Lost - Season One

cover_lost_season1.jpgMichael Giacchino
Lost - Season One (Lost - Stagione 1, 2006)
Varèse Sarabande 302 066 721 2
27 brani - durata: 65'01"

 

Mistero. Destino. Caso. Morte. Anima. Sopravvivenza. Comando. Colpa. Questi sono gli arcani con cui ci intrattiene il creatore dell’acclamata serie tv Lost, il giovane e geniale J. J. Abrams. Il telefilm minaccia di diventare un fenomeno culturale globale, solletica terrori latenti, genera aspettative salvifiche, paranoie che serpeggiano nel disorientato e accidioso universo umano del “dopo 11 settembre”. Non è casuale che, ancora una volta, l’aereo/arca, il simbolo perfetto del viaggio e dell’evasione dai claustrofobici confini della quotidianità, precipiti al centro del nulla, dove la lotta per la vita riparte da zero e la storia di ognuno viene riscritta a partire dall’abiura dei piccoli, meschini peccati lasciati nel mondo reale. Quale sfida per un compositore intessere un commento musicale che sappia echeggiare questi temi ineffabili e metafisici, senza perdersi nel disimpegno o nel riciclaggio di idee altrui. Non si possono tra l’altro ignorare le molte analogie narrative di questa prima stagione di Lost con il meraviglioso Cast Away di Zemeckis: anche in quel caso l’uomo qualunque, strappato dalla propria realtà, riscopriva l’esistenza giusto al centro di un crocevia del destino. Zemeckis e il compositore Silvestri optarono per un silenzio musicale quasi totale, la musica pronta ad emergere solo in pochi, fatidici istanti. Giacchino è ormai molto più che una promessa della futura musica per fiction. È un talento indiscutibile, ha già manifestato l’inventiva, la sensibilità e la preparazione del compositore autentico. Ma sotto tutto questo, alberga anche quel qualcosa in più che sembra diffondersi da sfere diverse dell’intelletto umano ed è prerogativa di pochi. Giacchino sa trovare la materia prima per cospargere di paura, emozione e senso d’attesa i racconti sospesi e gli intrecci di Abrams. Anche lui sceglie un commento trattenuto e rispolvera l’approccio eclettico che ha reso intriganti i suoi lavori per Alias. I molti momenti di tensione si innestano su dissonanze, su sonorità elettroniche, su glissandi e ululati, a partire dalla curiosa e lapidaria sigla di sedici secondi ideata dallo stesso Abrams, quasi uno sbadiglio animalesco. L’isola dei “perduti” è cosparsa di clangori, di improvvise percussioni, di ritmiche elettroniche, di ellittici accordi degli archi che non dispiacerebbero a Goldsmith (lo scomparso compositore californiano sta diventando un modello evidente della scrittura di Giacchino). Il disco dedicato alla prima stagione è ricco anche di momenti intimistici ed elegiaci, con strumentazioni cameristiche. Tra i brani, dai titoli ironici e (qualche volta) rivelatori degli sviluppi della trama, ci sono spazi di riflessione e malinconia. Uno dei leitmotiv dominanti (negli episodi) viene dosato e razionato nel disco: forse per timore che si colga l’eco di un bel tema williamsiano per Amistad. Ma a parte un paio di motivi ricorrenti, il disco è soprattutto un’antologia di singoli quadri, in cui l’orchestrazione non è mai prevedibile, il racconto si stempera spesso in sviluppi inquietanti, la contemplazione ricade di colpo nell’incubo. In questo modo l’Isola, come la vita, non smette di stupire, attrarre, spaventare. Dopo una parentesi etnica e distensiva, nei brani conclusivi Giacchino ci offre un gran finale: inseguimenti ritmati come in Mission Impossible III, una solenne elegia e, infine, una vaporosa conclusione a tutta orchestra. La serie è solo agli inizi: non dubitiamo che la musica di Giacchino seguirà al meglio i funambolismi delle trame. Sarebbe preferibile sospendere il giudizio, visto che l’opera, se resterà affidata al medesimo compositore, potrà essere apprezzata al meglio solo al termine del suo ciclo narrativo. Questo lungo primo cd propone un ascolto nuovo, attraente e non facile. È come l’Isola: va esplorato con cautela e prudenza.

 

 

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