Nino Rota - Albatros Ensemble: Improvviso

Cover Nino Rota Albatros EnsembleNino Rota
Nino Rota - Albatros Ensemble: Improvviso (2008)
Edizioni Stradivarious STR 33790
20 brani - Durata: 76'54"

Solitamente tra le colonne del nostro sito chi ci segue sa che può trovare informazioni, notizie e attenzioni a prodotti che sono quasi sempre legati ad un film. Che si tratti di pellicole nuove o di classici, la musica di cui ci occupiamo raramente non appartiene ad una storia, anche per autori che come Morricone hanno dedicato molta cura e amore alla musica assoluta, abbiamo scelto di prediligere l’aspetto della loro opera più marcatamente legato al cinema. Una piccola deviazione da questo nostro percorso è rappresentata dallo spazio che abbiamo scelto di dedicare a questo lavoro del trio “Albatros Ensemble”, che per l’occasione ha accolto accanto ai suoi componenti stabili, Francesco Parrino (violino), Stefano Parrino (flauto) e Alessandro Marangoni (pianoforte), anche Alessia Luise (arpa) e Giovanni Crola (flauto). Questa interessante formazione cameristica è animata da tre giovani musicisti che sono molto attivi in campo nazionale ed internazionale, anche in qualità di solisti e di animatori culturali. Ciò che li contraddistingue è certamente la capacità, che in molti tra compositori, musicisti e critici gli hanno riconosciuto, di saper coniugare la loro perizia tecnica ed esecutiva con una particolare attitudine ad essere trio. Il loro repertorio spazia da Bach (Trio sonata dall’Offerta musicale), a Fabrizio Festa ("Miles to Run"), passando per il Trio di Rota, fino ad uno dei brani che Rocco Abate, come tanti altri compositori, hanno dedicato all’ensemble, "Rotafantasy". Il disco che è stato realizzato per la casa discografica Stradivarius, si apre proprio con il Trio scritto da Rota nel 1958, che è uno dei brani più interessanti che siano stati composti in quegli anni, e che segna la posizione di Rota nel panorama musicale del ‘900 come quella di un autore capace di superare sterili chiusure espressive ed ermeneutiche a favore di un’espressione piena, diretta, di un pensiero musicale che diviene moto, violento e serrato e dolce, intimo. 
Nel 1954 Rota aveva composto la colonna sonora de La strada e nell’anno in cui scriveva il Trio andava in scena a Milano il Cappello di paglia di Firenze, alla Scala con la regia di Strehler. Insomma Rota era già Rota e la sua scrittura è sicura, personale, sa farsi gioco, amaro divertimento. Il brano di apertura è l’unico, insieme a quello che chiude il disco, il cui organico prevede la presenza dell’intero trio, ed è l’unico, inserito in questo percorso musicale, scritto da Rota per questa formazione. Tutti gli altri brani sono dedicati a strumenti che il compositore milanese amava molto, il violino e il flauto; il pianoforte è utilizzato come uno strumento che con discrezione accompagna ora l’uno ora l’altro in un percorso di scoperta di timbri, sonorità, esperimenti ritmici, che animano gli strumenti, che sfidano la capacità interpretativa di invenzione sonora dei musicisti che con questi pezzi si confrontano. Anche quando si tratta di una scrittura semplice, diretta, piana, come quella dei “Tre pezzi per due flauti” o dei “Cinque pezzi facili per flauto e pianoforte”. C’è tanta musica francese, Ravel, Saint Saëns, Boulez, Debussy, ma anche Prokof’iev, Stravinskij. Molta complessità e molta semplicità nella scrittura, nella costruzione ritmica e armonica, brani virtuosistici, come l’Improvviso per violino e pianoforte “Un diavolo sentimentale” e altri in cui l’elemento narrativo, mimetico, descrittivo è affidato al piano più superficiale della composizione, che arriva diretta a chi ascolta senza troppi artifici, come nel caso dei cinque pezzi facili (“La passeggiata di Puccettino”, “La chioccia”, “Il soldatino”).
Un mondo quello di Rota che è possibile riconoscere anche nella sua produzione di musica assoluta dunque non legata al cinema, e che trova nella lettura che Rocco Abate ha fatto di alcuni suoi temi più famosi, legati per lo più a pellicole felliniane, una chiave interpretativa efficace. La Fantasia che Abate gli dedica sembra quasi una improvvisazione che è capace di restare in equilibrio tra i due mondi musicali del compositore milanese che nel disco vengono evocati, temi, timbri, suggestioni sonore che seppero dar voce ad un mondo di colori e sogni che l’amico Federico gli raccontava piano sapendo che presto quelle mani, quel pianoforte gli avrebbero restituito il suono, il canto, una volta sentito e poi perso.

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