continuerò a divertirmi. Ormai lo so: ‘C’est la vie d’artiste…’”
Un’ammirevole e importante ‘vita d’artista’ (ammirata anche dal saccheggiatore geniale Quentin Tarantino) quella narrata in prima persona dal compositore romano Franco Micalizzi (classe 1939) in questa autobiografia dal titolo assai esplicativo del suo mestiere di musicista e autore, “Le chiamavano colonne sonore – Golden 70’s”.

Più che un libro su colui che ha scritto le score di film cult come Lo chiamavano Trinità (da cui nasce il titolo del libro, ovviamente!), L’ultima neve di Primavera, Italia a mano armata, Roma a mano armata e Il cinico, l’infame, il violento, un romanzo di formazione davvero divertente e a tratti commovente, nel quale si respirano, attraverso una narrazione sincera, svagata e intima, dalla nascita alla realizzazione di una vita tra lavoro e famiglia, successi e impedimenti vari (così come descritto da Micalizzi stesso nella frase introduttiva, estrapolata dal libro, che apre questa recensione), tutte le sensazioni ed emozioni non soltanto di un compositore di colonne sonore, noto internazionalmente, ma dell’’Uomo Franco’. Come con la bellissima e dilettevole autobiografia del celebre compositore di musica per film Mario Nascimbene, “Malgré moi, musicista” che vi invito a scovare e leggere assolutamente, anche questa autobiografia micalizziana è una lettura che scorre via con grande piacevolezza e ottima fruizione, nella quale l’aspetto del travaglio compositivo e delle collaborazioni coi vari registi (ricordiamo nomi noti quali E.B. Clucher, al secolo Enzo Barboni, Umberto Lenzi, Bruno Corbucci, Antonio Margheriti, Marino Girolami) e gli aneddoti sui film di differenti generi musicati (circa una cinquantina), sono solo un marginale aspetto narrativo del libro. Logicamente Micalizzi racconta com’è diventato autore di soundtracks e perché è divenuto popolare proprio con lo strafamoso Lo chiamavano Trinità – mentre scrivo questa recensione mi passa accanto un collega con la suoneria del cellulare che intona proprio il leitmotiv del film di Barboni con i mitici Bud Spencer & Terence Hill, quando si dice la casualità! – ma quello che più conta è l’esistenza del Micalizzi bimbo, adolescente, adulto e padre che orgoglioso e sereno ci svela tutti i suoi ricordi, spiegando anche che “…la musica nel cinema contribuisca molto al fluire della storia che passa sullo schermo, coinvolgendo con grande efficacia lo spettatore in platea. Dunque, se la musica di commento ha qualità, diviene parte essenziale del racconto e del film”. Ed anche: “Chi fa il mio mestiere basato sulla capacità/necessità di trovare idee musicali nuove e coinvolgenti, sa bene quanto tutto sia difficile e aleatorio e come la mancanza di certezze, a parte la sicura volontà di mettere a frutto il proprio talento, faccia della nostra vita un’emozione continua…(.) Il nostro è un continuo confronto con chi ci critica e chi ci ama, chi non sa leggere il nostro segno e chi ne è invece conquistato, chi ci considera dei decorativi saltimbanchi e chi all’improvviso ci scopre ‘autori geniali’”. D’altronde, come dici tu stesso Franco, ‘C’est la vie d’artiste’!  

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