Assassin’s Creed

cover assassins creedJed Kurzel
Assassin’s Creed (Id., 2016)
Decca 5730934
20 brani + 1 canzone – Durata: 62’37”

I crescenti interscambi tra cinema e videogiochi hanno prodotto sul piano musicale una parallela sovrapposizione di ruoli. Infatti, se da un lato i videogame più sofisticati si fregiano di partiture (e di compositori) spesso blasonati al cinema, dall’altro i musicisti specializzati in quest’ultimo si sentono autorizzati a mutuare dai primi soluzioni, ritmi, scenari sonori.

 Ecco allora che per la fortunatissima serie Ubisoft incentrata sulla lotta millenaria tra Ordine Templare e Confraternita degli Assassini si sono susseguite firme come Jesper Kyd (il principale), Brian Tyler, Lorne Balfe e Olivier Derivière. All’atto di trasferirsi sul grande schermo, tuttavia, la faccenda è passata di competenza ad un’accoppiata, quella dei fratelli Kurzel (Justin regista, Jed compositore) che sembrava poter garantire un salto di qualità all’interno di un genere che sino a questo momento non ha lasciato echi memorabili. La sintonia creativa che esiste tra i due fratelli australiani, infatti, si è già fatta apprezzare in Snowtown e soprattutto nella violenta, “anacronistica” e aggressiva partitura per il Macbeth. Ma lì ad ispirare c’era Shakespeare, mentre qui al netto della presenza di Michael Fassbender non sembra che le virulenze dark e la drammaturgia trans-temporale abbiano inciso con particolare profondità nell’immaginario di regista e compositore. Per quanto riguarda quest’ultimo, ne sono ormai acclarate le predilezioni per l’elettronica e per un sound in linea con i tempi ma – altrove – originale e in qualche modo barbarico, primitivista. Se ne trovano puntuali tracce negli orientalismi sofisticati di “Young Cal”, che vira rapidamente in un’aggressività militaresca, percussiva rullante e ossessiva; vale anche per la cruda “The execution”, nella cui prima parte però – così come in “Absbergo” – la contrazione dei suoni in effetti di flautando degli archi sembra voler suscitare climi notturni più misteriosi e allusivi, nella ricerca faticosa di un punto di approdo leitmotivico.
 In “The Animus” emerge anche un’idea tematica ostinata, circolare, in qualche modo memore forse del celebre “Adagio” di Samuel Barber, mentre nelle varie versioni di “Regression” torna ad irrompere l’elettronica ad effetto in tutta la propria disarmata, tonitruante banalità (siamo dalle parti di Junkie XL, se capite cosa intendo). Peccato perché Kurzel si rivela molto più talentuoso quando affina i propri mezzi e si sottrae alla dittatura di una preconfezione elettronica adattabile a qualsiasi contesto, come del resto ha dimostrato con l’efficacissima ed assai personale score per l’horror The Babadook. Ad esempio i forti chiaroscuri di “Bleeding effect”, con la presenza di una robusta propulsione sinfonica, suscitano notevole suggestione; non meno delle sospese linee melodiche dei violini di “Columbus” e “Seville”, o dei foschi arcaismi di “Leap of faith”, dove l’elementarietà armonica e la brutalità del ritmo paiono quasi guardare alla preistoria della musica.
 Quello che alla fine ne scaturisce è un bizzarro, poco convincente ibrido tra tentazioni minimaliste (soprattutto nella scelta di individuare poche cellule di base e costruirvi intorno l’intelaiatura complessiva) e il desiderio di costruire l’identità sonora del film non attraverso melodie o temi ma unicamente mediante la tipologia del suono. Un’impresa in cui Kurzel si è rivelato altrove molto abile (anche in Alien: The Covenant, per esempio) e che qui può anche risolversi in pagine interessanti ed inaspettate melopee dal tono quasi supplichevole, come in “The apple”; ma che più spesso si fa intrappolare da un’indifferenziazione onnicomprensiva e poco emozionante (fa forse eccezione “Future glory”, trascinante e malinconicamente eroica), condannando la partitura di fatto ad una sostanziale irrilevanza, totalmente simmetrica alla sua impeccabile fattura tecnica.

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