Ai limiti della sonorizzazione... la sperimentazione!

Ai limiti della sonorizzazione... c’è la sperimentazione
“Berlin after 20”, l'appuntamento più discusso della rassegna Time Zones


In parecchi non dimenticheranno cosa è accaduto sabato sera 21 novembre 2009, nell’Auditorium Vallisa di Bari Vecchia, una delle location della rassegna Time Zones – Sulle vie delle musiche possibili, che dedica l’intera edizione 2009 alla musica per film e ai suoi compositori.
Ma chi si aspettava la musica per film, o una sonorizzazione classica è rimasto deluso. Non solo, in parecchi sono andati via dopo mezzora, alcuni dopo venti minuti, altri hanno resistito fino all'ultimo ma quasi per curiosità, altri ancora, come me, per capire.

Tre le esibizioni: Bernard Guenter, scultore sonoro del “minimalismo digitale subsonico”, ha sonorizzato le opere del video artista berlinese Lillevan; poi ancora Guenter, accompagnato dalla “anti-chitarra” dall’inglese Gary Smith, e infine Arnold Dreyblatt Trio, formazione non convenzionale che vedeva Dreyblatt ad uno strano e modificato contrabbasso, accompagnato da batteria e chitarra. Ma è sopratutto sul primo intervento che voglio soffermarmi, per due ragioni; uno, era l'unico che prevedesse una sonorizzazione di immagini; due, è stato quello che ha scatenato l'esodo dall'auditorium. Su immagini pulsanti, in bianco e nero, in continua mutazione erano proposte ipnotiche fasce sonore che andavano dalle onde pure al rumore “rosa” (per far capire, più o meno, cosa sia il rumore “rosa” potrei suggerire un televisore su un canale non sintonizzato), variamente trattati, fino a farli diventare battimenti in bassissima frequenza, tipiche delle onde binaurali che cercano di scendere fino alle frequenze dell’attività cerebrale umana.
Tutto immerso e scandito da una lentissima variazione: l’immagine, solo apparentemente ferma, in realtà era modificata al computer dal videoartista in modo sottile, tanto da dover concentrarsi per cercare in essa i dettagli di questa mutazione, accoppiando l’immagine a ciò che accadeva dal punto di vista sonoro. Alla distorsione dell’immagine, lontana da qualsiasi descrittivismo, era proposta una lenta e continua distorsione del suono, lontano, a sua volta, da qualsiasi tratto musicale. “Ah, ecco... un elemento comune” mi sono detto tra me e me, il tempo, lento, che scorre e impone lo sguardo (anche acustico) e l’attenzione ad una mutazione che, per quanto lenta, c’è. Ed ecco anche tornare alla mente i miei studi e ricordi sullo storico Centro Italiano di Fonologia, e la mia visita all’IRCAM di Parigi, argomenti che meriterebbero altri spazi.
La cosa è, così, cominciata a diventare più interessante.
Ma non per tutti.
Accanto a me c’erano due giovanissime donne, direi universitarie, che maledicevano l’amico che aveva consigliato loro questo “concerto”; ad un certo punto, immersi come eravamo in un tripudio di immagini e suoni provenienti da un altro pianeta, una ha esclamato "questa è la depravazione della musica!". A quel punto non ce l’ho fatta più e, sorridendo, ho chiesto loro “ma... come siete capitate qui stasera?”, e loro “un amico ci ha consigliato la serata, ma questa non è musica, non si suona così una chitarra" e la cosa è continuata così per un po'. Lei mi ha chiesto cosa ne pensassi della serata e io le ho risposto; ma di questo più avanti.
Tuttavia quella frase, “la depravazione della musica”, è stata illuminante perchè... effettivamente non si trattava di musica! Le categorie di bellezza per come le conosciamo da secoli a questa parte, quelle di provenienza aristotelica di armonia, misura e proporzione, qui non c'entrano niente; è innanzitutto la forma ad essere liquidata, ed è solo nell'interazione mentale, dal vivo, “hic et nunc” con lo spettatore che ha senso parlare di forma. Chi metterebbe su un disco simile, se non per motivazioni di ricerca e sperimentazione? Forse, esibizioni simili hanno due giustificazioni, da un punto di vista fruitivo: uno, se sono parte di un esperimento audiovisivo; due, se le vedi eseguire, cioè se vedi questi artisti agire davanti ai tuoi occhi. Ed è forse questo che ha penalizzato le due ragazze: una colonna occultava parzialmente la loro vista del palco, per cui la loro fruizione non era completa e perdevano parte, a mio avviso importante della performance: ovvero, il performer.
Continuavo però a chiedermi del perchè di quella loro reazione. Puoi dire “mi piace”, “non mi piace”, “capisco”, “non capisco”, ma perchè una tale repulsione? La risposta viene da lontano, da circa un secolo fa, prima dalle forzature pantonali, poi atonali, poi dodecafoniche, poi dalla seconda avanguardia... cioè da tutta quella "musica" che ha negato la Musica; banalizzando ed estremizzando un po’(ma nemmeno troppo) è come aver trovato in Schoenberg il papà della musica dei film horror, che parla in una lingua incomprensibile di ciò che non ci piace, e cioè del fatto che, sulla terra e tra gli uomini, non esiste solo quello che abitualmente vediamo o ci raccontano; ma per affrontare la novità ci vuole impegno e curiosità, che non sono qualità uniformemente diffuse. Ecco perchè l'avanguardia ha sempre fatto paura, perchè è sovversione, inversione, messa in crisi di un ordine costituito, dei detriti del mainstrem, che si vuole far passare per naturale, e, come tale, immutabile. Ancora non si è capito veramente se il tonalismo sia qualcosa che abbiamo già “dentro” o meno, ma sicuramente non è il solo modo di intendere l’organizzazione dei suoni. E per fortuna a dirlo sono pensatori ben più dotati di me... relata refero.  Difficile abbandonare le proprie certezze, come biasimare le due amiche? Alla assoluta mancanza di forma si richiedeva di dare personalmente una forma, con la pazienza, con l'attenzione, con la volontà di "entrare" mentalmente in quello che vedi e senti. Una volta entrato nel “nuovo giardino” si scoprono “nuovi fiori”, a prescindere dalla loro bellezza... ammesso che ci si doti di parametri di bellezza. Ammetto che la curiosità non basta; io ho avuto la fortuna durante i miei studi di avere due maestri, e riconosco loro il merito di avermi indicato la strada verso quel “giardino”.
Infine, la domanda della ragazza: “La tua recensione sarà positiva o negativa?”
Assolutamente positiva e principalmente per due ragioni, lontane dalle categorie del bello. Dalle nostre parti è pressochè impossibile assistere (termine incompleto, in quanto si richiede una partecipazione mentale attiva dei presenti) a performance simili, alla ricerca pura, allo scavalcamento delle barriere culturali legate al suono e alla “musica”, alla proposizione delle categoria di non-forme così inedita (eppure sono almeno 30anni che in giro per il mondo si fanno esperimenti simili). E infine ho apprezzato la provocazione della coraggiosissima rassegna Timezones, ai limiti dell’autolesione: la sperimentazione europea estrema, ostica... immersa nel sabato sera della “movida” barese della città vecchia! Un piranha nell’ampolla dei pesci rossi.

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