Poor Things

cover poor thingsJerskin Fendrix
Povere creature (Poor Things, 2023)
Hollywood Records/Milan Records/Sony Music
22 brani – Durata: 44’04”

Introduzione
La recensione di una colonna sonora, quando firmata da un compositore, si trasforma in un viaggio esclusivo nel cuore della musica cinematografica. Questo approccio non solo arricchisce l’analisi con un punto di vista profondamente informato, ma intreccia sapientemente la critica con l’essenza stessa della narrazione sonora.
Enrico Sabena, compositore esperto di musica per cinema e televisione nonché socio ACMF, ci offre questa prospettiva unica attraverso le sue riflessioni sulle musiche di Povere Creature. Attraverso gli occhi di un creatore, la colonna sonora del film si svela in tutte le sue sfumature, rivelando i segreti dietro le note che animano la pellicola.

Povere Creature: Un’Immersione nel Cuore Sonoro di una Narrazione Surreale                    
Povere creature (Poor Things) è il titolo dell’ultimo film del regista greco Yorgos Lanthimos, tratto dall’omonimo libro dello scrittore scozzese Alasdair Gray. Musiche del compositore inglese Jerskin Fendrix.
Siamo a Londra, in una surreale età vittoriana parallela: Belle Baxter rinasce una seconda volta grazie al trapianto, nel suo corpo morente, del cervello del proprio figlio nascente, diventando allo stesso tempo madre e figlia. Il film si snoda descrivendo senza sconti l’evoluzione della protagonista, da macabro manichino di carne fino a diventare donna vera, assertiva e indipendente, femminista sui generis.
Un film iperbolico, di uno straordinario livello pittorico ed espressivo, un film che non passa inosservato. Certamente un film non per tutti i palati: amato visceralmente o detestato con forza.
La scelta del giovane Jerskin Fendrix, 29 anni, come compositore della colonna sonora rappresenta un gesto audace e visionario da parte di Lanthimos, per abbracciare un approccio originale connesso all’architettura narrativa del film. Fendrix, al suo debutto cinematografico, non solo risponde alla chiamata ma eleva il compito a un’espressione d’arte, creando una colonna sonora tanto “sbilenca e ambigua” quanto la storia che accompagna, meritando la nomination personale agli Oscar (dieci le candidature totali per il film, in aggiunta al Leone d’Oro a Venezia e due Golden Globe). Quindi: prima colonna sonora per Jerskin Fendrix, e subito nomination agli Oscar per le musiche originali. Surreale, esattamente come il film.
Ma anche per Lanthimos (regista internazionale non di primo pelo) bisogna parlare di una “prima volta”: la prima volta in cui commissiona a un compositore la scrittura della partitura invece di selezionare lui stesso le musiche nel panorama del repertorio già edito. Quindi: la prima colonna sonora originale per un film di Yorgos Lanthimos.
Apparentemente, però, il regista greco sembra non distaccarsi dal suo abituale metodo di montare le scene del film usando musica già preesistente: colonna sonora originale, sì, perché commissionata da lui stesso, ma in ogni caso colonna sonora quasi tutta composta prima dell’inizio delle riprese, con Fendrix slegato dalla visione delle immagini e Lanthimos libero, successivamente, di sincronizzare a suo piacimento ogni nota sulle scene del film. Questo all’apparenza. In realtà c’è ben di più, e qui subentra il genio compositivo di Fendrix, “lasciato libero di lavorare al 100%”, come da lui rivelato nelle interviste, e quindi in grado di restituire musiche oniriche e distopiche con un retropensiero in linea con il film nascente. Una suggestione pura, totale, che ha consentito a Lanthimos di avvalersi del potere evocativo della musica costruendo poco per volta l’intero “mondo del film”, a partire dalla musica stessa. Una musica primordiale, primitiva, sporca e dissonante ma allo stesso tempo ammaliante, da sviluppare in parallelo alla maturazione della protagonista.
Certamente Lanthimos conosceva i lavori precedenti di Fendrix, in particolare gli arrangiamenti “ultra-modern-pop sperimentali electro-punk sub-urbani londinesi” dell’album “Winterreise”, dove il sound design acquista valenza musicale in un colore unico e originale. Per il film però si trattava di passare a un livello superiore, descrivendo musicalmente il disagio interiore della protagonista partendo dall’esterno, dalla concretezza sfacciata del corpo, descritto in note sin dalla prima scena, con un minimalismo musicale destrutturato e inquietante, quasi “anatomico”, con un suono che ricorda un’arpa da concerto con tanto di pedali a tirare le corde per ottenere un’intonazione “fluttuante” a imitazione della sinistra camminata della protagonista.
È lo stesso Fendrix a raccontarlo: una colonna sonora realizzata alla stregua di un chirurgo (il dottor Godwin del film), utilizzando “materiale musicale umano” registrato singolarmente e poi appositamente alterato, sezionato e utilizzato timbricamente nei registri più innaturali e “falsi” o rimodulato in esecuzioni “inquietanti” (vedi l’oboe e il fagotto trasposti di ottave basse nel pezzo “Mother of God”, e successivamente missati con gli armonici della cornamusa, per un suono quasi “demoniaco”). Una scrittura a primo ascolto semplice, quasi infantile, volutamente senza forma o addirittura banale e scontata (vedi il leitmotif degli archi nel pezzo “Victoria”, con l’abusato intervallo di quarta eccedente discendente, il “diabolus in musica”); una scrittura che poi, seguendo l’evoluzione della protagonista, raggiunge una sua maturità con orchestrazioni più complesse: le urla di Bella simulate dagli archi (il pezzo “Wee”), gli arpeggiatori, l’inquietudine delle voci corali artefatte e la solenne tragicità dell’organo a canne, in un climax di dolore dinanzi ai “bimbi morti” (il pezzo “Alexandria”). In ogni caso la matrice acustica, ossia “viva”, è sempre presente, a partire dal respiro umano delle voci e degli strumenti a fiato (legni: flauti, oboe, fagotto e cornamusa). Il trattamento elettronico non fa che amplificare caratteristiche acustiche più recondite, o comunque funzionali per inculcare un continuo senso di inquietudine (esattamente come fa uno degli stilemi visivi del film: l’obiettivo grandangolare che distorce e curva l’immagine). Il livello espressivo e funzionale è sempre molto alto, nessuna traccia musicale risulta essere limpida, pulita, neppure l’austera “London” (il pezzo a suo modo “meno trattato”), e tantomeno l’inquietante giocosità di “Paris”, con gli svolazzi distopici di flauti e oboe: è il disagio della protagonista verso la realtà che la circonda, nonché la ribellione alle regole codificate della società vittoriana, ben riflessa con lo stesso impeto da Fendrix nella voluta trasgressione alle regole e convenzioni della scrittura musicale.
La collaborazione tra Lanthimos e Fendrix dimostra come un approccio sinergico e sperimentale possa aprire nuove dimensioni espressive. La musica di Fendrix, con le sue radici profonde nella ricerca e nell’innovazione, è per il film un elemento narrativo potente, un’entità viva, pulsante e inestricabilmente intrecciata alla trama emotiva e visiva dell’opera. Nomination all’Oscar più che meritata.    

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