Reportage dal Seeyousound Festival 2024

locandina seeyousound 2024

Punk, Rivalsa e Musica al Seeyousound Festival

Giovedì 29 febbraio ho avuto l’occasione di prendere parte al SeeYouSound Festival come spettatore. Il festival, che oggi arriva a compiere il decimo anno, è la più importante unione, in Italia, di cinema e musica. Il SeeYouSound si svolge in dieci giorni (dal 23 febbraio al 3 marzo) al Cinema Massimo MNC di Torino (https://www.seeyousound.org/).

locandina never a master plan

Il primo spettacolo a cui ho assistito è Never a Master Plan di Giorgio Guernier.
Il film è un racconto a vignette di storie su personaggi comuni, reali e spesso connessi tra di loro, nella vita quotidiana londinese. È proprio il realismo che fa da padrone sul grande schermo, vista anche la scelta di dialoghi per la maggior parte improvvisati da quasi tutti attori non professionisti.
A colpirmi è stata la calma con cui si svolgono le varie storie, che, come ha riportato il regista, serve a dare un tono più improntato verso il Realismo piuttosto che verso la Nouvelle Vague. Guernier, infatti, ha voluto inserire storie realmente accadute e avvenimenti, non positivi, che possono succedere a chi cerca di entrare nel mondo artistico. Il regista sceglie, inoltre, di tenere per la maggior parte suoni ambientali per enfatizzare i momenti cupi, anziché aggiungere più canzoni di repertorio, che ci saremmo aspettati vista la sua forte influenza post-punk.
Dopo la visione, Guernier racconta in sala che la sua idea iniziale era fare un documentario sui musicisti post-punk, e anche per questo ho voluto chiedergli il motivo di una così minima presenza di brani british. Come spiegata prima, questa sua scelta di lasciare molte scene senza musica, deriva dal voler accentuare un ascolto più reale. Successivamente, mi ha riferito che ha fatto lui stesso da Music Supervisor per il film.
In una delle scene finali, possiamo sentire parte di un brano di Vashti Bunyan (interpretato dalla stessa), la quale veniva intervistata da due delle protagoniste per una loro fanzine. Questa della fanzine, per il regista, era un’idea che amava per il suo film avendola anch’esso realizzata.
La sensazione che mi ha lasciato, una volta riaccese le luci della sala, è stata quella di una voglia di rivalsa, con la consapevolezza di quanto possa essere dura la vita di chi vuole far parte del mondo artistico. Io stesso mi sono rivisto, in parte, nelle vicissitudini di alcuni protagonisti, dal momento che tutt’ora sto inseguendo il sogno di diventare Music Supervisor.

locandina crass

La seconda proiezione che ho scelto di vedere è stata Crass – The Sound of Free Speech, The Story of Reality Asylum di Brandon Spivey.
Il regista sceglie di portare un documentario sui Crass, band anarcho punk inglese anni ’70-’80. Spivey, dato il suo profondo vissuto da anarchico come la band antagonista dei Sex Pistols, ha voluto portare qualcosa che non fosse il classico documentario su una rock band. Grazie a questa scelta del regista di astenersi dal fare domande personali stile fandom ai membri dei Crass, riesce ad emergere maggiormente il respiro punk del Regno Unito di quegli anni. Quello che risalta durante la visione del film è un forte senso di ribellione contro uno Stato e una Chiesa che troppo spesso opprimevano e allo stesso tempo abbandonavano una parte della popolazione che si trovava ai margini della società. Il film riprende il singolo “Reality Asylum” che tocca tematiche che sono state considerate blasfeme; oltre alle espressioni contro la Chiesa Cattolica e le guerre, vediamo immagini crude e talvolta disturbanti.
Sicuramente il movimento punk capitanato, in questo caso, dai Crass, è stato una storia e un pensiero che meritavano di essere raccontati sul grande schermo. Come detto anche dal regista, non aveva idea della reazione che sarebbe scaturita dalla visione della pellicola, ma con sua grande sorpresa ha rivisto tanti punk come lui che hanno supportato questo film e può così affermare che tutt’oggi questo sentimento viene trasmesso ancora tra generazioni. Sempre Spivey, al termine della visione, ci svela che girando questo documentario ha rivissuto il suo passato, un passato e un’infanzia piuttosto duri, come da lui descritto. Il suo intento era quello di analizzare le sottoculture come il punk-rock anni ’70 e, secondo me, ci è riuscito in pieno poiché io, classe fine anni ’90, sono riuscito ad immergermi in una decade e una cultura a me lontane. A parer mio, è stata un’esperienza più che positiva, consigliabile non solo a chi già lavora nell’ambito del cinema e della musica o chi come me studia per farne parte, ma anche a chi vuole provare un’esperienza in sala completamente differente dal solito.

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