Ballyturk

cover_ballyturk.jpgTeho Teardo
Ballyturk (2014)
Spècula Records
8 brani – Durata: 34’00”



La ricerca musicale di Teho Teardo prosegue con la rigorosa coerenza di una personalità poliedrica ma fortemente unitaria: ricerca che, per il performer-compositore-sound designer pordenonese, si basa prioritariamente sull’abbattimento delle barriere tra generi musicali e sulla commistione entusiastica e inesauribile delle fonti sonore, principalmente acustica ed elettronica.
L’ansia insaziabile di sperimentazione e di collaborazione con i più svariati artisti conduce Teardo oltre le frontiere di qualsiasi committenza, cinematografica, teatrale o puramente concertistica che sia, verso gli orizzonti di una poetica straordinariamente misteriosa, densa di suggestioni e significati, che per struttura, andamento e fisionomia stilistica sembra adattarsi istintivamente a testi e contesti anche difficili, carichi di valenza simbolica, in un continuo gioco di chiaroscuri tra illusione e realtà, timori e speranze, ombre e luci. Appartiene senz’altro a questa categoria il testo teatrale in un atto del drammaturgo dublinese Enda Walsh (già sceneggiatore di The Hunger di Steve McQueen), il cui titolo, Ballyturk, definisce l’immaginario paesello irlandese nel quale si svolge il gioco ad incastro dei tre personaggi.
Chiamati per numero anziché per nome, i primi due si trovano in una stanza chiusa e isolata, inchiodati ad un’attesa snervante e beckettiana, che riempiono dialogando su tutto e su nulla, immedesimandosi negli invisibili abitanti della cittadina, enumerandone nomi e ricordi, sentimenti e pulsioni, in un mosaico vertiginoso di aspetti ora drammatici ora ridicoli, dove la noia e l’incombenza del destino vanno di pari passo con la disperata ricerca di un qualcosa che dia senso alla vita. In questo limbo fa ad un certo punto il proprio ingesso il n.3, che potrebbe essere indifferentemente Dio o la Morte, e la cui funzione è quella di rompere l’assurdo equilibrio fra n.1 e n.2, conducendoli verso un destino che è inesorabilmente un’incognita, un Oltre, un distacco inevitabilmente doloroso.
Rappresentata per la prima volta il 12 luglio di quest’anno al Black Box Theatre di Galway durante l’International Arts Festival, in Irlanda, poi a Dublino e a Londra, la pièce si è valsa della straordinaria interpretazione di Cillian Murphy, Stephen Rea e Mikel Murfi, mentre l’incontro con Teho Teardo è avvenuto sulla scorta dell’impressione suscitata in Walsh dall’ascolto di “Music for Wilder Mann”, l’album pubblicato nel 2013 dal compositore. Una sintonia fra questi due mondi che sembra svolgersi soprattutto all’insegna di una spettrale solitudine interiore e di un lirismo claustrofobico, catafratto, che si riavvolge continuamente su se stesso cercando una verità e una risoluzione forse impossibili da trovarsi.
La partitura vibra di contributi illustri, come il bassista Joe Lally, dei Fugazi, o i violoncellisti Nick Holland del Balanescu Quartet e Lori Goldston, che ha suonato con i Nirvana. E, come sempre in Teardo, il ruolo degli archi è protagonistico, testimoniato dalle ulteriori presenze di Martina Bertoni al violoncello, Stefano Azzolina alla viola ed Elena De Stabile e Vanessa Cremaschi ai violini, mentre l’autore presiede alle chitarre e alle tastiere elettroniche, oltre che a vari altri strumenti tipici come il taisho koto, sorta di arpa giapponese, o il pianoforte elettrico Rhodes. Al tutto si aggiungono le voci recitanti di Murphy e Murfi, che danno il senso compiuto di una drammaturgia del suono a volte direttamente proporzionale alla asciutta economia dei mezzi: come ad esempio nell’apertura di ”Poisonous the envy”, una nenia avviluppante dei celli su un lavorìo di sottofondo dalle risonanze oscure e viscerali. Si tratta di un universo sonoro dalle forme primordiali, ancestrali, che affonda nelle profondità dell’inconscio e cerca in tutti i modi di dar forma all’inesprimibile; l’organico sostanzialmente cameristico, ma sostenuto dall’elettronica, contribuisce a questa impostazione semplificando le architetture timbriche e distendendo i percorsi melodici in andature fluttuanti e ripetitive, così da creare un effetto ipnotico perturbante. L’alternanza preferita da Teardo è quella tra note tenute dei celli e lunari, vitrei accordi di chitarra (“Foreboding”), ma in parallelo con la tecnica esecutiva a lui familiare negli archi (glissandi e note tenute sul ponticello) e con l’evocazione sommessa, appartata di armonie elementari sovrapposte a disegni leitmotivici ondulatori (“Everything I thought there was to know”). L’elencazione dei nomi degli abitanti di Ballyturk, sciorinati come in un freddo rosario, avviene così sullo sfondo pressoché immobile di “”Let’s not talk about us” mentre l’arpeggio ostinato di “Just maybe” si stempera in un disegno solitario della chitarra sull’arabesco dei violini; è un lirismo quasi essiccato, si direbbe sbigottito, quello che Teardo ottiene dai propri strumentisti, ed in alcuni momenti, come nella dolce ballad di “It needs a death”, le atmosfere rarefatte sino all’estremo, dove un lento andamento ritmico sostiene gli arpeggi del cello, ricordano alcuni passaggi più significativi, laboratoriali e intensi dei suoi soundtrack cinematografici, come La ragazza del lago o quell’autentico capolavoro che è la partitura per Diaz. Strida di uccelli e suoni di natura accompagnano le voci in “The outside force”, brano inquietante e quasi minaccioso, dal sound volutamente respingente, che defluisce in una perorazione ripetuta e accorata dove viene chiamato a raccolta l’intero organico.
Come ha detto l’autore della pièce, la musica di Teardo sembra andare alla ricerca dell’anima dei personaggi, catturandone le ossessioni e la solitudine, e per una volta pedinando più i loro pensieri intimi che le loro azioni o le loro immagini sul palcoscenico. Ma che Teho Teardo sia un artista profondamente legato al mondo delle immagini e al potere evocativo che esse hanno sulla sua musica lo dimostrerà, il prossimo 6 dicembre a Villa Manin di Passariano (Udine), il concerto che terrà in occasione della mostra “Intorno a Man Ray”; appuntamento in cui Teardo presenterà dal vivo e in prima assoluta le musiche realizzate per tre film del geniale pittore, fotografo e regista statunitense esponente del Dadaismo: Le retour à la raison (1923), Emak-Bakia (1926) e L’étoile de mer (1928). Musiche che saranno successivamente editate in digitale e in vinile, supporto quest’ultimo in cui il musicista pordenonese ripone una legittima e ripagata fiducia.

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