The Liberator

cover_libertador.jpgGustavo Dudamel
The Liberator (Libertador, 2014)
Deutsche Grammophon 002105402
17 brani + 1 bonus track – Durata: 55’05”



Per gli appassionati di musica, soprattutto classica, Gustavo Dudamel è uno degli astri nascenti più luminosi del panorama direttoriale contemporaneo; già allievo di Giuseppe Sinopoli e Claudio Abbado nonché violinista provetto, ha diretto le principali orchestre ai quattro angoli del mondo, ed è attualmente sotto contratto per la più prestigiosa etichetta discografica europea, appunto la DGG. Gli interessi del 34enne maestro venezuelano sono tuttavia anche più vasti; in particolare, il suo amore per il cinema trova in lui sia un esecutore appassionato (in ottobre ha inaugurato la stagione della Los Angeles Philharmonic, di cui è direttore musicale, con un concerto interamente dedicato a John Williams), che un compositore entusiasta e generoso.
Di quest'ultimo suo aspetto facciamo ora la conoscenza tramite questa ricca e per molti aspetti sorprendente partitura di esordio che trasuda fervente patriottismo, visto che il film biografico di Alberto Arvelo ruota intorno alla figura leggendaria di Simon Bolivar, il Garibaldi sudamericano eroe della guerra d’indipendenza dall’Impero spagnolo, e visto che Dudamel stesso si presenta sul podio dell’Orchestra sinfonica nazionale – della quale è musical director insieme alla compagine californiana - e del coro giovanile nazionale “Simon Bolivar” di quel paese.
Eppure, ed è forse il primo dato interessante, il suo stile compositivo non sembra risentire troppo di influenze etniche o folkloristiche, eccezion fatta per la presenza simbolica molto spiccata del flauto di Pan, sin dalla suggestiva apertura di “¿Quien puede detener la lluvia?”, suddivisa in un’introduzione notturna, misteriosa, ed in un secondo sviluppo eroico e tambureggiante, rinforzato dal coro: in altre parole Dudamel, forse anche grazie al contributo in orchestrazione di un veterano come William Ross (il cui nome pare sia stato suggerito a Dudamel da John Williams in persona, suo amico e mèntore e interpellato per un consiglio), si appella ad un linguaggio musicale molto cosmopolita, sicuramente prodotto anche dalla sua frequentazione direttoriale con il repertorio sinfonico più vasto possibile, da Beethoven a Bartòk. Un leit-motif portante, nobile e pacato, domina la partitura sottoponendosi alle più varie fioriture orchestrali, mantenendo costante la propria fisionomia ma senza diventare espediente ripetitivo, anzi talvolta rivelandosi un po' sfuggente: la strumentazione vibra di un calore genuino, accentuato dalla freschezza – anche anagrafica, l’Orchestra nazionale venezuelana essendo composta perlopiù da giovanissimi - degli esecutori, come dimostra il dialogo violoncello-arpa di “Regreso a Venezuela”. Calore che però raramente si trasforma – malgrado la committenza e l’occasione chiaramente in odore di agiografia – in trionfalismo o pompierismo sonori; le tonalità sono spesso smorzate, talora (lo splendido, articolato “Maria Teresa”, “Muere el mariscal”) improntate a un toccante lirismo pucciniano, e su di esse il ruolo del flauto assume una rilevanza nettamente psicologica, offrendo le proprie evoluzioni su archi mollemente mormoranti; naturalmente questo non significa che manchino le pagine improntate ad un’andatura energica, di pura azione, come  il rombante “El dia de 25 septiembre de 1828” o più ancora la fragorosa “Boyaca'”, o ancora l’incombente, quasi rituale nello srotolarsi lento e spirituale della tromba sola, “La carta de la Republica”: le gesta eroiche del protagonista trovano un riscontro acceso e forse un po' retorico anche in “Destierro in Cartagena” e “Angostura”, ma è un tributo abbastanza prevedibile da pagare.  Tra l’altro nello sviluppo dei temi e dei momenti salienti Dudamel valorizza molto il ruolo dei solisti, come l’oboe di “Fanny du Villars” e più in generale la sezione dei legni – molto curata – come nel pensoso, cupo “Esta no es una frontera, esto es un rio”. E, sul versante di una drammaticità tanto contenuta quanto penetrante, si ascolti il fraseggio insistito e dolente degli archi di “Jamaica”  o la dichiarazione solenne di tromba solista e pianoforte in “El ultimo viaje”, dove non è difficile riconoscere un’eco dal Williams di Nato il 4 luglio... Sublime poi appare il reverente corale di “Ellos estàn con nosotros”, con una prima parte a cappella, vocalizzante in registro acuto e dalle risonanze celestiali, ed una seconda intrisa di funebre concentrazione nel rintocco dei timpani e nell’epico modulare degli archi, protagonisti anche dello struggente, quasi disperato “Manuela”.
La padronanza che Dudamel esibisce nel governare lo stile sinfonico di una musica per immagini “alta” e non ignara delle proprie ambizioni, suggerisce che questo esordio è forse solo l’inizio di una carriera parallela del giovane direttore, che ci auguriamo di vedere presto nuovamente impegnato su questo fronte: com’è stato detto, il suo talento è troppo grande e onnivoro per conoscere limiti o per fare di questo debutto un capitolo isolato.




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