Dalla savana al West End: The Lion King - Il Musical

Dalla savana al West End: The Lion King, vent’anni di regno dorato sul palco del Lyceum

Emblema e vertice  del “Rinascimento” della Disney, con tutte le caratteristiche etiche ed estetiche che hanno accompagnato i film d’animazione della celebre casa di produzione americana nel corso degli anni Novanta, The Lion King (Il re leone) riassume in sé le caratteristiche del Perfect Show, carico di tutti gli ingredienti per un successo che non era così scontato ma che è stato sapientemente confezionato e che lo ha condotto sul trono dei film d’animazione in 2D della Disney, coi suoi oltre 950 milioni di dollari di incassi internazionali, a fronte di un costo di produzione di nemmeno 80 milioni.

Uscito negli Stati Uniti nel giugno 1994 (in Italia in novembre), il film divenne in breve un culto mondiale, capace di raggiungere un pubblico intergenerazionale in una precisa sintesi di elementi grafico-narrativi-musicali che ancora oggi restano inimitabili e che hanno solcato la memoria e le coscienze delle generazioni cinematiche del release time e non solo. Il packaging Disney prevede una storia semplice che, abbracciandosi liberamente alla trama dell’”Amleto” di Shakespeare, mette in scena animali antropomorfi che recitano-cantano-danzano (il classico trivium del musical) nella cornice di un comedy-drama (con un inevitabile happy ending) in ambientazione afro-beluina a sfondo familiare, la linea 3 come tirante e la 2 come target, con il riscatto del protagonista Simba, una volta attraversato e superato il death moment grazie all’aiuto dei bizzarri caratteristi Timon (un comico suricato) e Pumbaa (un flatulente facocero) e dello spirito del padre Mufasa che, come nel dramma shakespeariano, appare diafano al figlio per indurlo a riguadagnare fiducia in se stesso e a riconquistare il trono della Rupe dei Re illegittimamente usurpato dal malvagio zio Scar. Successo di pubblico e critica per la storia, le immagini e anche per le musiche, con le canzoni/numeri musicali affidati a un duo inedito, ovvero il paroliere Tim Rice - già penna prelibatissima di stage/screen musical epocali quali Jesus Christ Superstar ed Evita in partnership con il compositore Andrew Lloyd Webber, e Aladdin (screen) e Beauty and the Beast (stage) con il compositore Alan Menken - e la superstar britannica Elton John, per la prima volta alle prese coi songs di un musical cinematografico, che gli daranno nuovo impulso e un nuovo ritorno di popolarità e sales proceeds discografici.

La colonna sonora – che, oltre alle opere di John-Rice, comprende anche l’underscore originale del grande Hans Zimmer – fu certificata decuplo platino e risultò il soundtrack per un film d’animazione più venduto di tutti i tempi, aggiudicandosi a buon merito anche due Oscar 1995 per la Miglior colonna sonora e la Miglior canzone originale (“Can You Feel the Love Tonight”, quest’ultima in nomination insieme anche a “Circle of Life” e al gustoso fox song “Hakuna Matata”). Inizialmente scettici sulla scelta di un songwriter di deriva pop come Elton John (proposto dallo stesso Rice) e temendo che la rockstar non avrebbe accettato per mancanza di tempo, i produttori della Disney infine si convinsero e la scelta si rivelò azzeccata e funzionale. Elton John infatti rappresentava perfettamente la giusta convergenza stilistica di cui il film aveva bisogno, ovvero di musiche che, pur non sconfinando troppo dall’immaginario disneyano (dotato di gimmick ben precise), nel contempo fossero in grado di superare il sound d’animazione delle stagioni passate e connettessero invece la storia africana con una vis creativa più modernamente concepita e più vicina al pop da classifica e alla sensibilità della new generation. Di fatto le canzoni scritte dalla coppia John-Rice per il film Disney sono cinque, di cui tre più note – le già menzionate candidate all’Oscar – e due invece meno conosciute (“I Just Can’t Wait to Be King” e “Be Prepared”), a uso narrativo interno. La più nota, benché non impalmata con l’Oscar, resta “Circle of Life”, dal 1995 presenza fissa nella setlist dei live show eltoniani, eseguita nell’adattamento italiano di Michele Centonze dalla voce di Ivana Spagna. Più controverso invece l’utilizzo della Oscar-winner “Can You Feel the Love Tonight”, la quale è soltanto accennata nel corso del film e affidata alle voci di Timon e Pumbaa in un ironico quadretto ed esposta nella versione interpretata da Elton John e prodotta da Chris Thomas nei titoli di coda. Di fatto, questo song avrebbe dovuto rappresentare il main theme del film, ma i registi gli diedero un ruolo marginale nell’animazione, meno rilevante degli altri quattro pezzi cantati, incontrando il disappunto di Elton John, il quale non venne informato di tale omissione e approssimativa esposizione; tuttavia l’opera si aggiudicò l’Oscar e si è guadagnata una rilevanza senza tramonto nel panorama dei Temi disneyani.



Tali fasti sul grande schermo indussero inevitabilmente la Walt Disney Theatrical a produrre anche una versione stage del musical The Lion King, dapprima in un Off-Broadway a Minneapolis nel luglio 1997 – a tre anni dall’uscita del film – per poi spostarsi in autunno presso il rinnovato New Amsterdam Theatre di New York, e trasferirsi ancora nove anni più tardi presso il Minskoff Theatre, accumulando ben 7.900 repliche e incassi fino a 350mila dollari a spettacolo, rendendolo uno dei primi tre stage musical più rappresentati di tutti i tempi e quello di maggior successo assoluto tra versione screen e versione stage.
The Lion King approdò in Europa, nel West End londinese, il 19 ottobre 1999, prodotto da Harrison Lochtenberg, con la prima rappresentazione presso il Lyceum Theatre, ove, lo scorso 9 agosto, ho assistito a una “plurimillesima” replica, circa vent’anni dopo il suo debutto nel bel confetto architettonico di originaria edificazione settecentesca ubicato in Wellington Street.
L’emozione nell’assistere a questo live show in una Londra per noi già autunnale, dopo una cena a base di grilled chicken & fairtrade hot chocolate, non è traducibile pienamente in alfabeto, ma sicuramente la magia di questa immensa carovana e il peso culturale di una fiaba senza tempo tengono incollati e ammaliati nelle due ore e mezza di spettacolo, in replica serale al Lyceum sempre alle 19:30. Circa duemila persone presenti per rivivere l’anabasi del piccolo leone Simba su un palco in cui compaiono coreografie e costumi ingegnosi, riproducenti in maniera agile e non didascalica - atta ad ameboidi configurazioni a comparsa (d’effetto il trono di Scar su un cumulo di carcasse di animali, eco del filmico Cimitero degli Elefanti) - varie specie di animali a grandezza naturale (le giraffe per esempio), indossati dall’ensemble in un coreico esotismo nei numeri massivi. Lo staging è introdotto dalla stentorea voce del mandrillo Rafiki, cui fanno eco i cori africani curati da Hans Zimmer e Lebo M, già nel film, e che condiscono in apertura il tema eltoniano “Circle of Life”, esposto per l’appunto da Rafiki nello stage musical (nel film invece il mandrillo non canta).
Oltre alle cinque canzoni presenti nella pellicola, nel musical teatrale vengono eseguiti anche altri tre brani scritti da Elton John e Tim Rice: il divertente “The Morning Report” (interpreti Zazu, il giovane Simba e Mufasa), inizialmente destinato anche al film ma poi omesso, l’hard rock “Chow Down”, cantato dalle tre iene, e il dialogato “The Madness of King Scar” (Scar, Zazu, Nala e le tre iene), quasi sorta di recitativo con sostrato ritmico in pastiche latino-caraibico, preludio al successivo “Be Prepared” (presente anche nella OST del film ma epurato degli spettrali monk choirs di testa e coda). Il musical teatrale è caratterizzato da un maggior apporto di brani di deriva tipicamente etno-africana, grazie alla presenza di un coro arrangiato da Lebo M che canonizza perfettamente l’umore stilistico tipico delle danze rituali, con la reiterazione formulare e il call-and-response in brani come “Grasslands Chant”, “The Lioness Hunt” e “One by One”. Il bellissimo tema strumentale composto da Zimmer e noto nel film come “Under the Stars” viene riproposto sul palco in forma canzone nell’eccezionale sincretismo di work song, WASP e pop theme sinfonico per immagini, col brano “Endless Night” (Simba, Ensemble), mentre “Shadowland” (interpretato da Nala, Rafiki e l’Ensemble) riprende il tema della morte di Mufasa, il filmico-strumentale “This Land” composto da Zimmer. I testi letterari addizionali sono stati curati da Mark Mancina, Lebo M e Julie Taymor (quest’ultima la regista dello spettacolo). Le action scenes solo strumentali come la cavalcata degli gnu (“The Stampede”, una sorta di coro orffiano etnicizzato e in servizio descrittivo agli eventi meccanici) e la lotta tra Mufasa e Scar sono ripresi dall’animazione.
Menzione particolare merita il brano “He Lives in You”, composto da Mark Mancina, Jay Rifkin e Lebo M per la colonna sonora del sequel direct-to-video The Lion King II: Simba’s Pride del 1998, un brano che restituisce molto bene le dinamiche interiori di Simba, coi cori atavici “Ingonyama nengw’ enamabala” che supportano la melodia quasi orante in uno spiritual theme performativo molto emozionante, ancor più nell’arrangiamento per il palcoscenico.



Lo stage musical bissò naturalmente il successo del former film assicurandosi in bacheca 6 Tony Awards 1998 come Miglior musical, Miglior scenografia, Migliori costumi, Migliori luci, Migliore coreografia, Miglior regia di un musical, nonché 8 Drama Desk Awards 1998, il Theatre World Award 1998 e 3 Prix Molière 2008. E la storia continuerà la prossima estate con il remake live action del film, prodotto dalla Disney in occasione del 25° anniversario dell’uscita dell’opera originale.
Un regno dunque, quello di Simba e Mufasa, che sembra non voler tramontare e che quotidianamente, tra Broadway, West End e numerosi altri palchi sparsi in tutto il mondo, continua a commuovere e divertire milioni di spettatori e forse, grazie al potere magico della musica rappresentata, a contribuire nel rendere il nostro mondo anche solo un poco migliore e più solidale.

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