Il giudice meschino

cover_il_giudice_meschino.pngGiovanni Rotondo
Il giudice meschino (2014)
Rai Trade formato digitale
20 brani – durata: 59’35”



I termini classico, popolare, liturgico ed etnico sono le fondamenta su cui si basa l’ottima partitura per la fiction con Luca Zingaretti, Il giudice meschino, andata in onda su Rai 1. Composta dal compositore napoletano Giovanni Rotondo, che si era precedentemente occupato in qualità di orchestratore e compositore di musica addizionale di fiction quali Fuga per la libertà – L’aviatore, Il Generale della Rovere e La Narcotici e uno dei curatori del corso “CSC - Lab Musica per film” del Centro Sperimentale di Cinematografia (da noi intervistato), la OST vede un egregio accostamento di vari generi musicali a commento di questa storia di un Pubblico Ministero alla procura di Reggio Calabria (Zingaretti), negligente, separato dalla moglie, con un figlio piccolo, che ama più la bella vita che il lavoro, il quale vedrà la sua esistenza sconvolta da un evento terribile: un carissimo amico ucciso in un agguato.
Da qui per il procuratore l’inizio delle indagini che lo porteranno a scoprire un pericoloso traffico di rifiuti tossici dell’'ndrangheta. Rotondo fin dalle prime note dichiara i suoi intenti compositivi, quelli di fondere alla perfezione melodie classiche (perfino antiche) e popolari a passaggi etnici ed elettronici di forte spessore, dando alla OST de Il giudice meschino un sound tra il vecchio e nuovo dalle profonde suggestioni armoniche, dove confluiscono influenze della musica per film italiana e straniera del passato (vedi John Barry ed Ennio Morricone), con sprazzi di suoni moderni dilatati e ribattuti alla Alexandre Desplat (le pellicole Le idi di Marzo e Zero Dark Thirty) ed Harry Gregson-Williams (soprattutto per i film del compianto Tony Scott). Il brano che apre la soundtrack, “Veleno” (che torna variato più volte), all’inizio respira ariosamente di archi dolorosi che espongono un tema in crescendo che reiterato gira su se stesso fino a divenire un ostinato e chiudersi infine nella liturgia corale più affranta, un’elegia barberiana. “Don Mico” sa di antico con quel suo flauto dimesso, dal suono mesto, di quella tradizione popolare meridionale tra sangue e onore (difatti è il tema del vecchio Boss della mafia calabrese che ritorna anche in “Tanto vale che comando”) che è difficile non rimembrare al suo ascolto. “Morte di un amico” cambia registro: i suoni etnici, arabeggianti, orientali, si fanno vividi, su un vocalizzo femminile lontano che si avvicina sempre più nel suo grido di dolore e vana ricerca d’aiuto, ritmiche sintetiche e un crescendo aggressivo di archi e ottoni. L’'ndrangheta viene vista in “Ora d’aria” come un ritmico incedere orientaleggiante, quasi una danza mediterranea combattiva, e anche in questo caso il vocalizzo amplifica il sapore etnico del pezzo. “Quanto sei importante” è un adagio tormentato, in cui il tema principale si tramuta in tema d’amore per archi.  “Giustizia” è uno dei brani più belli della OST, un temino dall’incedere iniziale giocoso che cambia subito registro in tonalità cupa, sofferente, con il clarinetto che zigzaga di tanto in tanto con il suddetto temino girovago, mentre la traccia diventa minacciosa, minimale, allertante. “Il giudice meschino” riespone in maniera liturgica, pastorale, il leitmotiv principale, mostrando ancor di più la sua faccia penosa. John Barry rivive nell’ariosità trattenuta degli archi nel bel pezzo “La casa del giudice” su di un velo di amarezza per arpa che solisticamente centralizza la traccia con il tema primario scarnificato del suo essere un’entità corale, liturgica. “Il campanaro” è un moto accrescitivo dalle radici etniche e dai richiami tonali desplatiani.  “Padre e figlio” è un adagio per archi in cui sul finire un grido di speranza si palesa, grido che si fa più trattenuto nel successivo brano “Vittime innocenti” dalle influenze howardiane per The Village con un canto corale ai defunti, sul finire, altamente desolante. “Il rapimento” altro non è che una traccia action pura e dura, che parte in sordina cantilenante, per diventare un etnico e corale inseguimento tensivo con i suoi alti e bassi armonici e sul finale il tema barryano più aperto che mai. Fiabesco, surreale, quasi un valzer macabro il tema portante in “Una favola oscura”, in particolar modo nel suo vocalizzo orrorifico conclusivo. “La resa dei conti” mette in mostra il tema del Boss in tutta la sua essenza violenta, mafiosa e popolare facendolo esplodere in un crescendo degli archi, dei synt, dei legni, di effetti sotterranei allarmanti e coro allucinatorio, ritmiche violente: un pezzo convulsivo molto efficace. Chiude l’album digitale “Un nuovo inizio” nel quale il tema portante si carica di orgoglio, passione e rivalsa con i suoi archi gonfiati e un canto corale pieno, sentito, orgoglioso. Davvero una bella prova compositiva questa di Giovanni Rotondo per la sua prima vera colonna sonora in solitaria.       

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