This Must Be the Place

cover_this_must_be_the_place.jpgDavid Byrne/AA.VV.
This Must Be the Place (id. – 2011)
Indigo Film / Emi Music Italy
17 brani (5 di commento + 12 canzoni) – Durata: 1h 18’ 44”

Paolo Sorrentino va in America. Tra i fan rimasti a casa qualcuno mugugna perché le creature italiane di Paolo avevano un impatto così sorprendente e invece guarda quanto già visto nei deserti di questo road movie made in USA; qualcun'altro dice che sì, Il Divo è sempre Il Divo, ma se Sean Penn dice "chiamami!" cos'altro può fare un regista se non rispondere "eccomi" e mettersi a suo servizio?

È naturale sentirsi un po' smarriti di fronte a This Must Be the Place: ci eravamo immersi nei gorghi politico-filosofici del divo Giulio e ora ci troviamo a contemplare un pistacchio gigante in mezzo al nulla.  I confronti tuttavia rischiano sempre di svilire tanto il lavoro presente quanto i precedenti: è un film diverso, This Must Be the Place, è vero, ma non erano molto distanti l'uno dall'altro – per argomenti, storie, personaggi – anche gli altri quattro lungometraggi di Sorrentino?
E del resto è precisamente lo smarrimento dello straniero una delle sensazioni che Sorrentino, per sua stessa ammissione, voleva trasmettere agli spettatori attraverso il viaggio di Cheyenne, americano di nascita e dublinese per noia che dell'America non ricorda nulla.

Lasciamo allora da parte le classifiche filmografiche e proviamo a utilizzare gli strumenti che il regista napoletano ci ha messo in mano nel corso della propria carriera per riuscire a leggere nel modo più libero e sereno anche quest'ultima opera di slancio internazionale.
Chiunque abbiamo visto anche un solo film di Sorrentino sa quanto sia importante la musica e in This Must Be the Place la colonna sonora ha un ruolo più che mai narrativo: i brani che sentiamo sono tasselli del racconto, spesso diegetici – ecco già una prima, interessante differenza col Divo ma abbiamo promesso di non fare troppi confronti e ci fermiamo qui.
Il titolo stesso del film è il titolo di una canzone, composta da David Byrne nel 1983 (l'album era Speaking in Tongues dei Talking Heads) e eseguita live nel film da David Byrne in persona in una scena dalla costruzione visuale incantevole. Byrne appare anche come attore, impegnato in un dialogo complesso col personaggio di Sean Penn, per una precisa scelta di Sorrentino che gli ha chiesto non di interpretare «se stesso ma di interpretare David Byrne», alle prese con una soprendente installazione sonora (realmente esistente) che prevede la transformazione di un intero edificio in un organo.
Byrne come anima profonda del film, come specchio di Cheyenne ma anche, indirettamente, come suo possibile futuro; il musicista si è occupato infatti di scrivere le canzoni dei Pieces of Shit (le troviamo tutte sulla tracklist della colonna sonora), il gruppo capitanato dal ragazzo sfrontato che nel film chiede senza mezzi termini a Cheyenne, ex-rockstar alienata dal troppo successo, di diventare il loro produttore. I simpatici pezzi di merda – a cui presta la voce il giovane Michael Brunnock, scovato su myspace – entrano con una cover di "Lay and Love" di Will Oldham, meglio noto come Bonnie Prince Billy, e ciò ha fatto pensare a Byrne di coinvolgere proprio Oldham come co-autore dei pezzi del fantomatico gruppo. Fa eccezione "Eliza", che ha il testo di Byrne e la musica di Petra Haden e Yuka Honda (rispettivamente dai That Dog e dalle Cibo Matto, insieme formano le If By Yes e la canzone è nell'album Salt on Sea Glass).
Insomma, in This Must Be the Place la band dei giovinetti di oggi suona soprattutto attraverso i suoni – tanto amati da Sorrentino – del pop/rock di ieri.

Sistemati i Pieces of Shit, restava da concretizzare il passato musicale di Cheyenne e per scrivere "Every Single Moment In My Life Is a Weary Wait" – presentata come hit anni '80 del protagonista – Sorrentino ha coinvolto Nino Bruno, un musicista napoletano che col suo cinema aveva già avuto a che fare nel 2001 come ghostwriter (insieme a Peppe Servillo, Pasquale Catalano e lo stesso Sorrentino) dei due brani del Tony Pisapia dell'Uomo in più – per inciso, quella colonna sonora non è stata mai pubblicata.
Nino Bruno e le 8 tracce nascono come gruppo nel 2006 e lavorano nel rispetto del cosiddetto Dogma 8, «uno spirito, una poetica» che prevede l'uso esclusivo di effetti e supporti analogici. Per un personaggio che compie un viaggio nel passato – dall'Irlanda agli Stati Uniti, e via via, sempre più indietro, nelle memorie storiche e private del padre – ecco un artista italiano che esprime la propria «sensibilità fortemente psichedelica e "sperimentale"» manipolando vecchi attrezzi del mestiere.

Troppi grovigli tra realtà e finzione? Usciamo dalla colonna sonora e ci occupiamo un po' del film? Peccato, però: non abbiamo parlato di Iggy Pop ("The Passenger", sfruttata anche nel trailer) né di Arvo Pärt  ("Spiegel Im Spiegel", eseguita da Daniel Hope al violino e Samuel Mulligan al pianoforte) né di altri pezzi strumentali belli e importanti (splendido "Gardermoen" della violoncellista Julia Kent: Sorrentino aveva nostalgia del violoncello di Martina Bertoni e delle partiture di Teho Teardo?).
E poi avventurandoci tra le linee del racconto (sceneggiatura di Sorrentino e Umberto Contarello), ci imbattiamo comunque in un bambino che vorrebbe cantare "This Must Be the Place" («degli Arcade Fire!», dice il piccino a cui il passato proprio non interessa) accompagnato da Cheyenne alla chitarra e in una ragazza con gli occhi tristi fanatica del rock d'altri tempi, amica affettuosa del protagonista e interpretata da Eve Hewson, figlia di Paul Hewson alias Bono Vox.

Se This Must Be the Place è un capolavoro, una perla o una macchia della filmografia del nostro Paolo o la prima tappa di un nuovo Sorrentino americano, lo capiremo solo tra qualche anno. Nel frattempo, la corona del film più visceralmente e autenticamente musicale del 2011 non gliela toglie nessuno.


 

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