Outlander

cover_outlander.jpgGeoff Zanelli
Outlander – L’Ultimo Vichingo (Outlander – 2009)
La-La Land Records LLLCD 1088
15 brani – durata: 64’06’’

La scarsezza d’idee, principale causa di una serie di scelte che di titolo in titolo mette in serio pericolo il futuro dell’arte più gettonata del ventesimo secolo, unite ad una serie di elementi di contorno che finiscono col compromettere anche quelle sezioni che, malgrado tutto, potrebbero comunque brillare di luce propria, è alla base di lavori come Outlander – L’Ultimo Vichingo, pellicola storico-fantascientifica ambientata nei villaggi dei Vichinghi del 709 d.C., dove uno straniero proveniente dal futuro, interpretato da Jim Caviezel (La Passione di Cristo, Identità Sospette), precipita sulle coste scandinave portando con sé un terribile mostro che semina morte e distruzione.

L’eroe si ritrova quindi costretto ad allearsi con gli antichi guerrieri dell’Europa del Nord per sconfiggere la mostruosa creatura.

Nonostante le belle parole spese da Geoff Zanelli (Disturbia, Hitman) nei confronti del film diretto da Howard McCain, già sceneggiatore di Pathfinder, la musica composta per questo film ben presto invalida affermazioni come “è difficile non sentirsi eccitati al pensiero di poter comporre uno score quando ti viene mostrato un grande film in cui un terribile mostro semina morte e distruzione in un villaggio di Vichinghi”, attraverso le quali l’autore sembra possedere delle capacità ed una ispirazione che di brano in brano la generosa edizione La-La Land smentisce clamorosamente, regalando un numero decisamente insufficiente di movimenti degni d’attenzione.
L’aspetto che per primo evidenzia la povertà creativa di questo ennesimo assemblatore di suoni nato in casa MediaVentures (si noti la sua larga presenza nelle produzioni di Hans Zimmer & Co. quale autore di musica addizionale e ambient music designer) coincide con un approccio che nulla ha a che fare con le ambientazioni dell’antico nord Europa e con i suoi abitanti; lo sviluppo di sonorità che non tracciano un profilo, una identità, bensì basate su luoghi comuni e soluzioni ricorrenti non solo nelle pellicole storiche di ultima generazione, ma oltretutto affiancate da costruzioni derivanti da sequenze action in perfetto stile Jerry Bruckheimer.
Le buone intenzioni di questo musicista sono indiscutibilmente evidenti, ma non basta inserire un coro maschile (sommerso da mille altri effetti di riempimento) che rappresenti l’eroismo dei guerrieri e magari rafforzare il tutto con dei possenti riff di chitarra elettrica (nella vana speranza di emulare l’approccio sviluppato da Alan Silvestri per il suo Beowulf) per ottenere un qualcosa che si discosti dalla serie dei Pirates Of The Caribbean, nella quale la presenza di Zanelli come “additional composer” si respira in numerosi movimenti di Outlander, nei graffianti ostinati d’archi di “It Was a Bear” in particolar modo. Allo stesso modo le timbriche che caratterizzano le ritmiche di “It Was Not a Bear” riportano alla mente The Last Samurai di Hans Zimmer, e la successione (ritmica moderata – atmosfera – esplosione – comparsa del tema epico) ricalca così spudoratamente movimenti quali “Spectres In The Fog” provenienti dall’album dell’autore tedesco risalente al 2003 da generare quasi una sorta d’imbarazzo per chi ha conosciuto artisti e opere che in una location analoga hanno generato ben altro, senza fermarsi davanti all’iniziale eccitazione.

Tecnicamente la composizione non offre una boccata d’aria fresca neanche sull’aspetto timbrico; le orchestrazioni confuse e ovattate di Elizabeth Finch, Walter Fowler, Rick Giovinazzo e Y.S. Moriarty, supervisionate dal più storico dei tecnici MediaVentures, Bruce Fowler, non regalano emozioni neanche in quelle situazioni più che collaudate, generando una profondità del suono tale da rendere la performance della Budapest Symphony Orchestra paragonabile a quella di una qualsiasi altra esecuzione programmata e generata da un discreto campionatore.

A completamento di questa deludente prova musicale, che solo nelle costruzioni per archi dalla ritmica incalzante e dalle timbriche più brillanti di “Setting The Trap” forse trova un motivo per venir apprezzata, prima che l’intonazione per ottoni in pieno stile Crimson Tide abbia la meglio sul resto, l’edizione fin troppo raffinata della La-La Land Records, con una tiratura limitata a 1500 copie, spinge a ragionare su quesiti del tipo “può l’etichetta fregiatasi di titoli quali Airplane! di Elmer Bernstein, The Island of Dr. Moreau di Laurence Rosenthal o Masters of the Universe di Bill Conti cadere così in basso?”.
Le leggi del commercio sono completamente slegate dalla qualità artistica dei prodotti oggetto di business e culto, ma se il massimo livello qualitativo di questo prodotto può essere carpito nelle sequenze muscolose per orchestra, coro maschile e chitarra elettrica di “Gunnar’s Raid”, tra l’altro incapace di aggiungere qualcosa di nuovo a King Arthur o The Peacemaker vien da chiedersi quanto bisognerà attendere prima che questi assemblatori di suoni raggiungano un limite che non oseranno valicare.

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