Il Divo

cover_il_divo.jpgTeho Teardo/AA.VV.
Il Divo (2008)
Universal 0600753094488
20 brani

 

Colonna sonora spiazzante quella de Il Divo: Sorrentino mescola canzoni pop a brani classici (Vivaldi, Faurè) e agli splendidi pezzi originali di Teho Teardo, già compositore del recente La ragazza del lago.
Tanti generi, tante atmosfere si fondono nel film: si va dal solenne al grottesco, dallo spirituale al comico e la musica svolge un ruolo fondamentale come strumento costruttore di senso. In quello che non è un film su Andreotti ma semmai sull’immagine di Andreotti, così come è stata percepita, pensata, inventata da milioni di persone che lo conoscono solo per il suo ruolo pubblico, Sorrentino usa tutti i mezzi espressivi a sua disposizione: musica ed inquadrature si plasmano a vicenda e danno vita a significati inediti, folgoranti, sorprendenti.
Teardo ha composto brani di grande intensità, passando da atmosfere rarefatte, fredde e straniate (“Che cosa ricordare di lei”, “Sono ancora qui”) a sonorità struggenti, dolorose (la splendida “Fissa lo sguardo”, cupa ed emozionante). Pezzi che sembrano avere vita propria, slegati dalla realtà specifica che il film va a raccontare (il personaggio Andreotti) per assumere un valore mentale, legato alla memoria, all’immaginazione.
Sorrentino ha inserito poi nel film estratti dalla “Pavane” di Gabriel Fauré e dal Concerto per flauto in Re maggiore di Antonio Vivaldi: il contrasto di tali brani con le incongrue canzoni pop che vanno a commentare le scene più improbabili è fortissimo, ma il senso di inquietudine che si prova ascoltandoli è del tutto simile. Del resto, il modo in cui gli esseri umani percepiscono la realtà non è mai univoco e il grottesco può nascere tanto per contrasto quanto per assonanza: è più inquietante vedere Andreotti muoversi di notte come un fantasma o un vampiro accompagnato dalle note di Fauré o leggere della sua sorte processuale al ritmo pop di “Da Da Da”?
La musica è onnipresente in Il Divo, persino eccessiva ma mai fuori luogo: Sorrentino rischia  tantissimo e punta ancora più in alto. La conclusione con la già citata “Da Da Da” dà vita ai titoli di coda più sorprendenti e concettualmente violenti dell’anno, al pari di quelli di There Will Be Blood di Paul Thomas Anderson che si chiudeva sulle devastanti note di Brahms.

 

 

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