The Social Network

cover_social_network.jpgTrent Reznor, Atticus Ross
The Social Network (Id. - 2010)
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19 brani – Durata: 66’00”

 

Per i non appassionati il concetto di “industrial rock” è forse un termine un po’ oscuro ma i fan sanno che il gruppo americano dei Nine Inch Nails, fondato nel 1989 dal chitarrista e vocalist Trent Reznor, dal batterista Chris Vrenna e dal chitarrista Richard Patrick, è uno dei più popolari e diffusi in questo genere che si tiene in bilico fra il metal, l’”ambient music” più raffinata e un sofisticato utilizzo dell’elettronica. Collaboratore del gruppo e di Reznor, sul piano soprattutto tecnico, di design e ingegneria del suono, è da tempo l’inglese Atticus Ross, che peraltro ha esperienza anche nel mondo del soundtrack avendo firmato gli scores molto aggressivi e “ipertechno” della serie tv Touching Evil e di Codice Genesi. Questa accoppiata, al servizio del film di Fincher sulla nascita – e le controversie connesse – di Facebook, dà ora origine ad un lavoro singolarissimo, che avvolge il film in una patina misterica e inquietante, ma il cui primo elemento di sorpresa, a partire da “Hand cover cruise”, potrebbe essere per esempio la semplicissima melodia leitmotivica discendente di tre note del pianoforte, quasi “eastwoodiana” nella sua linearità pauperistica. Eppure il climax, misterioso e avviluppante, di questa scenografia sonora, è ben più complesso e insinuante: l’intrigo delle tastiere e dei suoni puramente artificiali è a volte armonicamente strutturato in modo da restituire un effetto oscillatorio, ipnotizzante (“The gentle hum of anxiety”); la ricercatezza con cui viene allestito un vero e proprio palcoscenico sonoro (“3:14 every night”) svela in Reznor – e presumibilmente anche nel ruolo fondamentale di sound-designer da Ross – un attento ascoltatore e assimilatore di alcune fondamentali esperienze dell’avanguardia del Novecento, da Boulez alla “musica concreta” . La scelta di evocare filamenti melodici su gorgoglianti e indistinti magmi di fruscii, scricchiolii, spezzature, provoca un effetto di straniamento notevole, così come (“Carbon prevails”) la repentina accensione, quasi caricaturale, di ritmi “disco dance” oppure l’uso iterato e ossessivo di dissonanze in tastiera su tappeti elettronici bloccati in una fissità aliena (“Penetration”, “Almost home”).
E’ dunque un lavoro a carattere dichiaratamente sperimentale, quello di Reznor e Ross, anche se intriso di esperienze diverse, provenienti sia dall’uno che dall’altro dei due profili (“Magnetic” è molto, molto rockettaro…); un bel test effettuato in comune è la trascrizione elettronica della “Danza del re della montagna” dalla suite n.1 del “Peer Gynt” di Edvard Grieg: pagina completamente decontestualizzata, fedelmente clonata ai synt e intelligentemente enfatizzata nella propria originaria, irresistibile e soffocante progressione ritmica.

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