Alice

cover_alice.jpgAlessandro De Florio
Alice (2010)
Warner Chappel Music Italiana
24 brani – durata: 53’44”



Il film Alice costituisce il debutto registico di Oreste Crisostomi. Pellicola mediocre. Si dimentica prima che sia finito. Annoia. Mi spiace, ma è un brutto film, che sarebbe già un eufemismo definirlo leggero. Ciononostante, la sua colonna sonora è stata, come a volte per fortuna accade, una piacevolissima sorpresa: Alessandro De Florio è musicista raffinato, colto, mai banale, alla ricerca di dettagli sonori e soluzioni musicali che vanno ben oltre le ipotetiche richieste registiche o narrative. Questo lo si comprende dalla quantità di raffinatezze che si perdono in accoppiamente al fotografico, e che sono apprezzabili esclusivamente dalla fruizione della sola colonna sonora.
La costruzione dei brani migliori è così curata da donare vita a sè rispetto alla sua funzione di colonna sonora che deve spesso fare i conti con le battute degli attori. Nei momenti solo poco meno ispirati si ha comunque a che fare con la sonorizzazione di gran qualità, più vicina alla scelta di brani di repertorio o library, ma comunque egregiamente scritti.
Liquiderei subito quelle tracce davvero troppo banalmente descrittive che qua e là popolano il disco di ben 24 tracce, come “Sento me”, “Nessun motivo” (che anticipa però una grande attenzione alla scrittura delle ritmiche come vedremo in altri momenti), “Tomato” (dalle sonorità nu jazz ma direi abbastanza sbrigative), “Nessun ma”, “ll cinema”; si tratta di momenti che, mi scuserà il compositore, più bassi rispetto a tutto il resto della pregevolissima OST: si tratta più di muzak o library, che di ispirata soundtrack.
Altrettanto poco incisivi sono i brani “A Conca”, Shake it babe”, “Fred’s Shuffle”, “Forget your blues” e “Mais oui l’amour”, affidati agli ospiti Fred Duna and the Full Optional. La blues band di Terni, di grande talento esecutivo e portatrice di sonorità d’oltreoceano inaspettate e graffianti in tutto il disco, ricalca una tradizione blues con pochi momenti degni di particolare interesse, finendo nella innocua stesura ed esecuzione di esercizi di genere. Così come innocua e scialba è “Indaco” eseguita da una non meglio descritta fomazione dal nome Rumore fuori scena.
Tutti i brani rimanenti, e sono tanti, sono stati davvero sorprendenti.
La prima traccia “Luce al mattino” mescola con piacevole delicatezza elettronica, pianoforte e campionamenti in una interessantissima tessitura armonica. È una traccia che preannuncia il sapore di tutto lo score. Gli inserimenti di fisarmonica, fischio, ticchettii vari e tutta una serie di piccoli suoni sono quasi del tutto impercettibili o poco assaporabili in sala cinematografica, il che fa pensare che De Florio abbia innanzitutto scritto per sè, o avendo in prospettiva una produzione discografica.
Anche la seconda traccia “Il mondo di Alice” conferma subito una bella freschezza compositiva. Brano brevissimo ma pieno di così tanto movimento e variazione da sfrecciare allegro e leggero. Vengono delicatamente impiegati anche sonorità molto sintetiche che si integrano in armonia con la sonorità globalmente acustica della traccia, fatta di pianoforte, flauto e fisarmonica.  Così come altrettanto piacevolmente troviamo alcuni scratch vinilici utilizzati come lanci tra le diverse parti della song.
Il carattere sospeso e sognante di “Una pietruzza nera” conferma come se non bastasse tutto quanto già detto. Ricorda il Jon Brion di quella favolosa colonna sonora di Se mi lasci ti cancello (orrendo titolo italiano per un film non solo splendido ma anche dotato di un titolo geniale nella versione inglese, Eternal sunshine of the spotless mind, ndr.). Un campionamento dei flauti apre la traccia e introduce una semplice ritmica fatta di strumentini e piccoli suoni che preparano il delicato ingresso del pianoforte sul suo registro medio alto.
“Valzer dei cucchiai”, manco a farlo apposta, richiama il suono delle posate su (probabilmente) dei bicchieri. Anche qui una elaborazione elettronica della fisarmonica attende l’ingresso della vetrosa ritmica. Ancora una volta il pianoforte recita la sua parte, è evidente che la traccia dialoga con le battute del film, come deve essere ovviamente, ma lo fa senza perdere una coerenza interna e una propria identità a prescindere dalla narrazione filmica. Peccato (parere, più degli altri, legato a motivazioni professionali del redattore) che gli archi siano un po’ rigidi, sono ovviamente sintetici, archi veri sarebbero stati ancora più evocativi; ciononostante la traccia non perde niente della sua bellezza.
“Un battito d’ali” è uno dei brani più lunghi della colonna sonora, incentrato ancora su pianoforte inizialmente mescolato ai ribattuti eco del suo stesso suono, e che poi si poggia su un ping pong del tic tac d’orologio, un tic missato a destra e un tac a sinistra. Piacevole l’improvviso cambio di atmosfera che introduce una leggera ritmica reggae del basso elettrico e dell’uptempo di una qualche keyboard.
“Combo mambo” parte con una distante fisarmonica che sembra intonare una qualche melodia tradizionale e popolare. Il cambio d’atmosfera qui è ancora più drastico e quindi inaspettato, in quanto si passa alla sonorità di un lento latin jazz. Sembra una scrittura d’altri tempi, semplice e ricercata allo stesso tempo, ma sempre di grande raffinatezza, con inaspettati break e delay sulle frasi melodiche dei fiati. Si tratta di una traccia che rivela una sapiente strutturazione del brano che in 2’57” rimaneggia pochi elementi ma mai in modo noioso.
“Poi il sole” richiama ancora un’atmosfera latina che sembra così descrivere il carattere della protagonista in un contesto fresco quanto controllatamente scanzonato. Si tratta di un giocoso arrangiamento di De Florio che utilizza ritmicamente i suoni di tastiera di un computer quando la si digita, accanto alle percussioni sudamericane. Tutto inaspettatamente interrotto da un break che ha l’aria di chi improvvisamente è attratto da qualcosa apparentemente in contraddizione con l’ambiente circostante.
“Alice la tigre” ripete un po’ i canoni già introdotti da altri brani, ma non mi sento di dire che sia perciò ripetitiva, anzi, nel solco di quanto musicalmente già detto finora, questo brano è un ulteriore esempio di come si possa prendere la stessa materia e svilupparla diversamente senza tradire la direzione di tutta la colonna sonora, quantomeno la parte a mio parere migliore.
“Quasi sera” è un pezzo interessantissimo. La fisarmonica intona un tema diverso da quello ormai detto e ridetto di Alice. Pezzo in minore, teso e preoccupato già dalle prime battute, e ancora più incupito da una ritmica elettronica distorta e dagli scratch utilizzati come disturbi. Doppia anima del pezzo, acustico e elettronico al tempo stesso ma non fusi insieme, anzi volutamente tenuti separati da una sovrapposizione poliritmica delle due parti. La ritmica finale affidata agli incastri di sonorità vetrose chiude questa bellissima traccia.
“Alice da bere” è rielaborazione del tema principale, ma in versione completamente elettronica, in cui viene fuori l’esperienza del De Florio programmatore che supporta e rinforza efficacemente la sua controparte da compositore.
“Adorno è assente” è così atipica che si scoprono dettagli e sfumature interessanti ad ogni ascolto. La ricerca sonora, ritmica e melodica è continua pur nella sua apparente semplicità fatta di inaspettati suoni che entrano ed escono, come le percussioni profonde e serrate che portano il brano su un altro terreno. Un suono fortemente distorto fa il suo ingresso, potrebbe essere una chitarra, e si muove libero sul tappeto continuo delle percussioni che via via aprono a qualcosa di orientale altrettanto inaspettato. Bravissimo De Florio.
Salto alla traccia 22 “Il sogno”, tormentato direi, a giudicare dall’iniziale inquietudine affidata soprattutto alla anti melodia di uno strumento orientale e a stridenti pennellate sonore. Ma già dopo una quarantina di secondi l’atmosfera cambia radicalmente e lascia il posto alla ormai nota freschezza compositiva espressa in un leggero e spensierato valzer. Le soluzioni sono interessantissime, molto cinematiche, sul confine del più divertente mickeymousing, fino alla parodia della marcia nuziale. Ancora un applauso a De Florio che sa emergere con convincente personalità lì dove trova spazio, cosa non sempre facile nel lavoro artigianale del compositore di colonne sonore.
E infine “Noi due” con una bellissima intro elettronica fatta di una raffinata e vellutata tessitura ritmica. Traccia brevissima che ancora una volta mostra grande ricerca anche in pochi suoni e in poco tempo, forse ben oltre le necessità del film (o forse era proprio il film ad aver bisogno di una musica di qualità che lo “supportasse” meglio?).
C’è molta post-produzione in questo lavoro; la costruzione è così curata che, anche lì dove si può ipotizzare l’intervento delle battute, l’arrangiamento cede sì il passo ma senza perdere di dignità musicale, rimane indietro senza rimanere in ombra. Nei casi in cui si perde un po’ di qualità cinematografica della musica avvicinandosi più alle sembianze della library, si tratta comunque di sonorizzazione di gran qualità e di una precisa identità stilistica del nostro compositore, estremamente riconscibile sia nella tavolozza timbrica che nelle soluzioni di arrangiamento. A volte si ascoltano dettagli così sottili che nel mix del film sicuramente si perdono. Ciononostante ci sono, e questo è grande merito del compositore che dimostra una cura che va ben oltre l’applicazione dei clichè della musica per film.
Una nota di carattere tecnico: il suono è così piacevolmente aperto e dinamico da consigliarne anche un concentrato ascolto in cuffie, magari di qualità.
Infine, si tratta di una colonna sonora che si ricorda, estremamente personale, in cui si rivela pienamente il lavoro certosino di Alessandro De Florio compositore e produttore, con uno stile molto ben riconoscibile.

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