Cartoni animati

cover cartoni animati ennio morriconeEnnio Morricone
Cartoni animati (1997)
GDM CD Club 7111
19 brani – Durata: 64’28”

E’ più agevole enumerare le tipologie filmiche poco o nulla frequentate anziché stendere l’elenco dei generi e sottogeneri o non-generi messi in musica dall’eclettismo di Ennio Morricone. Gli sono mancati i mondo movie alla Jacopetti & Prosperi o Climati & Morra (I Malamondo di Paolo Cavara, 1964, era altra cosa, più film inchiesta su certe bizzarrie comportamentali dei giovani europei dell’epoca che “nudo e crudele”), lo zombi e cannibal movie, il WIP, il pornonazi, il porno e niente più, il decamerotico, il nun exploitation. Quanto all’horror, categoria finitima, lo toccò per lo più di riflesso, ad esempio in alcuni thriller di casa nostra come Mio caro assassino (Tonino Valerii, 1972: lo scempio della maestra con la sega circolare è puro e buon slasher); in Amanti d’oltretomba (Mario Caiano, 1965), e nel fantascientifico/orrorifico La Cosa (John Carpenter, 1982). Ma sono casi isolati. L’Argento e il Fulci più efferati, certo Massaccesi, e cose alla Wes Craven, Tobe Hooper, Venerdì 13, Saw, Hostel, gli rimasero estranee, probabilmente per scelta: la sua etica e sensibilità lo tenevano alla larga da certe aberrazioni. Sappiamo che qualche mondo movie gli venne proposto, e che lo rifiutò (1).
Concesse invece la sua musica ad un paio di lungometraggi che rientrano nella categoria evanescente del “cinema di poesia”. Poetico è, per capirci, uno stile di regia tra il malinconico e il fiabesco, perso entro una dimensione illusoria che trasforma l’oggettività del visibile in libere associazioni della coscienza individuale, con punte di surrealtà ed onirismo che variano a seconda dei registi. Pasolini aveva distinto fra “cinema di prosa” e “cinema di poesia”, quello che “ha come ultimo scopo di scrivere dei racconti dove il protagonista è lo stile, più che le cose o i fatti”, mentre nel “cinema di prosa” ciò che conta è quello che viene narrato (2). E allora, Fellini ovviamente e Pasolini, Petri, Tarkovskij e quanti altri. I due film “poetici” di cui sopra sono L’uomo proiettile di Silvano Agosti (1995, partitura scritta insieme con il figlio Andrea), e appunto Cartoni animati di Sergio e Franco Citti (1998, ma distribuito nelle sale solo nel 2004 sull’onda del successo televisivo di Fiorello, uno degli interpreti accanto a Franco Citti, Franco Javarone e Vera Gemma). Storia di scope in grado di volare nel cielo di Milano (ricordo evidente di Ladri di biciclette), e di pozioni che fanno vivere come reali i sogni meno realizzabili, anche quello di Peppe e Maria, che “vede” in lui il fidanzato, investito da un’automobile proprio quando si accingeva ad entrare in chiesa dove lei lo attendeva per sposarsi. Citti, aiuto regista e sceneggiatore di tanti film di Pasolini, si era già ricordato di Morricone per I magi randagi due anni prima. Il Maestro romano in entrambe le occasioni interpretò musicalmente gli aspetti favolistici e naif (senza ingenuità) di quelle vicende risolte in un “magico quotidiano” non posticcio. La score fu edita nel 2006 abbinata ad Uccellacci e uccellini per un totale di dieci tracce (3) e nel 2012 nell’attuale formato esteso, in edizione limitata e ormai sold out.
Quando si parla di “lato oscuro” dell’opera morriconiana, si possono intendere tanti aspetti: le partiture composte per generi forti quali thriller più o meno sadici e crime, cinema che pesca entro le zone buie; la discografia ancora assente; oppure, le score rimaste nell’ombra che, in una filmografia che passa i quattrocento titoli, sono numerose: pubblicate e ripubblicate ma escluse dalla programmazione concertistica, e conosciute da un ristretto novero di cultori. E’ il caso di Cartoni animati, lavoro egregio da (ri)scoprire. Una musica profonda e intensa – come d’abitudine - organizzata su tre registri, fiabesco/circense, lirico/espressivo, onirico/grottesco.
Lo spirito della vicenda trova luogo in una melodia semplice, d’intonazione popolaresca nelle movenze e nella scelta dell’organico, mandolino e chitarra (“Seq. 1 – Titoli”), con pause interlocutorie che potrebbero ricordare certa musica giullaresca medioevale. Un teatrino di perplesse marionette si anima tra le note in un moto di giostra. Lo schema è A (a1, a2, a3, a4) – B – A (…) – A’ (…) – B – A (…). Si inizia e si prosegue in modo maggiore (a1, a2), si accede al minore (a3), si torna al maggiore (a4) e si chiude il giro. Il registro è – in senso stilistico-comico e dunque afferente alla dimensione del quotidiano, con una notazione un poco più accesa in a3, lieve pennellata nostalgica. L’interludio B si mantiene su toni neutri, al massimo moderatamente giocosi. Le riprese variano con fagotti, flauti e chitarra (“Seq. 12”), o pianino stile cinema muto (“Seq. 19”, probabilmente i titoli di coda), o ancora in chiave bandistico/circense (“Seq. 8”): una “buffa banda” (questo il titolo del brano nella precedente edizione ridotta GDM) con echi rotiani, Rota visto da Morricone (come in seguito in Senso '45) (4). “Titoli” e versioni alternative sono la sezione più innovativa: stimolato dal soggetto, il compositore ha creato qualcosa di ben suo ma non troppo agevolmente riconducibile a soluzioni pregresse.
Le Seqq. 2, 10, 13 e 17 rimandano invece ai cromatismi di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e più esattamente a Buone notizie che già ne costituiva una originale filiazione. E’ una delle vene più riuscite e caratterizzanti, una personale sintassi onirico/bizzarra/angosciosa diversificata ad hoc per interpretare i labirinti del potere e della burocrazia (per cui si potrebbe parlare di un kafkismo morriconiano), i maneggi della politica e delle consorterie deviate, la percezione deforme del reale, il ghigno derisorio di un perdurante teatro dell’assurdo. Qui abbiamo la forma del valzer, come già in Buone notizie (5): un “valzer amaro” (così titolato nella precedente edizione) esposto dagli archi e sviluppato in un percorso straniante reso dal timbro “diverso” di uno strumento campionato – un organetto? - che accentua il senso d’irrealtà: ci immergiamo in un paesaggio di parvenze confuse, ci si muove dentro un sogno popolato di larve. “Seq. 10” ripropone con controfagotto e trombetta (altro ricordo di Buone notizie), con amplificazioni grottesche. Splendido l’antagonismo fra il timbro scuro del primo e quello cristallino della seconda. In “Seq. 13” il suono è sottoposto a ulteriori manipolazioni e distorsioni, il percorso melodico perde linearità e sfocia in una giostra di stralunato luna park. In “Seq. 17” la solida presenza dei controfagotti incrementa la stramberia sonora. A questo punto Sergio Miceli parlerebbe di “travestimenti, per quanto abili”, e ciascuno può intenderlo come crede. Noi ci limitiamo ad osservare che nell’arte di “travestirsi” Morricone dava i punti a molti. E comunque questo “Valzer amaro” ci prende, apre a mondi diversi e non proprio tranquillizzanti.
Assai ampia la sezione propriamente lirica propensa allo sfumato dei sentimenti trasposti nella forma di un onirismo positivo, rammemorante, nostalgico, sospeso. Come in “Antico amore”, poi “Seq. 5”: pianoforte, fascia orchestrale priva di peso, viola solista, ripresa con mandolini e viola in controcanto. Qui il registro è colto, la prospettiva “esterna” ovvero di commento e interpretazione, di contro al tema principale più diretta emanazione di quel mondo di artisti emarginati e sognatori a oltranza. Opportunamente variate le riprese: “Seq. 11” con flauto dolce e mandolino (cordofono ben presente nell’organico, conferisce una nota di dolce ingenuità e richiama certe cose scritte per Pasolini); “Seq. 14” più rarefatto, col violino che emette sprazzi melodici librantisi da una base orchestrale che è vera suspense dei sentimenti, mentre la sezione conclusiva acquisisce consistenza nel timbro pieno del fagotto; “Seq. 18” con flauto solo in seguito rinforzato con chitarra ed archi. “Amore semplice”, poi “Seq. 3”, vede protagonista il violino sulla consueta – e a prova di contraffazione - base dell’orchestra, riproposto in “Seq. 9” con archi e chitarra e in “Seq. 16” con mandolino e chitarra. Si segnalano poi momenti di concentrata bellezza, “Seq. 6” e “Seq. 7”. Nella prima, effetti sospesi con campanelli e (forse) glass harmonica: modi sereni, dimensione antinaturalistica, buon sviluppo melodico: musica da un altro mondo dove tutto evapora nell’inespresso del sogno. “Seq. 7” propone archi diafani e flauto andino e mandolino per una nuova sospensione stemporizzata. Da notarsi come gli archi – come spesso in Morricone - non accompagnino bensì costruiscano un controcanto analogico. Oltre che estesa ed articolata, la parte melodica appare ben omogenea: traccia un percorso ampio e pieno di rimandi, i diversi momenti convergono in una temperie comune che è eco lirica della realtà, luce fascinosa dell’indistinto, epifania dell’ineffabile.
Si completa con “Filastrocca” (poi “Seq. 4”), salterello per chitarra e flauto dolce, lepido e parecchio mosso, anticato, evocatore di mimi, giullari e suonatori ambulanti.     
Chi ha dimestichezza con la musica del Maestro romano ravviserà soluzioni timbriche e tematiche ben riconoscibili: come osservato da Giuseppe Tornatore, “ha scritto così tanto che ovviamente a volte alcuni snodi melodici gli «ritornano» inconsapevolmente” (6). Ciò che conta in un artista di fatto è la coerenza, la fedeltà al proprio stile, e la continuità qualitativa. Se c’è un compositore fedele a se stesso in maniera estrema, questo è Ennio Morricone. Ma quante caratteristiche di lui ci vengono sotto gli occhi più chiaramente oggi.

(1)    ENNIO MORRICONE – SERGIO MICELI, Comporre per il cinema. Teoria e prassi della musica nel film, a cura di Laura Gallenga, Venezia, Marsilio, 2001, p. 257.
(2)    Il cinema secondo Pasolini, in “Chaiers du Cinéma”, n. 169, agosto 1965; poi in PIER PAOLO PASOLINI, Per il cinema, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, tomo secondo, Milano, Mondadori, 2001, p. 2899.
(3)    GDM CD Club 7038.
(4)    ENNIO MORRICONE, Senso ’45, ConcertOne 74321934922 (2002), traccia “L’orchestrina del Circolo Ufficiali”.  
(5)    ENNIO MORRICONE, Buone notizie, Mask MK706, edizione stesa 2010, traccia “Distacco e solitudine”.
(6)    GIUSEPPE TORNATORE, L’evoluzione dei processi, in ENNIO MORRICONE, Inseguendo quel suono. La mia musica, la mia vita. Conversazioni con Alessandro De Rosa, Milano, Mondadori, 2016, p. 436.

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