Il ragazzo d’argento – Una vita coi Goblin, la musica e il cinema

cover libro il ragazzo dargentoClaudio Simonetti (con Giovanni Rossi)
Il ragazzo d’argento – Una vita coi Goblin, la musica e il cinema (2017)
Tsunami Edizioni (222 pagine) – 20 euro

Si parte subito con una citazione-matrioska: Claudio Simonetti si definisce “Ragazzo d’Argento”, il che rievoca un bel brano prog del 1978 facente parte del geniale periodo vissuto come anima dei Goblin, a sua volta richiamo nominale del regista che più di tutti ha esaltato le doti del gruppo che tutto il mondo (l’Italia invece?) ci invidia: Dario Argento. I Goblin, incredibile band di culto del nostro caleidoscopico scenario cine-musicale anni Settanta tornata da anni in auge nei favori del più variegato pubblico, uniti al ruolo del maestro dell’horror italiano Argento tornano più volte in questo piacevolissimo “romanzo” raccontato in prima persona dall’artista e soprattutto dall’uomo Simonetti.
Eclettico e talentuoso artista cresciuto a pane e rock con dorature di formazione classica al conservatorio e tutta la genetica mutuata dall’altrettanto gigantesco artista che fu il padre Enrico, Claudio Simonetti torna a raccontarsi con umiltà e grande simpatia.

Sono infatti passati dieci anni da quando la compianta giornalista francese Gabrielle Lucantonio decise di scrivere Profondo rock, dedicando un prezioso e appassionato lavoro testuale al maestro. Quest’ultimo ricorda con affetto l’autrice e la persona che fu Gabrielle, aggiornando il suo posto da grande artista nel mondo dell’arte cine-musicale, tra le contraddittorie aridità dello scenario moderno e la sontuosa ripresa del culto anni Settanta, con le colonne sonore classiche, il grande cinema di genere nazionale, finanche con la formula cinema-concerto che vede l’intero score suonato sulle immagini dell’opera visionata come un grande rituale mistico.
Grazie alla collaborazione con l’esperto giornalista Giovanni Rossi, attento demiurgo di trascrizioni delle più geniali personalità musicali, Claudio snocciola la sua vita “semplice” in 222 pagine che scorrono come una fresca bevanda brasiliana, altra anima genetica nascosta tra i suoi eclettismi. Simonetti infatti è nato a San Paolo e ha vissuto parte dell’infanzia nel paese sudamericano per via delle attività professionali del padre. Profondamente brasiliano nel suo carattere gioviale e positivo, Claudio dedica una corposa prima parte all’esperienza nel “suo” paese, tra la poca attitudine per lo studio scolastico formale e l’immenso amore per la musica.
Seppur lineare nel suo percorso cronologico, Simonetti decide di dividere il suo racconto in capitoli tematici non casuali. Così, se l’inizio è riservato alla terra d’origine e all’amatissima figura paterna, si prosegue con la proverbiale “gavetta” all’interno dei gruppi rock, dei primi concerti, delle inevitabili delusioni, dei magici incontri che ti fanno credere nel destino. Dopo una carriera così lunga e ricca di soddisfazioni, il maestro si assume il legittimo diritto di confinare gli aspetti meno positivi del suo lavoro all’interno di un ineluttabile e necessario percorso di crescita, composto anche di esaltanti vittorie e scene da puro cinema, oltre che da un innegabile amore del pubblico di ogni età (su quest’aspetto ci torna più volte con grande felicità). Come detto, l’amore per la propria arte viene fuori sontuoso, specie quando sono narrate le esperienze più importanti della vita artistica. La nascita dei Goblin e l’incontro con Dario Argento, i fasti di Profondo rosso e Suspiria hanno ormai scritto una storia nota al grande pubblico, ma come succede per quei vecchi racconti fiabeschi è sempre un piacere riporvi l’ascolto. Simonetti narra cose note e meno note con una lucidità rara, con un’umiltà che possiede un perfetto riscontro nell’aspetto umano di questa nostra eccellenza italiana. Chi ha avuto il piacere di conoscere Claudio Simonetti non può che rivedere tra i caratteri di questo libro una perfetta proiezione di un genio che non ha bisogno di pavoneggiarsi. Più che analizzare tecnicamente i propri lavori, Simonetti preferisce inserirli in un quadro contestuale, fornendo al lettore gustosi aneddoti sulla genesi di filoni, tendenze, creazioni che rifuggono l’esterofilia soverchiante e, perché no, qualche onesto rimpianto per non essere stato valorizzato (soprattutto insieme al fenomeno Goblin) come avrebbe meritato. In tal senso il testo si integra armonicamente con la succitata biografia della Lucantonio, ponendosi non solo come aggiornamento di questi intensissimi dieci anni ricchi di anniversari, uscite discografiche ed esplosivi culti popolari (si veda il fenomeno del Giappone, imparagonabile con il resto del globo), ma anche come un definitivo “Ritratto d’autore” (parafrasando il titolo di uno dei suoi lavori discografici) che ci restituisce un artista e un uomo di rara sensibilità. Grazie, Claudio.

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