Giallo

cover_giallo_kronos.jpgMarco Werba
Giallo (2008)
Kronos Records KRONOPROMOCD001
30 brani – Durata: 67’43”

L’ultimo, sfortunato film di Dario Argento racchiude in sé una serie di anomalie.
Prodotto negli Usa, ambientato nella prediletta Torino, Giallo, che sara' in sala dal 1 luglio, anche se bloccato a suo tempo dai suoi stessi produttori americani, ha trovato uno spazio in qualche festival specializzato, è uscito già in home video peraltro in una versione deluxe in 2 dvd della Dell’Angelo Pictures (con ricchi contenuti speciali ivi compreso uno special proprio sulla musica), ha ricevuto giudizi poco lusinghieri ed ha innescato una querelle legale con richieste di risarcimento tra Argento, Adrien Brody (coproduttore oltre che protagonista nel doppio ruolo del poliziotto e del killer) e la produzione.  Sin qui le disavventure distributive. Ma agli occhi dei più attenti fan dell’autore di Profondo rosso e La terza madre non può non saltare agli occhi il clamoroso cambio di passo dell’elemento musicale, che in Argento è sempre stato fondativo del suo universo visionario di incubi e deliri, dagli assemblaggi heavy-rock in proprio ai contributi raffinatamente colti di Morricone o Donaggio al fantasismo rock-sinfonico di Keith Emerson . Infatti, persino nei due episodi della serie tv Masters of horror, cioè Jenifer e Pelts, Argento aveva conservato all’interno di un’équipe tecnica completamente nuova e americana la presenza del fedele Claudio Simonetti, artefice sin dai tempi dei Goblin del paesaggio sonoro techno-classico-metal così essenziale nel cinema del maestro romano. E Simonetti avrebbe dovuto essere presente anche stavolta, se non fosse intervenuto – all’interno delle già rammentate peripezie produttive del film – il suo improvviso forfait.
 A Simonetti è così subentrato Marco Werba, appoggiato dallo stesso Brody e frequentatore di Argento sin da quando nel 1989, 26enne, esordì nel mondo della musica cinematografica con la partitura di Zoo di Cristina Comencini di cui era protagonista Asia Argento. E che l’approccio del compositore italo-spagnolo, solidamente ancorato ad una formazione e ad una tradizione accademica e classica, sia radicalmente diverso dai precedenti soundtracks argentiani si evince sin dalle prime note dei Main Titles: il taglio è squisitamente sinfonico, rigorosamente orchestrale (Werba stesso è saldamente e autorevolmente sul podio della Bulgarian Symphony Orchestra), e su un pesante ritmo di marcia degli archi che ricorda l’incipit della Sesta Sinfonia di Mahler ma anche – per stessa ammissione del musicista - il tema de Lo squalo di Williams, si alza un cupo, incombente tema dei corni, di sapore quasi elfmaniano (Batman ma anche Dick Tracy), interrotto da continui e drammaticissimi accordi in minore. Il tema, preferenzialmente affidato al suono minaccioso e notturno dei corni, si evolve e si srotola senza sosta in tutto il decorso della partitura in un climax strumentale soffocante e austero, trovando variazioni complesse in “Taxi Killer”, dove agli archi compete un sostegno ritmico che non concede tregua.
 Ritroviamo il Werba lirico e meditativo nel “Linda’s theme” per pianoforte e archi, ma il piatto forte dello score sono i momenti di pura suspense musicale come “Killer 1”: trilli lunghissimi, pizzicati e strisciate dei violini, e a seguire (“Trapped in the taxi”) di nuovo il possente leitmotif per ottoni ma “sporcato” da inserti degli archi, che ne controllano e regolamentano in ogni momento l’andatura. L’utilizzo degli strumenti a corda in alcuni tratti (“Conversation”) sembra memore anche delle procedure herrmanniane ma tutto questo apparente citazionismo non deve sorprendere perché Werba, oltre ad essere un compositore multiforme e straordinariamente eclettico, è anche un grande e appassionato ascoltatore ed esegeta di musica per film, e le influenze, le suggestioni che si riversano nelle sue partiture ne costituiscono la migliore evidenza.
 Vi sono momenti di pura scenografia sonora (l’interminabile e immobile tremolo dei violini di “Killer 2”) ma anche di contrappunto sapiente (il tema principale passato dagli ottoni ai celli e ritorno, con una coda in progressione wagneriana, in “Taxi shadowing”), mentre è sempre il leitmotif principale a trasformarsi, in una versione per piano e violino solo (da citare i contributi del violinista Dimitri Danchev e del violoncellista Christo Tanev), nell’”Avolfi’s theme” caratterizzato dal ripetersi di una strisciante e felicissima figurazione cromatica, fantasmatica e ambigua., lontana parente del graffiante e grottesco leitmotif di Alan Silvestri per La morte ti fa bella di Zemeckis. Se “Killer 3” si concede a qualche effetto elettronico di purissimo horror (sinistri sospiri e cupi rimbombi), la malinconia lirica e discendente dei violini di “The shower” (brano in cui Werba ha imposto al regista anche il ruolo dei silenzi nell’economia generale della partitura…) è presto interrotta dalla ripresa ostinata del pesante ritmo dei bassi, e i glissandi disturbanti, morbosi di “The butcher” preludono ad una pagina mossa, agitata ma piuttosto convenzionale. Molto più complesso e articolato “The killer’s house”, giocato su attese e pause, accordi puntati degli ottoni, improvvise accensioni ritmico-percussive del pianoforte e un girovagare inquieto, irrisolto degli archi, che individuano un altro nucleo leitmotivico (Werba lo chiama in un certo senso “tema della libertà”, poiché corrisponde alla scena in cui una delle vittime del killer riesce a liberarsi e a fuggire), pulsando e scandendo incessantemente i ritmi della suspense, sino allo sviluppo di una coda solenne e ancora possentemente affidata agli ottoni.
 Curioso e alleggerente il bluesino per piano (solista Raffaella Fantauzzi) che apre “Flashback”, ma cui segue la reintroduzione molto mesta e strumentalmente variegata – vibrafono, archi - del tema principale (che a questo punto è, con ogni evidenza, il tema del killer protagonista, un “freak”, un emarginato, e quindi anche un oggetto di pietas: le sue struggenti enunciazioni per archi solisti  in “The killer’s childhood” lo confermano). Molto ricco e molto presente, lo score vive anche di una allarmata, incalzante frammentarietà: le soluzioni sono spesso di disarmante semplicità, e continua a dominare su tutte la figura del tremolo fisso degli archi (“The victim talks”, “Killer 5”) come espediente sonoro efficacissimo per la sospensione del tempo e l’amplificazione dell’attesa. Il duetto arpa e violoncello che apre “Enzo and Linda Killer’s escape”, seguito dalla crepuscolare esposizione di un ulteriore, misterioso e nostalgico tema da parte del quartetto d’archi conferma che Werba è sostanzialmente un compositore dalla vena lirica e melodica irrequieta, perturbata che in questa circostanza, man mano che si procede verso il redde rationem, viene ravvivata e arricchita da un sinfonismo cupo, opprimente e angoscioso. Il brontolìo di celli e bassi su un ostinato ritmico della percussione elettronica in “The surgeon/Police”, sino all’esplosione negli ottoni di una delle infinite variazioni del leitmotif n.1 che lo interrompe momentaneamente, è forse uno dei momenti drammaturgicamente più sapienti dello score. In “The house” torniamo a sentir echeggiare tra piano e archi il malinconico “Linda’s theme”, mentre il più esplicito omaggio alle modulazioni discendenti e rassegnate del tematismo herrmanniano si ha in “Killer’s death”, pagina tutt’altro che di azione ma – ancora una volta grazie al ruolo degli splendidi archi della BSO – di meditazione e di compassione, anche se nella parte finale concitata e frustata da continui accordi degli ottoni non manca quell’elemento di tensione compulsiva che è un po’ il punto di forza dell’intera partitura. Tensione che prosegue, senza risolversi, anche in “Celine in the boot” e negli End Titles, che ricapitolano per archi il tema principale e l’onnipresente figura discendente per semitoni del violino solo, in una fitta trama contrappuntistica dal colore strumentale neoclassico.
 Divertente, e nient’altro, una versione techno-rock del tema a cura dei Ghost-The Music  Fear (videoclip cliccatissima su YouTube), bonus track che, insieme ad un ultimo “Music demo”, chiude l’album: ma resta la convinzione che pur tra le avverse vicissitudini del film questa partitura non a caso vincitrice del Fantasy & Horror Award all’edizione 2010 del Fantafestival Award di Roma, costituisca un salto di qualità nella produzione del compositore, sia per la complessità di scrittura e la vastità di organico impiegati, sia per lo sforzo di riportare musicalmente entro confini “classici”, strutturalmente tradizionali e drammaturgicamente più credibili, l’universo folle, allucinato e imprevedibile di Dario Argento.
                                                                 

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