West Side Story in forma di concerto - Auditorium Parco della Musica a Roma

West Side Story in forma di concerto - Auditorium Parco della Musica a Roma

West Side Story di Leonard Bernstein su libretto di Arthur Lawrence e Stephen Sondheim è senza dubbio uno dei musical più amati di tutti i tempi. Sembra difficile oggi credere che alla sua uscita a Broadway nel 1957 non abbia riscosso un successo sensazionale, e che sia dovuta intervenire la trasposizione cinematografica del ’61 firmata da Robert Wise e Jerome Robbins – peraltro poco amata dagli autori – a dargli la popolarità mondiale che l’ha accompagnato fino ad oggi. Quella che si è potuta ascoltare il 12, il 13 e il 14 ottobre in Auditorium Parco della Musica sotto la direzione di Antonio Pappano, per inaugurare la stagione sinfonica 2018-2019, è una riduzione ancora diversa, ovvero una versione in forma di concerto in cui sono state eliminate quasi tutte le parti parlate.

Poco male: la linea narrativa è comunque evidentissima – sostanzialmente si tratta di un rifacimento di “Romeo e Giulietta” ambientato nel West Side di New York – e naturalmente il susseguirsi ininterrotto dei pezzi di Bernstein rende ancor più evidente la portata artistica del suo monumento lirico. Come ha sottolineato Pappano in conferenza stampa, quella di Bernstein qui – e a differenza ad esempio che nelle sue sinfonie – è una scrittura improntata all’immediatezza, alla definizione di leitmotiv, di riff ossessivi destinati a rimanere scolpiti nella memoria. L’eterogeneità degli stili affrontati – dal mambo al jazz bebop – è unificata dalla presenza capillare dell’intervallo di tritono (tipica sporcatura jazz, definito nel Medioevo “diabolus in musica” perché dissonante e di difficile intonazione), fin dalla prima parte solo musicale che accompagna la presentazione delle due bande rivali (I Jets, newyorchesi, e gli Sharks, immigrati portoricani), per poi diventare la pietra fondante di alcuni momenti topici della partitura, come la celebre “Maria”, cantata dal protagonista Tony nella presa di coscienza dell’innamoramento, o l’inevitabile, tragico finale dove il tritono compare al basso nel termine ultimo. Soprattutto, la compattezza è data da una tecnica compositiva che non concede nulla sul piano della sterile contaminazione e che tiene fede principalmente alla continuità con la tradizione colta occidentale, dal quale in fondo Bernstein proviene. Ne sono una prova schiacciante la vera e propria fuga atonale di “Cool” e il quintetto di “Tonight (Assieme)”, che riprende il famosissimo tema della “Scena del balcone” in contrappunto con le voci dei componenti delle bande rivali che si preparano alla guerra e con quella di Anita, fidanzata del capo degli Sharks Bernardo.



L’Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il cast di cantanti solisti (tra cui spiccano Nadine Sierra nella parte di Maria, Alek Shrader in quella di Tony e Tia Architto nei panni di Anita) ci hanno restituito tutta la carica travolgente di questo capolavoro: da “La canzone dei Jets”, di propulsione ritmica stravinskijana, fino all’incalzante “America”, che alterna ritmi binari e ternari, passando per le romantiche “Maria” e “Tonight”, quest’ultima continuamente modulante e tendente a una misteriosità quasi herrmanniana; ma grande virtuosismo è stato sfoggiato anche nei brani cosiddetti “di alleggerimento”, come “I Feel Pretty” o la divertentissima “Gee, Officer Krupke”. Michele Dall’Ongaro, Presidente-Sovrintendente e Direttore Artistico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha giustamente rimarcato in conferenza stampa come West Side Story sia un musical sostanzialmente pessimista (noi aggiungeremmo conservatore) che fa a pezzi l’ideale dell’unione, l’ottimismo del New Deal, narrando la storia di giovani sconfitti in partenza tra cui fallisce ogni tentativo di comunicazione non violenta. A questo punto la musica si fa carico non tanto di unire generi e stili – come si è detto la cifra predominante è quella di una scrittura solidamente classica-occidentale – ma, grazie al matrimonio con la parola, di creare un ponte tra le sensazioni più disparate, spesso diametralmente opposte, proprie del turbamento giovanile: le pulsioni di morte (la violenza tra bande) e quelle vitali (l’amore tra Tony e Maria); il sentimento di morte in vita, ovvero quello che precede l’attimo dell’innamoramento (“Oggi il mondo era solo un indirizzo, un luogo in cui vivere, un posto come un altro”), e la prospettiva di una conciliazione dopo la morte (“Pace e tranquillità e aria aperta ci attendono da qualche parte”). Ne risulta una visione per nulla edificante, valida oggi come ieri. Ringraziamo l’Accademia di Santa Cecilia per averla fatta rivivere in questo splendido concerto. 

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