You Must Believe in Strings

cover you must believe in strings 1Andrea Pagani
You Must Believe in Strings (2023)
https://andreapaganimusic.company.site/
10 brani – Durata: 59’51”



«È un album della maturità, che segna la fine di un periodo della mia vita e ne apre un altro. Ho sempre amato il soffice tappeto degli archi in tanti dischi che ho ascoltato, e aspettavo il momento di usarlo con i miei brani. Molti dicono che la mia musica assomigli al commento di un film; ecco, io credo sia la colonna sonora della mia vita». E proprio di colonna musicale trattasi, seppur non appartenente ad un film o serie specifici, bensì un nuovo album del compositore e pianista Andrea Pagani che intride ogni nota originale di eleganti rievocazioni cinematiche, aderenti specialmente alla Golden & Silver Age della Settima Arte italica, francese e oltreoceano, tra Riz Ortolani, Henry Mancini, Dave Grusin, Lee Holdridge, Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Vladimir Cosma e Michel Legrand.

Un album strumentale dove il raffinato pianismo jazzato di Pagani si incontra per la prima volta integralmente con gli archi arrangiati dal pregevole violinista e jazzista Marcello Sirignano. L’ascolto di questo album del pianista, arrangiatore e compositore romano Pagani conforta l’udito – 8 album da solista all’attivo, aggiudicatosi il Gold Disc Award della rivista giapponese “Swing Journal”, in carnet lavori con artisti italiani ed internazionali come Roberto Ciotti, Enrico Montesano, Acustimantico, Frank Catalano, Massimo Moriconi, Eddy Palermo, Giorgio Rosciglione, Augusto Alves, Giulio Todrani, nonché  autore per il cinema delle colonne sonore per i cortometraggi Una rosa prego di Vincenzo Marra, Questa non è vita di Denis Nazzari, Inspired di Alex Chiapparelli e Waiting for Woody di Claudio Napoli, con la partecipazione straordinaria di Woody Allen, vincitore del New York Movie Awards –.
Il brano che apre l’album, pubblicato sia in CD che su LP, è “A Tear On My Chest”, inciso nel 2008 dal pianista americano Cyrus Chestnut nel suo CD “Black Nile”, con l’armonica di Juan Carlos Albelo Zamora, il contrabbasso di Daniele Basirico, la batteria di Massimiliano De Lucia, i bongos di Flavinho Vargas Dos Santos, le percussioni di Fabio Cuozzo e gli archi a contornarne i soli virtuosi, suonanti una melodia seducente e avvinghiante tra Astor Piazzola per il suo andamento tango-bossa nova, l’Henry Mancini di “Lujon” dalla serie Mr. Lucky degli anni Sessanta diretta da Blake Edwards e il Vladimir Cosma di L’idolo della città del 1973 con Marcello Mastroianni: 7’18” di concreto coinvolgimento emozionale che non si vorrebbe mai finire di ascoltare, che fa presagire un album dalle reiterative qualità esecutive e leitmotiv da discioglimento delle sovrastrutture emotive personali. E così è, perché i restanti brani sono un effluvio di melodie immaginifiche, ossia colme di rimembranze visive cinematografiche e televisive del passato della Fabbrica dei Sogni su Celluloide, come suddetto. Il brano “Cristal”, lounge-bossa nova simil anni Settanta alla Trovajoli/Piccioni, vede basso elettrico e violino solista (il poliedrico Juan Carlos Albelo Zamora) giocarsela egregiamente in canto e controcanto, coadiuvati da batteria e percussioni, con gli archi suadenti sullo sfondo. “56 mois à croisset” ha nel violino solo di Sirignano il notevole contraltare al piano di Pagani, che jazzatamente e delicatamente romantico tratteggia sul fil di lana un tema bondiano tra John Barry e il pupillo David Arnold, sensualmente avvolgente, che nella seconda metà si avvicina nel piano solo, ancora più dolcemente sottile, a certe nuance alla Dave Grusin delle commedie sentimentali anni ’80, sottolineate dalle performance sfiorate di batteria e contrabbasso, in cui il violino e gli archi in contrappunto si lambiscono teneramente. “Nick’s Dreams” esordisce con il sax tenore di Piercarlo Salvia che racconta in note una melodia mancinianamente legrandiana, che Ortolani avrebbe sicuramente anelato comporre per qualche film dell’amico fidato Pupi Avati: il piano giocherella puntillisticamente con il sax, contrabbasso e batteria, mentre gli archi cantano tematicamente tutto il garbo armonico del pezzo. “La passeggiata”, per voce sospirante (Mimma Pisto), piano e percussioni, è un pezzo melanconicamente cullante, con archi aerei e il pianoforte che ondeggia su di essi, annuendo ad un tema all’Armando Trovajoli e Lee Holdridge, tra italianismo e americanismo musicale accurato e popolare al contempo. Sirignano al violino solo disegna un leitmotiv, “Sad Walk in Rome”, carico d’amore paesaggistico e urbano, anche femmineo, che il piano jazz in punta di fioretto e gli archi morbidamente in controcanto rendono ancora più amorevolmente candido e strappalacrime (seppur senza strafare), sempre sorretti dalle vellutate intromissioni di contrabbasso, batteria e percussioni. “Lullaby For The Sea”, per armonica, piano, contrabbasso, batteria e flauto (Alessandra D’Andrea), decanta alla Cosma, Piccioni e Legrand una melodia valzeristicamente jazz, incantevole e leggera come un mare placido che magnetizza lo sguardo in una notte serena illuminata da una luna gentilmente sfolgorante, che nel nucleo centrale, tra archi sospiranti, armonica svagata e il piano spumeggiante, ritrova un’esecuzione brillante da serata di gala a Montecarlo all’interno del Casinò sotto gli sguardi ammirati degli astanti. “Occhi verdi” ricorda quei temi di Henry Mancini o Manuel De Sica interiormente lirici e affranti, che il piano, contrabbasso e batteria spazzolata, su archi in controcanto tematico leggerissimo, mutano in un jazz d’annata targato sottilmente Miles Davis, chiuso da archi e pianoforte melodrammaticamente neorealisti. “Meditazione” suona una samba lenta, grazie a kalimba (Pagani), basso elettrico, batteria, piano, percussioni, flauto, percussioni d’ambiente e ovviamente archi, talmente sexy soft da ammaliare sin dal primo ascolto, con quella linea melodica simpaticamente addolcente alla Trovajoli delle commedie di Ettore Scola. L’ultima traccia, “When My Dog’s Dreaming”, per sax tenore, pianoforte, contrabbasso, batteria e archi, è jazz ammantato di affettuose forme trovajoliane, che nel delicatissimo sax solo raffigura un tema che penetra sotto pelle come una puntura estasiante di elisir di lunga vita. Degna conclusione di un album che non ti lascia andare, ottimo per una serata romantica tra le braccia della propria amata e a commento di quelle Love Stories di ieri che ci facevano ‘cadere in amore’. 

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