In Bloom

cover in bloomAntonio Ministeri
In Bloom (2023)
Little Symphony Records
7 brani – Durata: 28’23”



Fiorisce un arricchimento sensoriale serenamente compulsante e assorto dall’ascolto di questo album concettuale del giovane siciliano, ma veneto di adozione, Antonio Ministeri: non una colonna sonora come la intendiamo bensì una possibile colonna sonora dell’anima per l’anima che potrebbe perfettamente commentare una pellicola o serie intimamente drammatica o una commedia romantica dalle tinte nostalgiche. Ministeri sa come scrivere note che riflettano stati mentali, psicologici e fisici ben tracciati e fortemente Nostri, di tutti, in tutte le giornate della nostra vita, affrontandone di vecchi e di nuovi sempre in maniera contrastante, accettante, rifiutante o amorevolmente assoggettati dal fato, che come sostiene e mostra da sempre nei suoi film Woody Allen ‘comanda il nostro modus vivendi’ benché convinti del contrario. Ministeri arrangia, compone e programma i suoni sintetici di questo “In Bloom” (trad. “In fiore”), puntellato egregiamente, con quella grazia aggregante performativa di strumenti solisti e compartecipanti di rara attrattiva, dal pianoforte di Beatrice Bruscagin, dai violini di Claudia Lapolla e Antonella Solimine, dalla viola di Alberto Magon e dal violoncello di Nazzareno Balduin.
Sette componimenti in cui aleggiano vagamente risonanze di scrittura alla Ryūichi Sakamoto e Max Ricther, dove il perno ideativo di Ministeri si poggia sul concetto assai attuale per i tempi frenetici che subiamo di <<…riportare l’attenzione sull’importanza di rallentare, fermarsi, alleggerirsi. Musa ispiratrice dell’album è la natura, luogo ideale per ritrovare se stessi e il proprio ritmo vitale. Ogni brano vuole donare all’ascoltatore un luogo isolato, come una bolla dove poter gestire liberamente il proprio tempo, respirare, allontanarsi per quanto possibile da una realtà quotidiana troppo spesso frenetica, cercando una ritrovata intimità e una connessione profonda con le proprie emozioni. L’album è un incontro tra elementi provenienti dalla musica minimalista e neoclassica mescolati all’uso di sintetizzatori e campionatori vicini alla musica ambient e post-rock. Il pianoforte e il quartetto d’archi trovano una nuova collocazione all’interno di trame elettroniche nate da complessi arpeggiatori e ampi spazi sonori. Il risultato è un mondo rarefatto, ma articolato; leggero, a tratti vago, ma sempre espressivo>>.
“Breath” è un esordio magnificamente tematico circolar-meditativo nel quale un accenno metallicamente martellante, sottilmente latente e acquiescente, accompagna la viola che descrive ambienti spaziali ampissimi e quietanti, quasi un Richter o forse meglio uno Zimmer dei drammi cerebrali su celluloide. “In Bloom” parte da un suono evocante onirica speranza, un gocciolio imperturbabile e addolcente, che sorregge, per merito di un violoncello cantabilmente afflitto in primo piano su archi in controcanto, un leitmotiv alla Sakamoto molto incorporeo. “Clouds” per piano, effetti liquescenti, synth minimali, violoncello solo (strumento elettivo dell’album, sempre dalle qualità rasserenatamente distensive), è un altro leitmotiv armonioso, in punta di fioretto, trasmettendo sinergiche e rigogliose esposizioni sensoriali che non possono far altro che bene alla mente e al corpo di noi esseri umani troppo bombardati dal nulla assoluto che ci appare come verità imprescindibile, facendoci dimenticare quali sono i reali valori di un’intera esistenza (questo è un potere che solo la Musica ha e chi come Ministeri sa metterla su pentagramma per farcene rendere maggiormente conto). “Blackout”, come i precedenti brani e i successivi che andremo a snocciolare, fa parte di quel flusso narrativo tra le note per aprirci un mondo che abbiamo scordato di aver esplorato fanciullescamente una volta divenuti adulti e che dovremmo rifrequentare per sentirci liberi: un clima in levare in cui sempre il violoncello, struggente nei suoi accordi secchi e brevi, ci fa viaggiare come sotto effetto lisergico. Il pianoforte in “Lieve”, come il titolo stesso enuncia, accarezza lievemente, nondimeno al contempo urlando mestamente, il bisogno di rallentare e ritornare a guardarsi negli occhi, parlarsi alzando lo sguardo dai maledetti cellulari e riscoprire coloro che ci stanno accanto. “Unstable” prende da Richter quel girovagante minimalismo avvolgente che viene rimarcato dal violoncello solista, enucleante una melodia richiedente attenzione e affetto infiniti, soprattutto col sopraggiungere degli archi a contornarne le benevoli dinamiche: una delle tracce più intime e acute dell’album digitale. Si termina con “Glimmer”, forma melodica dall’ampia spazialità introiettiva e introiettante, con synth sottesi e un suono campionato simulante un’arpa etereamente cosmica, come cosmicamente astratto è tutto questo accogliente brano che ci dona amore e speranza nel riavere la serenità che ci spetta di diritto.
Auguriamo ad Antonio Ministeri di comporre prossimamente musiche per film e serie con la medesima carica emozionale e concettuale di questo album che avrebbe potuto essere una pregevole e puntuale partitura per immagini.        

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