Continente Perduto

cover_continente_perduto.jpgAngelo Francesco Lavagnino
Continente Perduto (1955)
Alhambra (A8994)
16 brani – durata: 59'00''

 

Pietra miliare della filmografia di Angelo Francesco Lavagnino, Continente Perduto torna in tutta la sua freschezza e in full stereo grazie ad un eccellente lavoro sui master conservati nell'archivio privato dell'autore. Il film-documentario diretto da Enrico Gras e Giorgio Moser fu girato nel 1955 in una lunga spedizione negli arcipelaghi indonesiani e malesi a cui partecipò lo stesso Lavagnino. Studiando “suoni, ritmi e strumenti della musica Gamelan” – ricorda l'esaustivo booklet – “essa divenne una fonte di ispirazione quando la musica venne composta in Italia”. L'autore, come si legge nell'acclusa intervista del 1984, scrisse di getto la colonna sonora in appena dieci giorni e utilizzò una tecnica di registrazione all'avanguardia, una sorta di surround ante litteram che permetteva di incidere separatamente su quattro o cinque tracce divise nei quattro canali audio del film. A corollario dei nuovi effetti che permettevano ad esempio dei movimenti stereofonici da un canale all'altro o degli innovativi missaggi, Lavagnino percorse una via sperimentale che univa le fonti eterodosse più disparate e volutamente inedite all'orecchio occidentale, con la piattaforma sinfonica del '900. Ne risultò un'opera brillante, meticcia per così dire, ma anche descrittiva e quasi onomatopeica, che risulta ancora oggi, a cinquant'anni di distanza, godibilissima da ascoltare e con una spiccata atmosfera di tensione. Tuttavia, prima della sua pubblicazione integrale si è dovuti passare per la versione in mono di 28 minuti pubblicata negli Stati Uniti nel 1957 (The Lost Continent) e, ancora prima, per una breve suite in otto tracce registrate dall'autore e poi incluse in un LP del 1983 in calce alla colonna sonora intitolata L'ultimo Paradiso. La presente edizione rende finalmente giustizia delle potenzialità tecniche in nuce e dei pioneristici espedienti sonici messi in atto dall'autore. Entrando dunque nel merito del CD, il brano d'apertura e quello seguente presentano un'orchestrazione scarnificata che fa dei timpani il centro di gravità e delle voci sommesse, misurate e cupe come fossero delle invocazioni tribali, il suo imprinting distintivo. In particolare il titolo “Chinese Fugitive / Hong Kong” esaspera per circa due minuti questa sorta di loop esoterico che insiste sulle note gravi, mentre la sua seconda parte è un brioso pezzo di musica pentatonica arrangiata con percussioni colorate e ostinati di archi. Ancora all'insegna dell'infatuazione pentatonica è tutta la traccia “The Wedding / Fireworks / Navigation # 1 / The Seven Filmakers”, che offre un delizioso incipit al vibrafono e regala nel suo prosieguo uno dei movimenti più affascinanti di tutto l'album grazie al flauto raddoppiato e alle orchestrazioni sincretistiche a base di orchestra classica e strumenti tradizionali. Tali espedienti sono il fil rouge della partitura, anche se forse il momento che meglio esprime lo spirito  dell'oriente reinterpretato dall'autore è il brano “Scarecrows / Harvest”, spensierato e a tratti rumoristico. Sequenze propriamente sinfoniche non mancano, come “Navigation #2”, percorsa da una melodia nostalgica tipica della penna di Lavagnino, oppure l'estesa “Navigation #3 / The Dayaks”, anch'essa ricca di idee melodiche e accostamenti dei timbri esotici. Da notare che, nella sua parte centrale, essa presenta una variazione stupenda del tema principale, legata soprattutto ad un ripensamento totale degli accordi oltre che dell'orchestrazione. Ma il sentimentalismo sinfonico è solo una faccia del prisma musicale di Continente Perduto. Il lato più misterico preannunciato nei titoli di apertura è sviluppato nella parte centrale che si fregia delle invenzioni sonore maggiormente degne di nota. Da segnalare i suggestivi accostamenti voce-rumore nel brano “Volcanoes / The House Of God”, dominato dai corrosivi glissandi del coro, dal frastuono del cimbalo e da un cupo background elettrificato, mentre i brevi passaggi affidati al pianoforte aggiungono un tocco di suspense d'autore. In un titolo speculare (“Celebration For Good Harvests (Dance #1 – Cockfight – Dance #2”) Lavagnino abbandona ogni residuo tonale e crea un collage sonoro di puro rumore, dominato dalle percussioni di bambù accostate allo xilofono e al pianoforte. Non vanno dimenticati neppure titoli per così dire di “transizione” affidati al coro, come la struggente “ Dressing Of A Novice” o la più minimale “Rite Of Fertility For Bankan / Wedding Preparation”, che presenta anche l'uso di uno scacciapensieri siciliano. Ciò che realmente stupisce di questa colonna sonora, oltre alla bellezza della partitura e delle registrazioni rivoluzionarie, è la capacità dell'autore di accostarsi con personalità ad un soggetto, o meglio ad un'esperienza vissuta in prima persona con grande curiosità intellettuale. La sintesi realmente “divulgativa” dell'eterogeneo contesto musicale a cui egli attinge  è in definitiva il fiore all'occhiello della OST, che a distanza di anni – e grazie all'importante opera editoriale messa in atto – risulta ancora piena di sorprese e adatta ad un pubblico quantomai vasto.

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