Crawlspace

cover_crawlspace.gifPino Donaggio
Striscia ragazza striscia (Crawlspace, 1986)
Intrada Special Collection vol. 279
16 brani – durata: 35’09”



Distribuito in Italia con l’inqualificabile titolo di cui sopra, l’horror-thriller Crawlspace è un altro gioiello di B-movie ad opera di quel David Schmoeller, americano classe 1947 e autore indipendente specializzato nel genere, cui si devono tra gli altri Horror Puppet (’79, film d’esordio dopo esperienza nei corti; Varese Sarabande VC 81102) e Catacombs la prigione del diavolo (’88; Digitmovies CDDM021): citiamo non a caso questi due titoli perché essi coincidono con altrettante prove maiuscole del primo “periodo Donaggio”, quello che contribuì a sancire lo statuto del maestro veneziano come compositore horror ma, soprattutto, che gli consentì una gamma di sperimentazioni e di tecniche straordinaria, e particolarmente utile per il prosieguo della sua carriera.
Prodotto dalla Empire di Charles Band, battagliero produttore di cassetta attivissimo in quel periodo, Crawlspace può considerarsi un antesignano meno efferato ma più introspettivo del filone “torture” esploso due decenni dopo con le saghe Hostel, Saw e simili; a renderlo infatti meno banale e più inquietante c’era il substrato storico incarnato nella folle maschera di Klaus Kinski/Karl Gunther, figlio demente di un chirurgo nazista e specializzatosi nel catturare e torturare a morte giovani donne imprigionandole nei cunicoli e negli angusti anfratti della propria “mad house”. Il DNA del protagonista e le radici della sua ossessione omicida non sfuggirono all’epoca a Donaggio, in ciò sostenuto dal regista che chiese e ottenne dal compositore alcuni precisi riferimenti alla musica ebraica quale omaggio, epicedio e memento simbolico alle vittime dell’orrore della Shoah. La partitura, importantissima per complessità e fattura nella produzione donaggiana, vide la luce grazie alla Varese in un lp contemporaneo al film, ma può ora godere di una preziosa ristampa filologica della label californiana, che ha rimasterizzato grazie alle cure di Michelle Stone i tracks originari in doppia traccia stereo, rendendo l’audio scintillante e fedelissimo alla matrice; il tutto accompagnato da un bel booklet con ampie note illustrative di Andy Dursin. La breve ma lancinante nenia “Falling from grace with the world”, offerta dalla giovanissima vocalist Alessandra, è una eloquente epitome dell’imprinting ebraico, intriso di pietas, cui accennavamo sopra, e contribuisce ad immergere film e soundtrack in un climax alquanto diverso dagli stereotipi consueti del genere; non meno che i drammaticissimi “Main Title”, che si agitano su un moto continuo dei bassi attraversati da urticanti dissonanze di ottoni e legni, accordi violenti di archi, rimbalzi della percussione, figurazioni zigzaganti e pulsazioni irregolari. Schema ripreso, se possibile con ancora più marcate accentuazioni, in “The chase”, pagina quasi stravinskyana nella sua spigolosa, aspra irregolarità e nella quale spicca l’orchestrazione diabolica e modernissima (si ascolti il tremolo conclusivo degli archi) di Donaggio insieme al fido Natale Massara, anche qui formidabile direttore. “Sorry Kitty” introduce nella prima parte la presenza di sobri ma puntuali effetti elettronici in una chiave quasi alienante, fantastica, ma si affida nella seconda ad una morbida distesa di archi sovrastata da una nuova vocalizzazione femminile e dalle evoluzioni notturne e sensuali del sax. Ancora una volta, dunque, il maestro veneziano si dimostra padrone di contrasti e chiaroscuri esemplari, capace di alternare squarci di carezzevole lirismo a grovigli di sonorità terrificanti; il finale vorticoso di questo stesso brano, con il glissando conclusivo e gli accordi “morti” degli archi, ne è la riprova. Il pianistico, tenero e delicato “Lovers tonight (Rehearsal)” è uno dei due brani originariamente scritti da Donaggio su testo dello stesso Schmoeller (l’altro è “If I had enough money, I'd buy me a man”), mentre “Voyeurs/Who’s swimming in your bathtub?” richiama in campo tastiere, riverberi e suoni “altri” in un’inquietantissima sorta di musica “interrogativa”, minacciosa e ossessionante, dove interviene, luttuoso, il violoncello a introdurre nuovi soprassalti degli archi e roventi agglomerati di ottoni; qui si esperisce per intero il profilo che contribuì in questi anni a fare di Donaggio il “compositore della paura”, proprietario e manipolatore di una pressoché inesauribile quantità di soluzioni e risorse. Il breve ma celebre “Martha’s lament”, che riprende l’iniziale “Falling…”, è il tributo conclamato del musicista al patrimonio ebraico e alla memoria della Shoah, con una melopea che si distende disperata e penetrante. “Rats”!, “I’m coming” e “The M&M Murders” si appellano nuovamente al vasto repertorio di espedienti e invenzioni da “suspense music” di cui Donaggio dispone, ma sempre – ed è questa la sua caratteristica precipua – sorvegliati e accompagnati da repentine aperture melodiche; il finale del brano, tuttavia, ribolle di irrequietezza e dinamismo irrefrenabili nel martellare delle percussioni e nel digrignare dissonante e guizzante degli archi. Sempre gli archi – centrali in questo score ma più in generale nella poetica di Donaggio – dominano in “The teaser”, tra lugubri frasi dei bassi, spettrali flautandi in sovracuto e improvvise scosse; si nota come la scrittura sia sempre improntata ad una straordinaria tensione interiore, dove il fraseggio si adagia raramente su oasi tonali (“Goodbye, Mr. Steiner”) e lo strumentale è spesso piegato alla creazione di climi insostenibilmente angosciosi. Nuovo spazio al pianoforte è delegato in “I’m a happy man, Martha”, in una sorta di mesto e toccante notturno, mentre l’ombra di Herrmann – che per Donaggio non è un modello da imitare ma una fonte di “comune sentire” – si affaccia in “Blowpipe blues/Goodnight, Lori” negli accordi a scendere e nelle circonvoluzioni flautate e sospese dei violini, che si sciolgono in frammenti di cantabile dalla struggente comunicatività. Il conclusivo riapparire del “Martha’s lament” sugli End Titles inserisce il brano in un contesto di incontenibile, dolorosa intensità, facendolo riprendere accoratamente dai celli che sembrano volerne sottolineare la valenza patetica e funebre. Siamo perciò di fronte, lo ripetiamo, ad una delle partiture più significative e compiute del Donaggio anni ’80, lampante e totale dimostrazione di come, anche e forse soprattutto all’interno del cinema “di genere”, il compositore sia in grado di cercare e trovare strade nuove, soluzioni inedite, contaminazioni ardite e suggestioni profonde nell’evocazione di paesaggi e psicologie musicali mai scontati.

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