Coming Home

cover_coming_home.jpgQigang Chen
Lettere di uno sconosciuto (Gui lai, 2014)
Sony Classical 88843054472
18 brani – Durata: 55’03”

Quando si parla di musica classica cinese, la mente corre istintivamente alle varie forme di teatro di quell’immenso paese, alle produzioni dell’Opera di Pechino, al “Pien Wen” (una forma di spettacolo con canti, danze e illustrazioni di pannelli dipinti), al teatro d’ombre e di burattini, e all’infinito giacimento musicale e strumentistico colà raccolto. Ma il periodo della Rivoluzione Culturale è stato un grande spartiacque fra passato e presente, tradizione e modernità, e soprattutto tra patrimonio autoctono e apertura ai modelli occidentali.
Molti compositori infatti, transitati attraverso le costrizioni e la repressione ideologica della Rivoluzione, hanno sviluppato per reazione un’attenzione sensibile e vibrante alla musica occidentale, escogitando forme di contaminazione e di assimilazione culturale che hanno prodotto – soprattutto nella generazione di musicisti nati tra la seconda metà degli anni ’40 e gli anni ’50, che hanno sperimentato spesso sulla propria pelle l’esperienza dei campi di lavoro e di “rieducazione” – una ampia svolta stilistica: è il caso, per citare solo i nomi più noti, di Jiping Zhao, Min Xiao-Fen, Bright Sheng e soprattutto di Tan Dun, le cui composizioni mescolano i retaggi della cultura sciamanica con le suggestioni dell’avanguardia europea novecentesca. Questa sorta di “rivoluzione postrivoluzionaria” si è riflessa con decisione anche nella formazione di stuoli di giovani e giovanissimi esecutori, dotati di una tecnica mostruosa e privi di qualsiasi complesso d’inferiorità nei confronti del più arduo repertorio occidentale: si pensi solo ai casi dei Yujia Wang e Lang Lang, oggi pianisti di fama internazionale.
Non è affatto un caso che molti dei nomi sin qui citati siano ben presenti, sia in qualità di compositori che di solisti, nella renaissance del cinema cinese sviluppatasi negli ultimi trent’anni: la musica cinematografica cinese, infatti, ha rappresentato un terreno fertilissimo di sviluppo delle diverse personalità, un’occasione di verifica ma anche un modo per confrontarsi con modelli ”colti” occidentali, in particolar modo quelli del tardo romanticismo. Qigang Chen, sessantatreenne nativo di Shangai, ha provato in prima persona l’umiliazione dei “campi di rieducazione” e, forse anche per questo, ha compiuto un percorso particolarmente significativo proprio nelle sue partiture cinematografiche per i film di Zhang Yimou (Under the hawthorn tree, I fiori della guerra), mescolando modi armonici e melodici della tradizione cinese con una vena lirica intensa e a tratti patetica, fortemente protesa sul fronte di un sentimentalismo sommesso, mai stucchevole, sempre sorvegliato.
Questo nuovo film dell’acclamato regista cinese è estraneo ai toni epici, ariosi e spettacolari di alcune sue recenti opere, ascrivibili al genere wuxia (cappa e spada, arti marziali) e approccia piuttosto lo stile realistico, borghese ,di racconto per le vicende tormentate di una famiglia proprio in quegli anni della Rivoluzione Culturale che cineasta e compositore conoscono bene. L’impronta della partitura è quindi di spiccata classicità, quasi accademica, anche per lo schieramento in forze di alcuni dei nomi più prestigiosi della scena musicale cinese: a cominciare dal pianista Lang Lang, qui lontano dai propri proverbiali, trascendentali virtuosismi ma impegnato piuttosto in pagine di un tocco lieve, delicatissimo, chopiniano; poi il violoncellista Chu Yiubing e Liu Rui al violino, le voci di Chang Shilei e del soprano Chen Xiaoduo, ed infine nientemeno che l’Orchestra Filarmonica di Cina diretta da Zhang Yi, una delle bacchette emergenti del proprio paese.
Ritorno a casa è un film intriso di ampi silenzi, di pacate lentezze, di profili umani dolenti e solitari; in questo tessuto narrativo la musica di Qigang Chen s’insinua con dolcezza e linearità, utilizzando materiale tematico caratteristicamente orientale (soprattutto nell’uso ricorrente della scala pentatonica) ma sviluppato secondo moduli concertistici neoromantici, come l’intenso dialogo tra violino e cello di “Always on my mind”, dalle rimembranze quasi ciakovskiane. Il tema principale, una semplice melodia discendente dall’incedere timido, è esposto con mirabile circospezione timbrica in “Coming home” da Lang, che ci propone poi una variazione pianistica nel primo arrangiamento dalla “Canzone del pescatore”  composta originariamente da Ren Guang. Il lavoro sui materiali anche preesistenti è infatti costante nella partitura, così come si nota un tornare continuamente, in forme sempre diverse e affidandole ad un turn over dei solisti, sulle tre o quattro melodie principali: il che conferisce all’insieme una patina ipnotica, cullante e dolorosa insieme; particolarmente emozionante è “My beloved, in my heart” nelle sue varie versioni, mentre di nuovo il duo cello-violino, in “So near, yet so far away” mostra qualche debito verso le williamsiane Memorie di una geisha. Non è il solo riferimento possibile: l’utilizzo della voce sopranile, sia nella prima versione introduttiva di “My beloved, in my heart” sia nel duetto con la voce maschile di “To meet again, in days gone by” (su testo del compositore, ma qui vi riportiamo i titoli anglosassoni) evoca infatti la vocalità trasognata di Edda Dell’Orso in tante pagine morriconiane: impressione ribadita nettamente nella quarta versione di “My beloved”. In realtà questi, ed altri possibili allacciamenti sia con altri compositori illustri che più in generale con un climax sonoro neoromantico, si collocano in Qigang all’interno di una più vasta rielaborazione del pensiero musicale, nel quale – come dicevamo – l’incancellabile ed emozionante presenza di melodie locali si sposa con un trattamento armonico e orchestrale quasi francesizzante nel proprio sorvegliato, tenue impressionismo sonoro. Stupefacente la capacità di fraseggio di Lang Lang in pagine come il terzo “So near”, strettamente intrecciato con il violino di Liu Rui e il cello di Yibing; ed in questi serrati quanto pacati, notturni contrappunti si scorge anche l’eco delle procedure melodiche a canone un tempo care al grande Miklós Rózsa, in un viluppo tematico continuo e dolcissimo. Qualcuno coglierà anche in “Following in your footsteps”, versione vocale della “Canzone del pescatore”,  e nel secondo arrangiamento per voce e cello dello stesso brano, tracce evidenti dell’horneriana “My heart will go on” per Titanic, ma sono comunque agganci che rientrano più largamente nelle procedure assimilative di questo compositore. “Silent conversations”, per pianoforte su un tappeto morbido di archi, e il secondo “Coming home”, nei suoi ripetuti accordi pianistici a scendere, possiedono una sorta di intrinseca ieraticità, mentre è di nuovo il canto sinuoso e piangente del cello a levarsi nella quinta proposta di “My beloved”, secondo un percorso ormai non più variativo ma volutamente iterativo; e la conclusiva terza proposta di “Always in my mind” si scioglie, fra archi e pianoforte, in un “largo” abbracciante e accorato, spegnendosi sulle ultime note smarrite della tastiera.
Una partitura, quella di Qigang Chen, che ci spalanca davanti una finestra su un repertorio sterminato e sorprendente, in gran parte ancora tutto da scoprire.


 

Stampa